Cosa vuole raccontarci di lei?

Sono una “ragazza” milanese, nata negli anni Cinquanta e cresciuta in un ambiente proletario, dove la lingua madre era il dialetto milanese. Per noi allora piccoli, era però severamente vietato, vuoi per la errata credenza che andasse a compromettere l'apprendimento della lingua italiana e forse ancora sulla scia del fatto che durante il fascismo il dialetto fosse, se non proibito, certamente poco gradito. I miei genitori e i miei nonni paterni parlavano milanese disinvoltamente e quotidianamente, ma si rivolgevano a me sempre e solamente in italiano. La mia nonna aveva davvero molte difficoltà a parlare l'italiano, avendo quasi esclusivamente sempre parlato in dialetto; da qui una serie di deliziose rivisitazioni della sua parlata, ridotta e costretta in un italiano bislacco e divertente.

La sua immagine esteriore come “personaggio” e il suo sentire come “persona”...

Il mio personaggio e il mio sentire come persona hanno la medesima matrice. Da quando ho lasciato senza rimpianti il mondo del lavoro, dopo ben quarantadue anni di servizio in un settore che non amavo e che certamente non mi ha realizzato, ho potuto dedicarmi completamente a ciò che mi piaceva, senza più dover combattere col tempo e con gli impegni. Ho così potuto scrivere alcuni libri (di cui due dedicati all'infanzia) e altri principalmente in poesia milanese. Seguo come insegnante due corsi di cultura milanese: uno al Circolo Filologico e l'altro presso una biblioteca comunale. In entrambi i corsi mi occupo del laboratorio di poesia, con allievi perlopiù attempati. Da circa quattordici anni tengo degli incontri con le classi elementari di alcune scuole pubbliche della zona di Milano Sud, coinvolgendo eterogenee scolaresche con filastrocche, modi di dire e canzoni milanesi. Di tanto in tanto, mi esibisco come cantante nel repertorio classico milanese e di testi miei, presso associazioni, piccoli teatri, locali tipici. Ho lavorato per anni con il grande attore Antonio Bozzetti e ancora attualmente con Gianfranco Gandini, in spettacoli canoro-recitativi.

Si sente di raccontare il suo sogno?

Vivo il mio sogno. Dopo anni di lavoro presso una nota assicurazione, desideravo insegnare, scrivere e cantare...

Per lei il piacere è…

Quando il pubblico che ho davanti, sia che canti o reciti, respira con me.

La donna oggi: liberazione o integrazione?

Date le indicazioni precedenti, è chiaro che ho vissuto gli anni della liberazione femminile. Liberazione quindi, assolutamente e sempre per tutte quello donne che ancora sono oggetto di discriminazione, sfruttamento e violenza.

Donna e/è potere… cosa ne pensa?

Donna è potere, ma non amo le “donne di potere”, brutta copia di stereotipi maschili. Amo il potere della genialità, dell'originalità, della diversità. La fragilità che si coniuga con la tenacia. Adoro essere donna. Non ho mai voluto diversamente.

Stereotipo e realtà della donna milanese...

La donna milanese è per tradizione energica, economa, combattiva, volitiva, materna: la “resgiora” insomma, reggitrice della casa e della famiglia. Questo vale ancora per la mia generazione, forse molto meno per quella attuale. Queste ossute e indaffarate donne in carriera, che lavorano fin tardi, che si nutrono di aperitivi, tutte vestite con divise firmate, tutte sempre di gran fretta, sempre incavolate non corrispondono ai miei canoni di donna milanese, che però forse dovrei aggiornare...

Il rapporto della donna con l’uomo contemporaneo: confronto o scontro?

Parlando di rapporti personali, credo che ora più che di conflittualità, si possa parlare di disagio. I ruoli non sono più così chiari e delimitati e ho l'impressione che si cerchino, senza trovarli, dei codici nuovi per il vivere di coppia. L'incontro con altre culture, così diverse dalla nostra, per costume e abitudini, disorienta ulteriormente e ritengo ci vorrà tempo perché si attui un vero e proprio fenomeno di integrazione, soprattutto per le coppie miste.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

Per quanto mi riguarda, è stato più che mai impegnativo vivere varie realtà cercando di fare al meglio o almeno al meno peggio... In giovane età ho vissuto la mia sessualità con fasi alterne, spesso con difficoltà e limitazioni dovute a un tipo di educazione tradizionale degli anni a cui appartengo, incalzata però da un vento di liberazione che abbatteva gli antichi principi. Più avanti con maggiore disinvoltura, ma sempre con qualche remora. Ho spesso preferito le amicizie alle esperienze, anche dopo il mio divorzio consensuale, che concludeva senza spargimento di sangue, venticinque anni di un difficile matrimonio. Essere madre è l'avventura più impegnativa e travolgente della mia vita. Ho avuto due figli maschi a distanza di due anni uno dall'altro. Ora sono uomini indipendenti e realizzati. Io sono stata una mamma presente, ma non chioccia, genitrice amichevole, ma non “amica”. I ruoli per me hanno ancora importanza. Lavorare e avere il peso di una famiglia non è stato semplice, per fortuna i miei genitori, che ora non ci sono più, sono stati di grande aiuto e sostegno. Ora vedo che molti giovani coppie (e i miei figli per primi) hanno scelto di accompagnarsi solamente e di non procreare, forse per procrastinare una maturità e delle responsabilità che ancora li spaventano.

Martin Heidgger ha scritto: “Il dialetto è la fonte piena di mistero di qualsiasi lingua cresciuta… ”. E’ vero che alcune cose si possono dire meglio in dialetto e altre meglio in italiano?

Come ho già detto, il dialetto è la lingua madre, a volte in antagonismo con il linguaggio ufficiale “paterno”, quello dell'autorità e dei doveri. E' il libero linguaggio creato dal popolo, dalla sua arguzia e dalla disobbedienza. Creativo, coraggioso, immediato e impertinente, a volte perfino codice segreto per parlare tra simili in barba al potere. Si avvale di suoni spontanei e onomatopeici, legati all'ambiente e alla situazione sociale. Fate caso ai dialetti liguri, languidi e strascicati, che hanno sonorità di risacca e onde marine, o quelli della bergamasca, duri e incisivi, pietrosi come le montagne e spesso pronunciati a voce molto alta, per colmare forse le grandi distanze da valle a valle. La lingua milanese è spiccia, pratica, bonaria. Le sue parole spesso non finiscono con la vocale, ma restano come in sospeso nelle consonanti, quasi per non risolvere, per lasciare spazio all'interpretazione. Ovviamente diventa lingua dotta se percorsa da letterati e poeti, che però, quando davvero grandi, non la spogliano delle radici. Porta diceva appunto che si recava ogni mattina a istruirsi “...a la scoeura de lengua del Verzee” (alla scuola di lingua del mercato ortofrutticolo, dove il dialetto era più vibrate e reale).

Quale peso lei crede possano avere la conoscenza e l'uso del dialetto nella cultura contemporanea?

Perdere la matrice da cui si proviene è sempre un gran danno per la nostra conoscenza e per la nostra identità. E' come cancellare pagine di storia, di pensieri, esperienze e opinioni che sono state e sarebbero formative per il futuro. I dialetti sono un valore aggiunto, che ci identifica, ci rassicura e ci fa più tolleranti verso le altre culture. E' il monito che deve ricordarci di quando eravamo “povera gente”. Deve essere motore di solidarietà, non reclusione o scudo verso ciò che è diverso ma non per questo negativo.

Secondo lei, i dialetti hanno ancora qualcosa da dare alla lingua italiana?

La lingua italiana ormai è un'ipotesi, travolta dall'inglese e dai suoi termini tecnici e tecnologici. Noi milanesi siamo i primi responsabili della “caduta del passato remoto”, usando in dialetto solo il passato prossimo, per trascinarlo poi nella lingua italiana. Ora il congiuntivo è un malato terminale. I mezzi di comunicazione ne hanno già decretato l'eutanasia. I ragazzi parlano un linguaggio basico, hanno un ristretto vocabolario e i neologismi non portano certo in pari il numero delle parole perse. Direi che la lingua italiana è il dovere, mentre il dialetto è il piacere, per le già citate ragioni.

Cosa ne pensa dell'insegnamento del dialetto a scuola?

Non posso che pensarne bene, ma esiste il problema di una docenza quasi inesistente. Come ho detto, io faccio qualcosa, ma è una goccia nel mare. Mio padre (classe 1911) aveva un sussidiario che serviva a tradurre dal milanese in italiano. Ora quanti sarebbero in grado di fare al contrario?

C'è interessamento e collaborazione da parte delle istituzioni?

La scuola propone già dalle primarie corsi di lingua straniera, ma sempre rivolti alla praticità di un futuro lavorativo. Non vedendo alcuna praticità nei dialetti, a parte qualche regione fortemente arroccata nella propria cultura e idioma, li abbandona al personale interesse di pochi. A Milano pare che il dialetto sia esclusivamente un fatto politico, legato a fazioni che assurdamente lo rivendicano come proprio. Una città matrigna per quanto riguarda la sua lingua d'origine, non aiuta, non sovvenziona e guarda con sospetto e sufficienza. Quando in un afflato di polverosa nostalgia, si cimenta a utilizzarlo per qualche manifesto, locandina di rare manifestazioni, senza prudenza né timore, lo scribacchia così come viene, senza neppure l'umiltà di consultare uno dei tanti e validi vocabolari esistenti, umiliando e offendendo la grafia ufficiale, codificata nella tradizione letteraria e contenuta in ottime e varie grammatiche. Si tenga presente che non si è intervenuti neppure per la chiusura, dopo circa trent'anni di attività, di Radio Meneghina - creatura del direttore, il giornalista Tullio Barbato - unica emittente milanese a Milano, che ha dovuto sospendere le trasmissioni per mancanza di mezzi. La Compagnia di Marionette Colla, famosa in tutto il mondo e che dal 1835 dà lustro a Milano, non ha una sede e si appoggia a teatri parrocchiali e ad altre collocazioni di fortuna. In realtà, la sua sede ideale sarebbe l'antico e prestigioso Teatro Gerolamo, ormai chiuso da anni, che ogni amministrazione ha promesso di rimettere in funzione, non mantenendo mai il proposito. Questi sono solo pochi esempi, ma ne avrei da raccontare...

Società e cultura locali come percepiscono il dialetto?

Una deprimente situazione, che riduce il milanese nella realtà di finte vecchie osterie, dove diventa vernacolo volgare e smodato.

Lei fa parte del prestigioso Circolo Filologico, ce ne può sinteticamente illustrare la tradizione, l’attualità e le iniziative per il dialetto?

Già dagli anni '70 il Circolo Filologico, oltre i tanti corsi di lingue straniere e corsi di vari argomenti, si occupa di mantenere e diffondere la cultura milanese, con corsi di grammatica, letteratura e visite guidate a musei e monumenti della città, conferenze a tema, pubblicazione di libri e traduzioni di grande impegno. Si ricordi la traduzione de I vangeli in milanese, approvata dalla Curia e gratificata con lettera papale. I nomi eccellenti che fondarono la Sezione di Cultura Milanese ora purtroppo sono tutti mancati, ma hanno lasciato un segno forte e indelebile in coloro che hanno proseguito il non facile lavoro, compresi di tale importante eredità. Negli anni '70 ci fu un rinnovato interesse per il dialetto e per le tradizioni popolari e quindi anche la “cultura ufficiale” per un po' strizzò l'occhio a questa rinascita. Attualmente l'interesse si è di gran lunga smorzato e purtroppo suscita poco interesse da parte dei giovani.

Il dialetto o i dialetti, oggi, a Milano e provincia: chi li parla e come si parlano?

A Milano il dialetto è parlato dagli anziani che ancora sono affezionati alla parlata antica e dagli addetti ai lavori. C'è anche una fascia intermedia che lo parla male, italianizzandolo, senza saperlo scrivere. Nei giovani è pressoché sconosciuto. Diversa è la situazione della provincia, dove ancora lo si parla quotidianamente e dove anche i giovani si cimentano a utilizzarlo, ma spesso solo come forma di un campanilismo non sempre sano.

Quali sono le caratteristiche della tradizione letteraria dialettale meneghina?

La letteratura milanese ha forti radici nella poesia, più che nella prosa e nei testi teatrali, ma attualmente con poca attività di buon livello. I grandi poeti, studiosi e commediografi appartengono al passato; alcuni contemporanei sono purtroppo già mancati in questi ultimi anni. Grandi studiosi come Dante Isella, Claudio Beretta, Cesare Comoletti, Aldo Leonardi e Giorgio Caprotti non hanno formato nuove leve per continuare il loro operato. Questo lascia una voragine culturale quasi impossibile da colmare. Diversamente da quanto è accaduto per esempio a Napoli, i grandi poeti milanesi non hanno scritto per la canzone e quindi, salvo rari casi, non abbiamo una importante produzione canora come quella partenopea che spesso si è avvalsa di nomi eccellenti. Certo Giovanni Danzi, Nino Rossi e Nanni Svampa hanno contribuito a tenere alto il nome di Milano canoro, ma sono autori contemporanei. Di antico ci sono solo poche canzoni popolari, perlopiù di anonimo.

E oggi, autori, attori, edizioni, compagnie?

Le compagnie teatrali ormai sono quasi tutte amatoriali, certamente volonterose, ma assolutamente non incentivate dal Comune e quindi agonizzanti per mancanza di introiti. Piero Mazzarella è stato l'ultimo baluardo di una tradizione di teatro dialettale, che ha avuto precedentemente ottimi nomi, ottimi copioni e consenso di pubblico. L'ultimo poeta milanese è a mio avviso Franco Loi, contemporaneo e grazie a Dio, vivente. Il suo modo di scrivere il dialetto non è proprio pragmatico e aderente al milanese che si insegna al Circolo Filologico, ma certamente i contenuti sono di uno spessore poetico straordinario. Tra le ultime case editrici, attiva è ancora la Meravigli, ma molte altre sono state obbligate a chiudere, un po' per il disinteresse del pubblico e purtroppo prevalentemente per l'attuale situazione economica. La televisione, con rare e piccole emittenti, banalizza il dialetto, lo reclude in tristi balere, con canzoni al limite delle decenza. Questa deprecabile convinzione che abbina il dialetto allo sproloquio, alla parolaccia, al pesante doppio senso non è facile da sradicare.

In quali luoghi, ambienti, angoli si può respirare la milanesità?

Non certo nelle finte case di ringhiera, che ora sono abitazioni di gran lusso, né in quei locali alla moda sui Navigli, dove si esibiscono grotteschi e sguaiati musicanti. Direi che si trova in alcune vecchie piole (osterie/trattorie), di solito collocate appena fuori Milano, in alcuni Cenacoli, come El Sciroeu di poetta, in poche compagnie filodrammatiche (che nulla hanno da spartire con i notissimi “Legnanesi”) e naturalmente al Circolo Filologico, dove grazie alla Sezione di Cultura Milanese e al suo attuale presidente, signora Mariella Pelizzeris, si continua a insegnare e a far appassionare i partecipanti al nostro caro dialetto.