La mattina dell’8 febbraio 2015 muore stroncato da un infarto improvviso Marco Tornar, poeta, scrittore e musicista. E’ arduo descrivere i tratti, la personalità, lo stile, la forza vitale che animavano tutto quello che faceva. La relazione con l’altro e con la vita ha costituito in lui la modalità per confrontarsi e declinare il suo talento di poeta e artista dalla scrittura raffinata e ricercata nel lessico e nella forma.

Innumerevoli gli scrittori, i poeti, gli artisti e gli amici con cui aveva intessuto legami forti, importanti e duraturi; il vivido interesse e la curiosità per gli accadimenti del mondo e per il senso più recondito della vita lo rendevano prolifico di idee, progetti, avventure culturali, che avevano sempre un esito straordinario. Il suo fine ingegno e quella capacità tutta sua di tenere alto il livello delle relazioni, di far scaturire il meglio di sé e delle persone che amava e stimava, una sorta di eutrapelia, non possono dissolversi con la sua dipartita materiale dal mondo. Marco era già disincarnato e il suo stare nel mondo era un vivere sospeso, percettivo, di quell’anima mundi, di quel genio dei luoghi che visitava, tale da profondere intorno a sé un aura remota e futura, fuori del tempo.

Lo stupore che provava per la natura in tutte le sue forme lo restituiva caparbiamente con la leggerezza e la forza di un virgulto. Irrompeva tramite la parola nelle chiacchiere vuote e banali con la semplicità geniale di un eterno ragazzo, stupito e attonito di fronte al lucido disincanto degli uomini avvezzi al mondo. A lui e alla sua poetica, al suo innocente amore per tutto il femminino, che seppe descrivere e sviscerare prudentemente nel più intimo significato ancestrale, dedico una giornata, il 24 Ottobre prossimo, a Firenze in un luogo di estrema bellezza: Villa Bardini. Qui studiosi e studiose del giardino e scrittori, musicisti e poeti si riuniranno per un pomeriggio e un concerto finale. Con un auspicabile tour alla Villa I Tatti, sede della Harvard University Centre for Italian Renaissence Studies di Firenze.

Quali sono le tematiche, i personaggi che catturano la fantasia di Marco Tornar, giovane aspirante poeta, diplomato in pianoforte? Me ne racconta, durante una passeggiata all’ombra delle alberature di un orto botanico, quello di Padova, città dove da poco si è trasferito, l’amico suo più intimo fin dall’infanzia, anche lui artista e scrittore. Mi dice che lo conobbe fortuitamente leggendo un piccolo libricino di poesie, che a soli 17 anni vide a casa di amici, appena pubblicato da Tornar: Il segreto (Arte della stampa, Pescara, 1981).

Tornar, nome di penna (si era dato il suo secondo nome Marco e il cognome della madre) faceva parte del circolo di poetesse e poeti pescaresi, Daniela Quieti e Nicoletta Di Gregorio, assieme all’editore teatino Massimo Pamio, con i quali condivise un'avventura avanguardista alla fine degli anni Settanta, il Gruppo Jarry, nel lontano 1978. Nella poesia si era buttato a capofitto, ma dopo diverse pubblicazioni che gli portarono riconoscimenti a livello italiano con case editrici importanti, come Jaca Book con la raccolta La scelta e con La furia di Pegaso: poesia italiana d’oggi, entrambe del 1996, il suo lavoro subisce una battuta d’arresto. E’ attanagliato dal disincanto e rompe con il gruppo di amicizie romane di scrittori e poeti che frequentava, anticipando quella crisi della poesia che di lì a poco avrebbe risentito anche l’editoria e di cui ancora oggi vediamo gli ultimi contraccolpi. Di questi giorni la notizia che sono in chiusura numerose collane dedicate alla poesia per motivi di riassesto economico anche all’interno di note case editrici.

Il suo iniziale afflato verso poeti romantici come Shelley, Byron e Browning approda alla prosa e alla traduzione di autori e autrici anglosassoni, cultori ed estimatori della cultura europea, protagonisti indiscussi del nuovo rinascimento della cultura italiana, quando, come veri insider, diventano parte integrante dello scenario culturale del XIX secolo tra Roma, Firenze e Venezia. La predilezione dello scrittore è verso quel folto gruppo di espatriati che oggi ha nomi altisonanti nella storia della letteratura anglosassone, ma che al tempo stentò a trovare una collocazione nello scenario letterario e poetico, in quanto detrattori del nuovo incessante progressismo e della modernità americana e anglosassone.

Affascinato da Henry James, dal quartetto Shelley, Byron e dalle rispettive compagne, le geniali scrittrici e sorellastre, Mary Woolstoncraft e Claire Clairmont, si getta nella traduzione e nello studio di questi classici che diventano quasi il mondo reale. Lasciando la poesia – il suo baluardo contro la crudeltà del quotidiano vivere – approda in un’isola felice, quella compagine di intellettuali che si staccano da una “certa America” per intingere la loro penna nell’arte e nei paesaggi italiani: gli anglo fiorentini. Oltre alle traduzioni di Henry James (1843 –1916), un autore che amava particolarmente, si appassiona, anzi viene letteralmente rapito da personalità che circuitano in quel bel mondo di intellettuali, connoisseurs, critici d’arte e di letteratura, che post mortem, anche grazie a lui, hanno ripreso a vivere con le sue traduzioni e i romanzi che loro ha dedicato.

La prima tra tutte le figure femminili di cui si era letteralmente invaghito – lui stesso ammetteva i suoi innamoramenti ineluttabili – è Claire Clairmont (Solfanelli, 2010) che diventa così reale e incarnata, attraverso la scrittura del romanzo omonimo per la prima volta a lei interamente dedicato, da considerarla una fidanzata virtuale. Ne fa un ritratto che riporta in vita la personalità assolutamente indimenticabile di una donna segnata dalla nascita di Allegra, figlia di Lord Byron. Quest’ultimo ritenendola pazza non le permise di vederla se non in rarissime occasioni. Allegra per sempre (Tabula Fati, 2011) sarà un monologo drammatico, che andrà due volte in scena: a Bentivoglio e ad Este, in cui l’autore racconta come una donna può incontrare la follia se privata della propria unica figlia.

Sempre su Firenze – dove visse Claire Clairmont (1798 –1879), secondo il racconto fatto a Henry James dal fratello infermo di Vernon Lee, scrittrice inglese anche lei espatriata in Italia con la famiglia, da cui il noto romanzo Il carteggio Aspern che James ambienta però a Venezia - si sofferma la ricerca assidua e tormentata di Marco Tornar che anche per la seconda eroina dovrà faticare per collocarla sia a livello biografico sia per le ardue traduzioni delle sue memorie europee: Mabel Dodge Luhan (1879 –1962). Di lei riuscì a trovare anche la magnifica dimora, oggi un condominio, ma rimasta ancora con i segni degli interventi voluti da lei e il marito architetto. Americana figlia di banchieri amò l’arte e il rinascimento italiano tanto da condurre a Firenze, a Villa Curonia, sulle colline di Arcetri, una vita dedita all’arte, secondo uno stile teatrale, come poche altre anglo-fiorentine tanto da ingraziarsi il più noto conoscitore d’arte Bernard Berenson, che viveva a Villa I Tatti.

Insieme a Marco scopriremo l’opera d’arte più interessante della collezionista d’arte newyorkese che proprio a Firenze costruirà uno dei giardini neorinascimentali più rigorosi anticipando una moda poi suggellata dal paesaggista maggiormente in voga del primo Novecento: Cecil Pinsent (1884 -1963). Il suo romanzo biografico Nello specchio di Mabel (Tracce, 2011) restituisce uno spaccato della vita fiorentina della upper class europea, durante l’epoca d’oro per la letteratura e le arti in Europa: il Liberty.

E con lei Marco Tornar non si ferma perché la sua attività di traduzione e ricerca è frenetica e costante – “la mia vita è una traduzione” mi confessava dopo notti insonni – si dedica a Kate Field – traduce con Tabula Fati (2012) Gli estremi si incontrano - e poi a Francesca Alexander (1837-1917), giornalista, conferenziera, autrice prolifica e attrice, e ancora a Vernon Lee (1856-1935) l’indomabile ed erudita scrittrice, italiana di adozione, che metteva in soggezione anche il supponente James, di cui proposi di tradurre Antichi giardini italiani (Tabula Fati, 2013), un saggio inedito per l’Italia, dopo una visita in cui lo portai a Villa il Palmierino sulle colline fiorentine, e infine a Constance Fenimore Woolson (1840 –1894) scrittrice e poetessa americana, a cui si dedica in quanto deliziosa e talentuosa - era la più dolce e tenera delle donne, piena di intelligenza e comprensione, dirà H. James - completamente dedita alla letteratura che non ebbe mai la felicità di essere corrisposta, come avrebbe desiderato, dall’amatissimo Henry James. A lei dedica la traduzione di alcune sue riflessioni poetiche su Venezia prima di suicidarsi, Visioni Veneziane (Tabula Fati, 2014).

L’ultima sua fiamma è Clare Benedict (1870–1961) niente altro che la nipote amatissima di Fenimore Woolson, una donna girovaga che insieme alla madre Clara Woolson Benedict e poi con la zia “Connie” visse solo alloggiando in alberghi di lusso in tutta Europa; molto facoltosa amante dell’arte e della letteratura fu filantropa soprattutto per sostenere gli scrittori emergenti attraverso una fondazione, la James Fenimore Cooper Stipendien-Fonds, e donò tutta la sua biblioteca al Cimitero Acattolico di Roma, contribuendo anche a restaurare il giardino rimasto in abbandono dopo la Seconda guerra mondiale. Di lei Tornar aveva una stima smisurata per la sua autonomia, le idee politiche e le voleva dedicare un volume di racconti che aveva tradotto. Mi chiese un parere sul titolo e decidemmo per L’ombra degli alberi e poi come altre volte di scrivere un saggio sul tulipano che portava il nome della scrittrice Tulipa eichlerii ‘Clare Benedict’ …lo scrissi ma era troppo tardi… Qui riporto una delle sue prime poesie – dal volume La scelta - che ricalca l’essenza del suo grande amore per la vita.

Dedica

Dei nostri incontri non parlerò a nessuno.
Né alle streghe né al vento
né a questi anni pieni di luce e di pazzia.
Nessun colore imbratterà quel bianco
dove ci siamo conosciuti, con gli occhi lieti
e la semplice magia di tutti i sogni. «Ma qui vicino
c’era la sorgente dell’acqua…». Ogni lanterna
sarà la nostra casa, la nostalgia che assiste
come fiocchi di neve
il silenzioso ferirsi della goccia sul viso. E nella casa
ho visto nello specchio una candela
la melodia che sale, il vino, quei profili di porpora
che guardano lontano
verso vangeli sconosciuti, un’amicizia.
Poi, le mille strade di un mattino.
Come quando, colmi di affetto e di tristezza,
stringendo in mano un segno della vita
camminiamo sotto altari di pioggia
mentre appare, dal niente, una parola
.

(Marco Tornar)