Affermare che gli antichi Romani abbiano dato sistema a molte delle attività produttive esistenti e abbiano costruito un complesso organizzato di attività e di tecniche produttive mai prima di allora concepite in modo organico, è quasi tautologico. Basterebbero richiami al sistema stradale dell’impero, per molti versi alla base di gran parte del sistema tuttora in esercizio per le grandi vie di comunicazione in buona parte d’Europa; oppure porre attenzione agli acquedotti che per migliaia e migliaia di chilometri hanno portato il bene prezioso per eccellenza, l’acqua, in ogni angolo del grande territorio amministrato dal diritto romano, per dare una risposta immediata, senza esitazione: sì, è così, i Romani ci hanno tramandato non soltanto usi, costumi, tradizioni, ma anche sistemi di costruzione, di produzione, di commercio e via dicendo. Ogni sito che conserva resti, reperti dell’antica dominazione romana è ricco di rimandi e di elementi preziosi per capire sempre più, come se ve ne fosse bisogno ancora, di quale sia stato il lascito incommensurabile del primo e più grande esempio di “moderno” sistema statale che l’antichità ci abbia lasciato.

Non stupisce dunque la scoperta, oltre ai grandi monumenti del passato, anche di momenti di vita quotidiana, i sistemi di lavoro e produzione. Le pietre, riportate alla luce dagli scavi, sovente ci raccontano infatti lavoro, vita, abitudini non solo dei potenti, ma anche degli umili, della gente comune. E’ il caso delle Fornaci Romane di Lonato del Garda (in provincia di Brescia), importante sito produttivo di età romana la cui scoperta risale al 1985 quando, in seguito a lavori per la costruzione di una stazione di trasformazione elettrica, fu rinvenuto casualmente un complesso di ben sei fornaci verticali, un “unicum” nel Nord Italia. Dopo anni di ricerche, studi e restauri, ora il sito è accessibile al pubblico. Anche se cinque delle sei fornaci emerse nel corso dello scavo sono state reinterrate per lo stato precario in cui si trovavano, la sesta, denominata Fornace A, vale assolutamente da sola una visita, dato che è una delle due sole fornaci musealizzate e accessibili in Lombardia.

Il sito, cuore dell’Antiquarium della località lombarda, è uno straordinario spaccato sulla vita materiale in epoca romana. La sua attività durò un centinaio di anni, dalla prima metà del I agli inizi del II secolo d.C., dopo di che cessò probabilmente a causa dell’impaludamento delle aree circostanti. Una struttura imponente, a schema verticale e a pianta circolare, con la camera di combustione interrata al di sopra della quale si trova la camera di cottura. Questa era a sua volta sovrastata da una copertura aperta in alto, non più conservata, che probabilmente veniva parzialmente smontata e poi ripristinata a ogni ciclo di funzionamento. Il piano di cottura, del diametro di 6 metri, è formato da mattoni disposti di taglio, con doppio incavo semicircolare combaciante a formare i fori attraverso cui fiamme, gas caldi e fumi risalivano dalla camera di combustione a quella di cottura, richiamati dal tiraggio favorito dall’apertura sulla sommità della volta. Il carico e lo scarico dei laterizi avvenivano da una porta sul retro della fornace.

La storia di questo singolare sito archeologico, viene illustrata da pannelli esplicativi e raccontata ai visitatori dai volontari dell’Associazione “La Polada”, che gestisce la aperture al pubblico dell’Antiquarium e che organizza anche visite tematiche e laboratori didattici. L’Antiquarium, per chi ne ha interesse, è aperto il sabato mattina dalle 9.30 alle 12.00 e negli altri giorni su prenotazione [1]. L’ingresso è gratuito. La struttura aderisce all’iniziativa “#domenicaalmuseo” promossa dal MIBACT, che prevede l’apertura gratuita dei musei e dei luoghi della cultura statali tutte le prime domeniche del mese (dalle 14.30 alle 17.00), durante le quali sono programmate attività collaterali di vario genere. Nel caso dell’Antiquarium, ad esempio, domenica 7 giugno, i bambini saranno coinvolti in una grande Caccia al Tesoro.

Un po’ di storia aiuterà a comprender il valore del ritrovamento oggi visitabile. Nel 1985, lo ricordiamo, nel corso di un grosso sbancamento effettuato dall 'ENEL a Lonato, allo scopo di realizzare una stazione di trasformazione, le ruspe si erano casualmente imbattute in una imponente struttura in laterizi. Una tempestiva segnalazione alla Soprintendenza Archeologica, permetteva la salvezza del manufatto e insieme l'indagine in estensione su uno dei siti più interessanti del territorio bresciano: si trattava infatti di un complesso di fornaci romane delle quali si riusciva a chiarire, oltre che la cronologia, anche la tipologia e la funzione. Una delle fornaci, quella più grande e meglio conservata, è stata sottoposta, dopo lo scavo, a un intervento di restauro effettuato dalla Ciba Geigy. L'ENEL ha provveduto in parallelo a realizzare un edificio che ne garantisse la conservazione e ne permettesse la fruizione da parte del pubblico. Il Comune di Lonato ha finanziato la realizzazione di un plastico, in modo da arricchire efficacemente l'apparato didattico dell'Antiquarium e permettere inoltre in futuro l'esposizione del modello della fornace anche presso altre mostre o musei. A questo spirito di fattiva collaborazione fra diversi Enti si deve quindi l'aver potuto salvare, studiare e rendere fruibile da parte di visitatori e studiosi un importante documento del territorio bresciano [2].

Il manufatto romano si collega a una linea continua di evoluzione dei sistemi produttivi dell’umanità antica. Già alla fine del Neolitico, le grandi civiltà iniziarono a sentire l'esigenza di evolvere le proprie abitazioni in strutture che avessero una maggiore solidità strutturale per meglio resistere agli agenti esterni e offrissero un rifugio altrettanto efficace delle grotte. Data a quest’epoca la lavorazione dell'argilla che, unitamente a ciottoli e pietre a blocchi, offriva un eccellente materiale da costruzione. Le attività in tal senso ebbero un'evoluzione artigianale fino a istituire un'attività commerciale che si evolveva con la crescente richiesta legata all'espansione delle comunità abitative. La tecnologia nella produzione del materiale crebbe con l'invenzione dei forni di cottura, analogamente alla lavorazione dei metalli e dei materiali a pasta di vetro, e crebbe la necessità di standardizzare la produzione in oggetti che avessero le medesime caratteristiche.

L'argilla veniva quindi prima tagliata in pani di egual misura e quindi cotta. In epoca romana erano già floride le attività legate al laterizio che, benché fosse ancora di tipo preindustriale, favorì ulteriormente la produzione in massa di materiale da costruzione. Infatti, spesso i prodotti erano bollati col nome del produttore, e non solo a Roma: si può pensare ad esempio al figulus Titus Papirius Synhistor, attivo a Forlì (Forum Livii), il cui bollo è stato "rinvenuto in numerosi esemplari e più varianti, e datato a partire dalla fine dell'età augustea". Il termine laterizio indicava i mattoni impiegati nella tecnica edilizia romana per l'opera laterizia. Il laterizio romano era realizzato con argilla, decantata e depurata in acqua e sgrassata con l'aggiunta di sabbia, secondo un procedimento simile a quello utilizzato per la ceramica, in particolare per quella d'uso comune come ad esempio le anfore da trasporto. L'argilla così preparata veniva successivamente lavorata mediante stampi in legno, che davano la forma voluta. I laterizi erano quindi fatti seccare per qualche giorno, protetti dai raggi diretti del sole e, quindi, cotti in fornaci, la cui temperatura poteva raggiungere i 1000º.

Venivano prodotti vari tipi di materiale edilizio, in primo luogo laterizi di varie misure: a) bessali: laterizi quadrati di due terzi di piede romano di lato, pari a circa 20 cm: venivano utilizzati suddividendoli in due triangoli lungo la diagonale, che restava visibile sulla faccia esterna del paramento (lunghezza poco meno di un piede, 27/26 cm). Interi erano utilizzati come fodera per le volte in cementizio, permettendo l'aderenza del rivestimento a intonaco con eventuale decorazione a stucco o dipinta. Sesquipedali: laterizi quadrati di un piede e mezzo di lato (circa 44 cm) o rettangolari (un piede e mezzo per un piede, ossia circa 44 cm per 29,6 cm). Potevano essere tagliati in quattro o in otto triangoli: nel primo caso il lato a vista raggiungeva una lunghezza di 42/40 cm, mentre nel secondo di 30/28 cm. Bipedali: laterizi quadrati di due piedi di lato (59 cm), che potevano essere suddivisi in otto o sedici triangoli, con la faccia a vista lunga nel primo caso 40/39 cm e nel secondo caso 28/26 cm. Erano più comunemente utilizzati interi, come ricorsi per livellare, nell'intero spessore del muro, o come ghiere per gli archi. Inoltre, si producevano tegole (piatte con bordi laterali sporgenti) e coppi curvi, destinati in origine a coprire le giunzioni tra le tegole. In generale le tegole erano larghe 1 piede e mezzo (44 cm) e lunghe poco meno di due piedi (57 cm).

In particolare, intorno alla metà del II secolo furono utilizzati mattoni di colori differenziati (nei vari toni del rosso e del giallo), alternati secondo un preciso disegno per realizzare paramenti dal grande valore decorativo. La fabbricazione dei laterizi fu una vera e propria attività industriale. Gli stabilimenti di produzione (figlinae o figline), collocati in genere in prossimità di depositi di argilla e lungo le vie fluviali che consentivano un facile trasporto dei materiali prodotti, erano, in genere, di importanti personaggi, spesso legati alla famiglia imperiale. Conosciamo i dati sulle officine dall'uso di marcare, su alcuni dei laterizi prodotti, quando erano ancora umidi, un marchio, che poteva recare diverse indicazioni. La forma del marchio, il "bollo laterizio", si trasformò nei diversi periodi: inizialmente rettangolari, con testo su una sola riga, divennero di forma semicircolare sotto l'imperatore Claudio, quindi lunati con Domiziano e ancora rotondi agli inizi del III secolo, con iscrizioni su una o due linee semicircolari, a cui si aggiungeva eventualmente una linea retta. I bolli rettangolari sono ancora impiegati, con iscrizioni su due righe, alla metà del II secolo. Con Teodorico sono attestati gli ultimi bolli laterizi, circolari oppure rettangolari.

Sotto l'imperatore Adriano, nel 123 d.C., la produzione delle figline che dovevano servire per i grandi progetti edilizi a Roma sembra sia stata riorganizzata centralmente, e sui bolli laterizi venne introdotto l'uso di segnare la data di fabbricazione (data consolare). Anche la storia successiva sembra indicare un progressivo accentrarsi della produzione laterizia sotto la diretta proprietà imperiale.

[1] Gli orari estivi e le iniziative si trovano su www.fornaciromanedilonato.it e sulla pagina facebook dedicata
[2] Tratto da Le fornaci romane di Lonato, edito in occasione della IV settimana per i Beni Culturali e Ambientali - Edizioni Et; Milano,1988.