Cosa vuole raccontarci di lei?

Mi chiamo Dorothee Mack, ho compiuto, pochi mesi fa, 50 anni e sono pastora protestante. Sono, quindi, ministro di culto, laureata in teologia protestante, e negli ultimi dieci anni ho svolto il mio servizio pastorale nella Chiesa evangelica valdese di Milano. Da poche settimane mi sono trasferita dal centro di Milano, dove si trova il Tempio Valdese, al quartiere Isola, per continuare il mio ministero presso la Chiesa evangelica metodista (le Chiese metodiste sono in unione con quelle valdesi), in una comunità composta da persone provenienti da ben 18 paesi diversi. La Chiesa metodista – una Chiesa nata nel 18esimo secolo come movimento di rinnovamento spirituale in Inghilterra e arrivata in Italia col Risorgimento, una Chiesa che dichiara che la sua parrocchia è il mondo e che cerca di essere presente nel mezzo dei problemi della società - è da anni una specie di “laboratorio” della società milanese che, secondo il mio avviso, non è più immaginabile al singolare, come realtà esclusivamente italiana, ma va ormai affrontata e vissuta al plurale.

Qual è stato il suo impatto con Milano?

Quando, 10 anni fa, sono arrivata a Milano (siamo una famiglia italo-tedesca con due figli, bilingui e binazionali, mio marito è nato e cresciuto in Piemonte ed è valdese) mi ha colpito da subito l’internazionalità di Milano rispetto ad altre città italiane dove, in passato, avevo trascorso qualche mese, oppure qualche anno della mia vita. E’ un aspetto che mi piace molto, perché come straniera non mi fa sentire estranea e perché fa riferimento a uno dei miei grandi sogni: la pacifica convivenza di persone diverse tra di loro, la diversità riconciliata, come si direbbe usando un linguaggio più teologico. Sono cresciuta nel sudovest della Germania e sin da bambina ho visitato l’Italia. Di Milano, finché non mi sono trasferita qui nel 2005, conoscevo soltanto la Centrale e la tangenziale. Nulla aveva fatto scattare in me la voglia di fermarmi e di conoscerla più da vicino. 10 anni dopo dico con convinzione, che conoscere Milano vale la pena! E’ sicuramente una città un po’ faticosa, per i ritmi che detta e - per i miei gusti- con l’eccessiva necessità di apparire, ma è senz’altro una città che offre molto a livello culturale (sempre di più!) e che ha un cuore grande (capitale del volontariato) e un’apertura mentale notevole. Sono contenta di poterci stare ancora per un po’ di anni.

E il suo sogno?

Vi è un brano che, sin dalla mia adolescenza passata in Germania alla fine degli anni ‘70 e all’inizio degli anni ‘80 (gli anni del movimento per la pace), mi ha ispirato per continuare a sognare un mondo diverso, un mondo al di là della segregazione e della paura. Ecco alcune delle parole scritte e proclamate dal pastore evangelico battista Martin Luther King: Ho sognato ancora che un giorno la guerra finirà, che gli uomini trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro e le loro lance in roncole, che le nazioni non si alzeranno più le une contro le altre e che non impareranno più la guerra.

Ci può illustrare la genesi e alcune peculiarità delle Chiese Valdesi e Metodiste?

La Chiesa metodista di Milano, come risposta all’arrivo di immigrati nella città, ormai parecchi anni fa, si era organizzata per accogliere credenti protestanti anglofoni provenienti da altre parti del mondo. La Chiesa valdese - nata come movimento di pauperismo dopo il 1170 e diventata Chiesa protestante aderendo, nel 1532, alla Riforma, adottando l’organizazione assembleare che Giovanni Calvino e altri riformatori hanno voluto dare alla Chiesa - ha fatto, in questi ultimi anni, con i suoi membri, un percorso per arrivare a una completa accoglienza di credenti lgbt, che si è realizzata, in modo visibile, nel 2011, con la benedizione di una coppia gay, tutti e due membri della Chiesa. Il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, insieme all’assemblea delle Chiese battiste, aveva, già, nel 2007, affermato, che ogni relazione d’amore, vissuta in reciprocità e con responsabilità, era sotto la promessa di Dio. Tutto un idillio nelle Chiese protestanti di Milano? Di certo no! L’accoglienza di chi è diverso da me rimane una sfida e ogni tanto una fatica, anche all’interno delle Chiese. Una sfida alla quale dobbiamo rispondere, giorno dopo giorno, perché l’apertura verso l’altro, l’altra, fa parte del DNA di un cristiano e di una cristiana. Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo vi ha accolti, così ci esorta l’apostolo Paolo nella sua lettera alla comunità di Roma (Romani 15,7).

Come si concilia la sua missione pastorale con gli altri impegni della vita?

Faccio la pastora dal 1992, in contesti molto diversi. In quello milanese, proprio in quanto donna, mi sono trovata incoraggiata e sostenuta. Milano è, in effetti, una città nella quale la maggior parte delle donne lavora fuori casa anche se sposata e/o con figli, di certo negli ambienti in cui mi muovo io maggiormente. Qui non mi devo spiegare e giustificare perché lavoro, perché faccio la pastora e ho famiglia. Certamente non è sempre facile conciliare lavoro e vita privata e il mio è un lavoro che non è assolutamente quantificabile a ore. Quando i nostri figli erano piccoli abbiamo potuto sperimentare, qui a Milano, oltre alla solidarietà dei nonni (seppur non presenti a Milano), anche quella di famiglie amiche del giro della scuola ed è stato un grande beneficio avere le scuole primarie con il tempo pieno.

Come si configura la presenza femminile nella Chiesa valdese?

Nella Chiesa valdese esistono le donne pastore dal 1967. Ormai il 30 % del corpo pastorale è femminile. Nel 2005 per la prima volta una donna è stata eletta moderatora della Tavola Valdese, che è l’esecutivo della chiesa nazionale. Una donna pastora, una donna alla guida della Chiesa, deve, però, e questa è stata anche la mia esperienza qui a Milano, di continuo dimostrare di essere all’altezza del suo incarico, di essere in grado di gestire sia la chiesa sia la famiglia. Temo che siano ancora lontani i tempi in cui qualcuno chiederà a un pastore maschio con famiglia: “Lei, come pensa di organizzarsi con la famiglia?”. A me, invece, è capitato più volte sentire l’affermazione nei miei confronti: “Certo, tu devi pensare anche alla famiglia… ”. E quindi? Ricordo, però anche, quante volte mi sia stato detto: “Certo, tu come donna, facendo la pastora, hai una marcia in più rispetto ai tuoi colleghi maschi”, riferendosi alla mia capacità di essere empatica e comprensiva. Non mi sono mai sentita sola, isolata, come donna pastora qui a Milano. Sin dall’inizio del mio ministero ho fatto l’esperienza di essere accompagnata e sostenuta da alcune donne della comunità (e dalle mie colleghe; nel 2005 eravamo a Milano, nelle diverse Chiese protestanti, ben 5 donne pastore!). Le chiamo le mie sorelle amiche, perché oltre alla fede comune ci lega anche una bella amicizia. Loro, per me, sono state e sono una vera fonte di “empowerment” femminile.

La Madonna, nella teologia cattolica, è la figura femminile più importante, e in quella protestante evangelica?

Maria, la madre di Gesù, nelle Chiese protestanti è considerata semplicemente una sorella nella fede e non venerata. Quando è in attesa della nascita di Gesù e non sa bene come affrontare questo evento, va da Elisabetta, sua cugina e sorella nella fede e riceve, in questo incontro, la forza per portare avanti il progetto di Dio di un mondo nuovo. Maria e Elisabetta sono due donne che prima di noi hanno creduto, sperato e lottato, hanno pregato l’una per l’altra e si sono incoraggiate a vicenda per non perdere la speranza che questo mondo diventi più giusto e offra la possibilità di vivere in modo dignitoso a tutti e tutte. La statua della Madonnina, uno dei simboli di Milano, è per noi protestanti, quindi, nient’altro che una rappresentazione di una sorella nella fede. La venerazione della Madonna, nella nostra visione, è nata per accontentare l’esigenza di potersi rivolgere a Dio al femminile, vedendo in Dio soprattutto il Padre severo e il giudice spietato. Il protestantesimo ha recuperato il lato più “femminile” di Dio, grazie alla riscoperta di sue immagini bibliche come la chioccia, coma la madre che consola e altre ancora.

Si sente realizzata come donna?

Io non mi sento diversa da altre donne di questa città, sono una di quelle che cercano di vivere la loro vita in modo più coerente possibile, che sognano una vita buona e sensata per i loro figli, ma anche per i figli e le figlie di altri meno fortunati… Sì, mi sento fortunata, perché ho la mia famiglia vicino, ho un lavoro per il quale ricevo riconoscimento, ho una casa, amici e amiche, fratelli e sorelle e un luogo di culto in cui esprimere la mia spiritualità e fede! Sono una donna che oltre ad affrontare, possibilmente con grinta, i pesi, le difficoltà e le fatiche della vita, ha anche la possibilità di vivere la sua leggerezza. Che cosa rende più leggera la vita? Cibo condiviso, un bel sorriso, uno sguardo verso un cielo terso in una giornata di primavera, la scoperta di un cortile stracolmo di alberi e di piante oppure di un nuovo pezzo di pista ciclabile che mi porta a destinazione e non nel nulla, un bambino africano che alla domanda Ma tu sei straniero? risponde con convinzione: No, sono italiano!, un aperitivo insieme a persone a me care, la salita sul tetto del Duomo.