Al dito un serpentello sfolgorante di diamanti neri. Un anello chic, super chic. Gli occhi verdi, né giada né smeraldo, di quel verde indescrivibile che dilata all’infinito la malinconia, l’enigma, la dolcezza, la classe. Gli occhi con i quali Stanley Kubrick rischiarò la cupezza di Barry Lyndon insieme alla luce di centinaia di candele, facendo di Marisa Berenson, sfortunata protagonista, l’idea stessa della bellezza intangibile. Seduta nel Salone Magliabechiano della Biblioteca degli Uffizi, qualche tempo fa, per presentare il suo libro Momenti intimi la Berenson era l’incarnazione perfetta dell’americana fiorentina. Come se non fossero passati oltre cent’anni da quando Firenze fu il luogo prescelto da intellettuali, artisti, aristocratici, personaggi sessualmente indecisi, tipi originali provenienti dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Seduta nel Salone Magliabechiano, la Berenson spiegava che si ritiene privilegiata per l’educazione ricevuta, ma che questo non l’ha mai preservata dal dolore né dalla fatica di trovare la propria strada interiore. “Forse voleva dire istruzione” uno dei presentatori la corresse. E lei: “No, volevo dire proprio educazione. Ho studiato al Poggio Imperiale, conosco l’italiano”. Negli scaffali circostanti i volumi di suo zio Bernard, storico dell’arte e collezionista di fama immensa.

Henry James, con snobismo, era già disgustato ai suoi tempi: troppa marmaglia e troppo caos. Ma se lo scrittore, nato a New York nel 1843 e morto a Londra nel 1916, si lasciava infastidire dalla confusione di Firenze, soprattutto per togliersi lo sfizio di dirlo, senz’altro godendosi la propria autorevolezza, gli inglesi e gli americani dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento adoravano Florence, dove l’arte li tramortiva e la sensualità si spandeva come gli iris nei campi. In quell’aria liberatoria anche le donne si esprimevano nel culto della Rinascenza, la pittrice pre-raffaellita Evelyn De Morgan nella natia Inghilterra non avrebbe potuto frequentare nemmeno le accademie pubbliche.

“C’è una raffinatezza, un’intelligenza, una perspicacia. Per me l’aria è come champagne” annotò nel 1865 Lady Paget, diarista e amica della regina Vittoria. Sebbene becero voglia dire sguaiato, insolente, volgare, l’anglobecero è l’anglosassone di grande stile che abita a Firenze o la frequenta molto e perciò diventa differente da chiunque altro. Anglobecero, appunto, anche se la parola va usata con prudenza per non risultare screanzati. Fuso con le statue, i fondi oro e gli ulivi, in confidenza con il giardiniere e la governante, impegnato a proteggere il patrimonio artistico, ma mai del tutto integrato. Inglese fiorentino, americano fiorentino, per dirlo senza becerume.

Iris Origo, venuta al mondo Bayard nel 1902, crebbe fra New York, l’Irlanda e Villa Medici a Fiesole; nell’autobiografia Immagini e ombre. Aspetti di una vita dichiara Bernard Berenson: “Il personaggio più incisivamente definito, più celebrato del palcoscenico fiorentino dell’epoca. […] L’eleganza del suo aspetto negli abiti grigio chiaro, dal taglio perfetto, con un garofano rosso scuro all’occhiello, la calma estrema della sua voce, la raffinatezza dei suoi modi, sommato a quanto avevo sentito raccontare circa le sue osservazioni distruttive e il suo sapere enciclopedico, tutto questo, semplicemente, era troppo per me. Quando veniva da mia madre per il tè, a volte portando con sé un suo ospite, Logan Pearsall Smith, Edith Wharton o Robert Trevelyan, io aspettavo, nascosta nell’ansa delle scale, di sentire l’auto ripartire”. Dopo aver terrorizzato la piccola Iris, Berenson rincasava a Villa I Tatti, ora sede dell’Università di Harvard.

Sir Harold Acton viveva invece a Villa La Pietra, Vernon Lee al Palmerino, la Regina Mary a Villa I Cedri: “Come erano felici quei giorni, qualche volta vorrei con tutto il cuore tornarci” scrisse nel 1888. Elisabetta, madre dell’attuale regina, albergava a Villa Capponi: “Questo è senz’altro un posto incantevole e c’è un albero di arance nel giardino e tanti fiori. Li raccolgo prima di colazione”, un suo ricordo del 1907.
La Regina Vittoria si muoveva fra Villa Palmieri e Villa Stibbert e in città comprò Gina, un volpino di Pomerania, primo di una stirpe: in seguito si fece mandare altri cuccioli della stessa razza per la sua riserva di cani da esposizione.

I sudditi britannici residenti a Firenze eressero una fontana in suo onore in occasione del giubileo di diamante del 1897. “Palazzo Pitti era magnifico. Gli Uffizi accolgono la collezione più strabiliante, tuttavia piazzale Michelangelo, con la colossale statua del David, copia dell’originale, e quattro statue attorno, non è di mio gusto” sentenziò la sovrana nel 1888. Per D. H. Lawrence, arrivato nel 1919, il David di Michelangelo, quello vero, era “un momento di perfezione” e benché L’amante di Lady Chatterley si svolga in Inghilterra, le descrizioni campestri furono ispirate dal suo soggiorno toscano. Lucy, in Camera con vista di E. M. Forster s’imbambola in piazza Santissima Annunziata e pensa di non aver visto niente di più incantevole.

Vernon Lee, psedudonimo maschile di Violet Paget, visse al Palmerino, alle pendici della collina di Fiesole, dal 1889 alla morte nel 1935. Nata nello stesso anno di John Singer Sargent, dal quale fu ritratta, ospitava Berenson, Aldous Huxley, Anatole France e Mario Praz. Secondo Henry James era di gran lunga la mente più brillante in circolazione di quegli anni. Il suo amore per Firenze è inciso su una targa al Palmerino dove l’omonima associazione culturale perpetua un’atmosfera incantevole, autentica e cosmopolita.

  1. Elizabeth Barrett Browning, la poetessa, scelse con il marito Robert Casa Guidi, in Oltrarno ed è sepolta nel Cimitero degli Inglesi, in piazzale Donatello, in quella che riteneva: ”La più bella città concepita dall’Uomo”. Il giorno del suo funerale le botteghe di via Maggio chiusero, in segno di rispetto.