Federico Zeri me la descrisse come “una persona di rara integrità e dirittura morale, con una linea di condotta incredibilmente linda e che, se aveva una verità da dire, non guardava in faccia nessuno”.

Una vita lunga e intensa consente spesso esperienze e conoscenze non comuni. Ecco perché sento come un dovere il testimoniare alcuni episodi di vita, vissuta accanto a personaggi che hanno segnato in positivo la storia culturale della seconda metà del secolo XX: “maestri” certo, ma non sempre compresi e a volte pure ingiustamente colpevolizzati.

Fra gli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo ebbi la fortuna di frequentare Margherita Guarducci [1], una delle figure più rappresentative della scienza archeologica. Sin dal 1931 salì rapidamente nella scala dei valori della cultura nazionale ottenendo la docenza di Epigrafia e Antichità Greche [2] presso l'Università di Roma La Sapienza. Di questo Ateneo fu prima titolare di tale cattedra, incarico che mantenne fino al 1973 e, dello stesso, poi Professore Emerito. Continuò a insegnare sino al 1978 presso l’ente Scuola nazionale di Archeologia di Roma, di cui fu pure direttrice: le sue opere sulla didattica dell'epigrafia greca risalgono al periodo del suo insegnamento [3]. Ottenne due lauree honoris causa, dall'Università Cattolica di Milano e dall'Università di Rennes. Pensare di scrivere novità su questo pilastro della cultura italiana sarebbe imprudente, essendo, dei suoi insegnamenti e delle sue opere, pieni gli scaffali di ogni biblioteca. Con questo articolo mi propongo solo di ricordare episodi dei quali fui fedele testimone.

Ebbi sin dai primi tempi della nostra conoscenza il privilegio di godere della sua stima, a volte della sua compagnia conviviale e spesso delle sue conversazioni telefoniche [4]: a Roma mi donò, in occasione di un incontro presso la sua casa-biblioteca, omaggio gratificante, il suo volume Misteri dell’alfabeto, Enigmistica degli antichi cristiani, con dedica [5]. Questo libro si aggiunse ad altri due già editi da Rusconi: La tomba di San Pietro (1989) e Il primato della Chiesa di Roma (1991). Tutti e tre furono il frutto delle indagini, oltremodo faticose ma ricche di risultati inattesi, che la Guarducci aveva condotto nei sotterranei della Basilica Vaticana: al termine di detti studi riuscì ad accertare la presenza della tomba di San Pietro sotto l’altare della Confessione e a identificare le superstiti reliquie dell’Apostolo; scoprì pure, con la decifrazione dei graffiti incisi nella parete del cosiddetto muro g, l’uso di una scrittura segreta, crittografica, grazie alla quale gli antichi fedeli, giunti in quel sacro luogo, intendevano esprimere auguri di vita eterna per i loro defunti. Il lavoro di ricerca e decrittazione dei graffiti fu lungo e tuttavia troppo noto per dare qui altro spazio.

Fu Papa Pio XII, subito dopo la sua elezione, a ordinare, il 28 giugno 1939, l’inizio della memorabile impresa al fine di raggiungere la certezza che quanto tramandato dalle antiche fonti rispondesse a verità storica [6]. Raccontò Margherita Guarducci: "Gli studiosi che eseguirono tra il 1939 e il ’49 gli scavi sotto la Basilica, trovarono davvero quell’antica tomba veneranda ma, a quell’epoca, non le reliquie di Pietro". In occasione della presentazione del libro La verità della tomba di San Pietro e il primato della Chiesa di Roma, presso il Centro culturale di Milano, Margherita Guarducci ricordò come Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 1950 ne avesse dato l’annuncio: “Suonò la voce del Papa quel 23 dicembre: È stata davvero trovata la tomba di S. Pietro?; rispose egli con gioia: Sì, sì!” [7].

Personalmente della prof. Guarducci ho un ricordo lusinghiero. L’8 febbraio 1981 [8] “ho avuto a pranzo il prof. Scevola Mariotti [9] e la moglie, signora Tota Gaudiano Mariotti, con il prof. Guido Barbieri [10] e le sorelle prof. Margherita e Mariola Guarducci; colta e salottiera, Margherita, era piena di spirito e una fonte di ricordi; era pure molto lusingata per la stima che aveva per lei il prof. Zeri con il quale si sarebbe dovuta incontrare l’indomani; raccontava poi del voltafaccia di un notissimo titolare di cattedra universitaria di archeologia [11] - fascista sino al midollo durante il ventennio - divenuto comunista per salvare i suoi vasti possedimenti laziali, come risultava a lei per averlo udito affermare dalla sua viva voce”.

Spontaneo – quasi ricordo goliardico – fu quello che ci tramandò di lei Antonino Di Vita, Accademico dei Lincei e tra i migliori archeologi del Novecento:

Epigrafia Greca fu un altro incontro importante. Le lezioni erano tenute da Margherita Guarducci, una donna assai rigida che parlava e si comportava come se aborrisse gli uomini (anche se poi prese un assistente maschio) e alla quale le ragazze – quando c’erano gli esami – si presentavano senza rossetto, con vesti castigate e austere maniche lunghe [12].

Dal 1956 la Nostra venne accolta come socio corrispondente nell'Accademia Nazionale dei Lincei; nel 1969 divenne socio nazionale, nonché membro della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. L’appartenenza ai Lincei mi riporta a una conversazione avuta con il prof. Zeri nel gennaio 1990; questa mi consente di entrare in un argomento che tanta amarezza costò per ben sette anni alla Guarducci: la querelle sulla Fibula Prenestina. Il cimelio fu presentato il 7 gennaio 1887 in una seduta pubblica dell’Istituto Archeologico Germanico e il successivo giorno 16 presso la sede dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dal dott. Wolfgang Helbing. Si trattò di un reperto che da oltre un secolo si è radicato nel campo degli studi classici: il manufatto da alcuni è reputato autentico, da altri un falso clamoroso. Fra questi, la più documentata fu la Guarducci. A seguito della pubblicazione del suo studio [13], l’Autrice fu trascinata in giudizio dagli eredi di Helbing. Accadde infatti che l’Helbing, come spesso avviene, dal ruolo di antiquario passò, per tanti, a quello di falsario [14], oltretutto “ritenuto in grado di inventare un’iscrizione in latino del VII secolo a.C”. Nell’interminabile querelle che attraversò il Novecento, l’epigrafista Margherita Guarducci fece eseguire, fra l’altro, pure le analisi dell’oro e concluse che si trattava di un falso.

Nel gennaio dell’anno 1990 ebbi una notizia da Zeri:

Mi ha telefonato ieri la Guarducci, m’ha detto che l’hanno assolta per quella storia della ‘fibula prenestina’; alla mia replica: Ma arrivare persino al tribunale per un lavoro scientifico, rispose: Fu l’erede di quel professore .. ma sa, molta gente vuole terrorizzare; l’hanno minacciata pensando che lei ritrattasse; ma la Guarducci è un raro caso di integrità morale.

Del processo Guarducci, con Zeri, ne parlai il 27 luglio 1981 per riferirgli che

era venuta a trovarmi Maria Santangelo [15] e mi aveva raccontato che la Guarducci aveva perso la testa per la querela dei parenti di quel noto falsario romano; mi diceva soprattutto che lei si difendeva in modo errato; si chiedeva cioè perché non fosse stata chiamata in causa l'Accademia dei Lincei piuttosto che lei. La Guarducci infatti era una ‘socia ordinaria’ e quindi poteva pubblicare tutto a suo piacimento e senza presentazione: la responsabilità ricadeva solo sull’Accademia.

Pure di questo reperto insomma si è parlato a lungo e per decenni è prevalsa la tesi del falso. L’argomento però, cito per correttezza, è tornato alla ribalta [16]. Oggi la Fibula Prenestina è di nuovo riconosciuta come antica:

L'autenticità della preziosa spilla, datata al VII secolo a.C., e della sua iscrizione, ritenuta la più antica testimonianza della lingua latina, è stata confermata da indagini scientifiche condotte da Daniela Ferro dell'Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Consiglio nazionale delle ricerche e da Edilberto Formigli, restauratore e docente presso l'Università 'La Sapienza' di Roma e quella di Firenze. Al centro di accesi dibattiti per oltre un secolo, la Fibula Prenestina può riapparire sui manuali scolastici come il più antico documento di latino arcaico. Grazie a recenti studi fisici e chimici, presentati lo scorso 6 giugno [2011] al Museo Nazionale Preistorico Etnografico «Luigi Pigorini», l’iscrizione «manios med vhe vhaked numasioi» (Manios mi fece per Numasio/Numerio) può considerarsi, a pieno titolo, un manufatto del VII secolo a.C. È dunque, contemporanea alla spilla in oro su cui è stata incisa, attribuita alla Tomba Bernardini di Palestrina (antica Preneste) [17].

Mi piace qui, della battagliera Guarducci, scrivere di un’altra campagna scientifica per contrastare una tesi riguardante la statua marmorea di San Pietro, oggi nelle Grotte Vaticane [18] e la statua bronzea di San Pietro, situata nella Basilica Vaticana, davanti al primo pilone destro della navata centrale [19]. Pure in questo caso i pareri sono rimasti definitivi e contraddittori, per la scomparsa delle due contendenti: Margherita Guarducci e Angiola Maria Romanini [20]. Fra le due studiose non corse mai buon sangue. Nella conversazione telefonica che scambiammo il 2 febbraio del 1989 [21] la Nostra

mi chiedeva il perché dell'attacco di Sgarbi a Federico Zeri. Mi informava ancora che era in corso di preparazione all'IPZS il volume sulla Madonna [22], mentre subito dopo avrebbe dato quello sulle statue di S. Pietro e di S. Clemente, che aveva dovuto rivedere nella seconda parte. Infine mi diceva della Romanini che ancora non aveva reagito per iscritto all'abbattimento della sua teoria del S. Pietro in bronzo come opera di Arnolfo di Cambio; mi confidava inoltre che a cercare di non farla ammettere fra i soci dell'Accademia Nazionale dei Lincei era stata proprio lei. La Guarducci infatti mi diceva che aveva studiato tutte le opere scritte dalla Romanini e che le aveva trovate assolutamente poco scientifiche, spesso errate e comunque senza metodo.

Soprattutto criticava lo stile letterario con il quale la Romanini redigeva i suoi saggi; nella testa marmorea di San Pietro, che ella attribuì ad Arnolfo di Cambio, leggeva anche la penetrazione psicologica dell’individuale ritratto, d’un’attualità pungente e tuttavia contenuta in un silenzio carico di energia, con accenti intimistici cari al Nostro [23]. Era uno stile imperante, al tempo, sull’onda degli scritti Roberto Longhi, “grande scrittore, poi grande storico dell’arte e infine grande commediante” [24] e dopo di Cesare Brandi, che Zeri attaccò con molto sarcasmo [25].

Sin qui ho parlato della scienziata Guarducci, avendo però già detto dello spirito arguto e salottiero della Nostra: ne ebbi un esempio la sera nella quale onorò la mia presidenza nel Rotary Club Monterotondo Mentana a novembre del 1987 [26]; fu una conviviale tenuta come “Omaggio a Federico Cesi”, il fondatore dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nella quale presentò il tema a lei congeniale, Pietro in Vaticano, con un eloquio discorsivo e coinvolgente. Seguì, da lei stimolata, una conversazione molto gradita dai soci che si sbizzarrirono nelle domande d’arte le più varie. Una, che ci era sembrata la più bizzarra, sull’arte grafica dei fumetti, invece la condusse a narrare di un vaso, antichissimo progenitore dell’odierno fumetto, nel quale si dava il “bentornata” alla primavera [27]. Parlò di un vaso della fine del VI secolo a. C. e delle epigrafi esplicative:

Il tema della rondinella che annunzia con il suo ritorno la primavera, è assai noto nella letteratura greca, ma nessun poeta riuscì mai, come il nostro pittore, a rendere con tanta semplicità e con tanta grazia il sentimento di gioia che la comparsa della prima rondine desta negli uomini. Le epigrafi esplicative sono talvolta apposte a scene intere, e non è raro il caso ch’esse siano scritte in modo da sembrare uscenti dalla bocca dei personaggi. Vengono così, talvolta, a crearsi briosi dialoghi. È significativo l’esempio offertoci da un famoso vaso ateniese, il cosiddetto ‘vaso della rondine’. Si tratta di una palìke a figure rosse oggi conservata a Leningrado (oggi San Pietroburgo, n.d.A.) e attribuita per buoni motivi al celebre pittore Euphronios. Due uomini, uno giovane e uno anziano, siedono uno di fronte all’altro su due sgabelli; a destra sta un fanciullo. Gli occhi di tutti e tre fissano una rondine che vola nel cielo. Espressi in alfabeto attico, s’intreccia qui un dialogo, cui prende parte anche l’artista. Dice il giovane: Guarda, una rondine. Risponde l’altro: Sì, per Eracle. Aggiunge il fanciullo: Eccola lì. Commenta l’artista: È già primavera.

Il risultato del lungo periodo di insegnamento di Margherita Guarducci fornì alla cultura un'opera che, ancora oggi, costituisce il caposaldo della didattica della epigrafia greca [28]: si edificò così il proprio monumento.

Note:
[1] Firenze, 20 dicembre 1902 – Roma, 2 settembre 1999. Allieva dell'archeologo Federico Halbherr, fu una delle prime archeologhe della Missione Archeologica Italiana a Creta, dal 1910 divenuta Scuola Archeologica Italiana di Atene. In questa veste pubblicò l'opera del proprio maestro, le Inscriptiones Creticæ, comprendente le iscrizioni in lingua greca e latina dell'isola di Creta, tra le quali vi era la Grande Legge di Gortyna, il codice giuridico più grande che l'antichità ci abbia trasmesso. Con questa pubblicazione Margherita Guarducci si guadagnò fama internazionale (internet).
[2] Le sue pubblicazioni scientifiche più importanti di Epigrafia furono stampate presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
[3] Mi riferisco ai quattro volumi della Epigrafia Greca e al volume di compendio L'epigrafia greca dalle origini al tardo Impero.
[4] Riporto dagli appunti delle mie agende: “Il 15.12.1989, alle 15, mi ha fatto la solita lunga telefonata Margherita Guarducci, felice perché Zeri si era complimentato per le due pubblicazioni (IPZS e Rusconi). Mi ha poi chiesto consiglio per la malattia della sorella, affetta da una periartrite per la quale stava praticando già l'agopuntura. Le ho promesso una visita a casa per la serata”.
[5] Rusconi ed., Milano 1993: A Salvatore Vicario, con viva cordialità, Margherita Guarducci, Roma, 17.6.1993.
[6] Mi diceva la Guarducci, nel corso della telefonata del 02.04.1989, di avere dato alla Rusconi un suo libro sulla vicenda della tomba di San Pietro, di cui aveva già scritto per i tipi dell'IPZS, ma arricchito con curiosità, aneddoti e soprattutto con lo scambio di opinioni avuti con tre papi: Pio XII, una vetta di cultura e un coraggioso (era stato lui a sfidare la tradizione e a consentirle di scoprire e rivelare la verità, anche negativa, se del caso); Giovanni XXIII, pio ma un incolto; Paolo VI, degno continuatore della linea pacelliana, anche nella cultura.
[7] Centro culturale di Milano, presentazione del libro di Margherita Guarducci La verità della tomba di San Pietro e il primato della Chiesa di Roma (internet). Cfr. pure Ennio Innocenti, Recensioni, ‘Seminari e teologia’, n. 28, gen.-feb. 1983, pp.1-3.
[8] Appunto dalla mia agenda del 1981.
[9] http://wsimag.com/it/cultura/9915-scevola-mariotti-gli-elementi-essenziali-della-cultura
[10] Del prof. Barbieri - da Studi pubblicati dall’Istituto Italiano per la Storia Antica (fascicolo trentaduesimo) - devo ricordare Il lapidario Zeri di Mentana, 2 vol., Roma 1982, integrato da Maria Grazia Granino Cecere, Nuove acquisizioni del Lapidario Zeri di Mentana, (fascicolo XL), Roma 1988.
[11] Qui lei citava i dati anagrafici che celo poiché i defunti sono sempre “pii e benefattori”.
[12] Liliana Madeo, I racconti del professore, Antonino Di Vita, Iacobelli editore, 2013, p. 25.
[13] Margherita Guarducci, La cosiddetta Fibula Prenestina, antiquari, eruditi e falsari nella Roma dell’Ottocento, Accademia Nazionale dei Lincei, Memorie, Cl. Sc. Mor…, s. VIII, vol. XXIV, Roma 1980, p. 539. Pure questa pubblicazione ebbi in omaggio con preziosa dedica.
[14] Sul tema cfr. Marco Bona Castellotti (a cura), Federico Zeri, Cos’è un falso e altre conversazioni sull’arte, Milano 2011; Zeri, Più falso del vero, più vero del falso, Mai di traverso, Milano 1982, pp. 161-163.
[15] Pure di Maria Santangelo, valente archeologa, vorrò interessarmi nel prosieguo della collaborazione con WSI: Laureata in Lettere con il massimo dei voti, la lode e la dignità di stampa della tesi (Il Quirinale nell’Antichità classica, Mem. Acc. Pont., V, Roma 1941) e vincitrice del relativo concorso ministeriale, fece parte della Scuola Archeologica Italiana in Atene nel 1939 e, per merito e per la prima volta nella consuetudine della Scuola, in base all’attività svolta venne confermata per l’anno successivo (1940).
[16] Può capitare pure questo. “Si verifica spesso che sono state considerate false delle opere che poi, a un successivo attento esame, si sono rivelate degli originali: il fatto dipendeva, e dipende ancora, dalla scarsa conoscenza che il critico ha di quel particolare periodo storico” (Zeri, Caro Professore, Roma 1998, p. 22).
[17] Marisa Ranieri Panetta, da Il Giornale dell'Arte numero 311, luglio 2011. Ho voluto segnalare questo capovolgimento, anche se non vi possa più essere il contradditorio, essendo ormai spente le voci delle due contendenti.
[18] Margherita Guarducci, Un Arnolfo di meno. Riflessioni sulla statua marmorea di San Pietro nelle Grotte Vaticane, in Xenia, n. 14 (1987), pp. 111-118.
[19] Id., Riflessioni sulla statua bronzea di San Pietro nella Basilica Vaticana, in Xenia, n. 16 (1988), pp. 57-72.
[20] Angiola Maria Romanini (Legnano, 26 febbraio 1926 – Roma 18 gennaio 2002) fu una storica dell’arte italiana. Con i suoi studi si interessò dell’arte longobarda e dell’architettura romanica e gotica; si soffermò soprattutto all’architettura degli ordini monastici. Ebbe il merito di fondare e dirigere la rivista Arte medievale e, per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, l’Enciclopedia dell'arte medievale.
[21] Erano le 22,30 di giovedì.
[22] Margherita Guarducci, La più antica icone di Maria: un prodigioso vincolo fra Oriente e Occidente, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS), Roma 1989.
[23] Id., Un Arnolfo di meno…, cit., p. 112.
[24] Marco Bona Castellotti, Conversazioni con Federico Zeri, Parma 1988, p. 15.
[25] Federico Zeri, Le rugiade del critico, Mai di traverso, Milano 1982, pp. 109-111.
[26] Conviviale rotariana presso il Centro Sportivo Mezzaluna del 28 novembre 1987. Bollettino del Club, a. III, n. 10, dicembre 1987, pp. 9-10.
[27] Guarducci, L’epigrafia greca dalle origini al tardo impero, IPZS, Roma 1987, p. 431.
[28] Cfr. nota 3.