Il meraviglioso non suscita in noi nessuna sorpresa, perché è ciò con cui abbiamo la più profonda confidenza. La felicità che la sua vista ci procura sta propriamente nel fatto di veder confermata la verità dei nostri sogni.
(Ernst Junger)

L'inverno scorso mi trovavo a viaggiare in uno degli ultimi arcipelaghi selvaggi risparmiato dal turismo di massa per l'isolamento geopolitico del paese a cui appartiene: la Birmania. Le isole Mergui, così si chiamano queste isole, sono una manciata di smeraldi gettati sul cobalto del mar delle Andamane e popolate dai Moken, gli Zingari del mare, etnia di pescatori nomadi un tempo dediti alla pirateria e ora marinai vagabondi nel loro paradiso tropicale.

La mia barca, la Sea Gypsy, legno male in arnese ma dal nome quanto mai appropriato, era alla fonda in una baia dalla bellezza assoluta tra alcune isolette coralline e una torreggiante isola montuosa a proteggerla dai venti dominanti, ricoperta da una giungla impenetrabile che lambiva le acque verdazzurre del mare. Era ormai pomeriggio inoltrato, l’arcana, inquietante bellezza e l'isolamento totale del luogo consigliavano di rimandare al giorno successivo l'esplorazione dell' isola e quindi mi tuffai con maschera e pinne per dedicarmi a una mia vecchia passione, la ricerca di conchiglie.

Bisogna sapere che i Moken sono un popolo di pescatori e raccoglitori abilissimi e, con le loro carovane di canoe scavate in un unico gigantesco tronco, battono regolarmente quelle baie, mentre gli uomini pescano le donne e i bambini raccolgono molluschi per nutrirsene e vendere poi i gusci ai mercanti thailandesi; quindi, un po' deluso, mi aggiravo nel silenzio su fondali piuttosto impoveriti. A un certo punto, sotto una madrepora a dieci metri di profondità, vidi qualcosa semisepolto nella sabbia corallina. Avrebbe potuto essere un legno o un ramo di acropora ma dalla mia memoria visiva qualcosa mi spinse a verificare e mi immersi. Quando arrivai sul fondo presi delicatamente un gigantesco frammento di una fantastica conchiglia di Murice. La resistenza che offriva mi parve un po' strana, tirai più forte e improvvisamente estrassi dalla sabbia una grande conchiglia intera viva e vegeta con un grosso mollusco risentito che si ritirava in casa, tirandosi dietro l'opercolo corneo a mo' di uscio.

Si trattava di un bellissimo Murex Ramosus, miracolosamente sopravvissuto alle scorrerie dei pescatori perché quel prezioso vecchio esemplare era veramente eccezionale, sia per le dimensioni che per la ricchezza di ramificazioni che in quella specie, come suggerisce il nome, diventano sempre più bizzarre e ramificate con il tempo. Risalii in superficie per guardare alla luce del tramonto quel capolavoro vivente: un grande turbine di marmo bianco e rosa che brillava nella luce dorata del sole morente.

La spiaggia era vicina e un'amica compagna di viaggio stava godendosi il tramonto. Non sapevo se fosse come me appassionata di conchiglie comunque la chiamai per mostrarle quella scultura vivente e, donna sensibile alla bellezza, unì la sua meraviglia alla mia e a lungo ammirammo quell'essere fantastico. Poi lo riportai in mare riconsegnandolo al suo mondo di sabbia e corallo. Ero sicuro di poter condividere con lei lo stupore e l'ammirazione per quella conchiglia non tanto perché conoscevo la sua sensibilità verso la natura, ma perché nessuno, adulto o fanciullo, sfugge alla seduzione di quelle creature. L'umanità fin dalla sua immaginifica infanzia ha infatti subito il loro fascino tanto da considerarle oggetti sacri dall'elevato valore simbolico.

Come utensili d'uso quotidiano, in foggia di recipienti, posate, raschietti, ami da pesca o arpioni hanno ornato con la loro semplice bellezza la vita di persone comuni, come di principi o di grandi guerrieri. Sono servite come merce di scambio e perfino come vere e proprie monete. Sono divenute simbolo stesso del mare e delle forze generatrici che in esso operano tanto da far nascere Afrodite, dea della bellezza e della seduzione, dalla valva di una conchiglia e all'organo femminile dell'amore alludono inequivocabilmente le forme di alcune Cipree, che hanno accompagnato nella tomba dignitari per l'ultimo viaggio dopo averne tinto di porpora le vesti con tinture tratte dal murice mediterraneo.

Sono state strumenti musicali, simboli di pellegrinaggi e di miracoli come a Santiago di Compostela da cui l'homo viator, il pellegrino, che dal medioevo vi si reca e non torna se non recando con sé la capasanta come prova del pellegrinaggio compiuto, cioè un esemplare di pecten jacobeus con la rossa croce di San Giacomo dipinta sopra. Sono state preziosi tesori appannaggio di Re e Imperatori, e alcune di esse come la Scalaria Preziosa erano talmente ricercate che, nell'antica Cina, alcuni abili artigiani erano riusciti a crearne copie fedeli in pasta di riso che poi sono divenute la vera rarità perché la conchiglia originale era divenuta comune con il progredire delle tecniche di pesca.

Per me sono tutte bellissime ma alcune sono davvero straordinarie: i gasteropodi come il Nautilo che esprimono l'armonia della "divina proporzione" nella loro spira mirabilis che è una vera spirale logaritmica il cui raggio cresce ruotando. A mano a mano che si avvicina al centro, la curva vi si avvolge senza mai raggiungerlo e la sua progressione procede all'infinito sempre uguale a se stessa, secondo il rapporto proporzionale rappresentato dal valore 1,6180339887... Il cui simbolo è la lettera greca Φ, il numero aureo o proporzione divina. Tale geometrica perfezione la ritroviamo in natura nelle galassie a spirale, nella crescita di alcune piante e perfino nell'uomo il ritmo del passo e il rapporto sistole/diastole obbediscono a tale "divina proporzione". La bellezza ipnotica che emanano mentre le ammiri, generata dalla loro torsione, ci ricorda come ognuno di noi possegga almeno due piccole conchiglie incastonate nel cranio, scrigni del più raffinato dei nostri sensi: l'udito.

E seguendo le onde sonore dalla Cochlea umana, sede anatomica dell'udito, giungiamo alla grande Charonia, il Tritone dal cui apice troncato da tempi immemorabili gli uomini si chiamano con il medesimo suono dalle cupe nebbie del mare cimmerio, come dagli splendenti atolli del pacifico, dal blu del Mediterraneo come dalle valli dell' Himalaya, perché forse, il brusio che udiamo accostandovi l'orecchio non è semplicemente il suono del mare ma, come annotava Renee Guenon, può essere che "la conchiglia contenga il Suono primordiale e imperituro, cioè il monosillabo OM, che è per eccellenza il nome del Verbo manifestato nei tre mondi".