Nei segni più semplici si cela la sapienza più profonda. Il presepe di Natale sembra una memoria solo popolaresca e folkloristica, eppure il suo fascino ci parla un linguaggio antico ed eterno che mai cessa di stupire e di incantare, come irradiando una luce delicata ma penetrante, soffusa ma gloriosa. Nel presepe napoletano i simboli appaiono più vari e più ricchi, in quanto discendenti dai Vangeli apocrifi e dalle ricche tradizioni orali, ma iniziamo accennando alla dimensione temporale del Natale per poi analizzare gli elementi essenziali del Presepe, soffermarci sui segni complementari, per poi proporre un esempio di composizione apparentemente innovativa del Presepe, ma in realtà più tradizionale e più fedele all’eterno Mistero. Tutto sta nel ricordarsi che il Presepe è teofania e cosmogenesi, sacra e viva rappresentazione e processo dinamico trasfigurativo.

Il Tempo del Natale è il tempo di Aion, il tempo della sapienza e della genesi creativa. In epoca alessandrina al solstizio d’inverno una processione usciva dal tempio di Kore e si gridava: “la Vergine ha partorito l’Aion”! Questa unica e speciale fase del tempo inizia il 13 dicembre e continua fino al 2 febbraio. Sono le feste della Luce. Ovviamente stiamo parlando di un tempo qualitativo, cioè di una dimensione/stato dell’essere che si manifesta in modo particolare solo quando si apre la porta del San Giovanni maggiore, e la Luce inizia a crescere. Il tempo del Natale è il tempo epifanico della nuova Luce, della Rivelazione, della Rinnovazione palingenetica, il tempo decembrino di Saturno e di Dioniso quali simboli dell’età dell’Oro che irradia celandosi e si lascia sorgere nel nascondimento e nel travestimento, il tempo del carnevale nordico che segna il passaggio all’anno nuovo, dove si danza e si suona, si accendono fuochi e si arde il vecchio, il tempo del compimento.

La capanna/grotta – la mangiatoia – il bue e l’asino – i pastori – la Stella – i tre Re Magi – gli angeli: ecco i fattori essenziali che dipanano il volumen misterico della nascita umana del Figlio di Dio. La capanna manifesta il tronco di Iesse di cui Cristo è il nuovo e definitivo Germoglio, ma anche l’Albero della vita del Paradiso terrestre per il nuovo Adamo. La grotta accentua la sfumatura corporale e ctonia della nuova Genesi, la Luce che splende nella grotta è segno della Nuova Creazione che unisce l’abisso celeste all’abisso terrestre e ricrea il mondo e l’umanità dall’interno e dalla sua radice.

Cristo è la Roccia di salvezza e la Pietra di paragone, Pietra viva, quindi la nascita nella roccia indica la salvezza della natura umana e la sua consacrazione. La mangiatoia è segno eucaristico del Dio che si fa cibo, ma viceversa anche altare dell’uomo che si divinizza offrendosi a Cristo. La paglia segno trasformativo, segno dell’umanità che passa e si trasfigura. Il bue segno sacrificale e di devozione alla Fede, segno del lavoro spirituale, dell’aratura e della mistica semina dell’agricoltura celeste. L’asino segno di sapienza, vitalità e umiltà. I pastori sono gli adepti del Mistero, gli iniziati al vero culto di Dio. Indossano infatti il berretto frigio di Mithra e suonano flauti, zampogne e siringhe. Lo stesso berretto di Babbo Natale (San Nicola) e il berretto rituale del Pontefice svolge la stessa funzione cosmica. Le pecore sono le pecore di Labano e Giacobbe, le pecore del Galaad. I pastori sono coperti dalle pelli delle pecore perché è scritto: “Descendet Dominus sicut pluvia in vellus”.

La Stella è nuova, luminosissima e si ferma in capo alla capanna/grotta, segno della rinascita dall’alto, dell’elevazione dello spirito, delle nozze mistiche fra Cielo e Terra, dell’accensione della Pietra, del nuovo Sale che dà sapore all’anima e all’universo. I tre sapienti dell’Oriente appaiono segni della Trinità ma anche della continuità fra le antiche e la Nuova Alleanza e del compimento delle profezie. I loro doni sono segno della novità gloriosa di Cristo: l’Oro della regalità, dell’amore, della sapienza (lo Zolfo alchemico), l’Incenso dell’adorazione, della preghiera, e dell’oblazione, (il Mercurio ermetico) e la Mirra dell’Immortalità e della purezza, fedeltà e stabilità divina (il Sale filosofico). Cristo bambino è la Pietra viva e nuova, la Pietra di fondamento e chiave di volta. Unità in Trinità e Trinità e Unità.

I loro tre nomi simbolici ci parlano di luce, regalità e gloria. Vengono dall’India, dalla Persia e dall’Etiopia. Uno di loro è nero, uno aureo e uno bianco. I cammelli sono segno di sapienza e di memoria, ma anche segno dell’androgino alchemico. I segni complementari del Presepe sono: il Mulino, la Colonna spezzata, il Ponte e la Fontana, il pescivendolo e gli altri venditori, i giocatori, l’osteria, la lavandaia, la zingara. Il Mulino rappresenta il Tempio di Cristo e la sua Sapienza creatrice, dove si frantumano le olive in olio (la misericordia di Dio) e i chicchi in farina (Cristo è il lievito). Al Mulino corrispondono l’arrotino e la filatrice. Dio opera come un Mulino, e Betlemme significa “Casa del Pane”. La Colonna spezzata è segno ambivalente: gli idoli antichi distrutti, ma anche la liberazione della natura umana e la Verginità di Maria fecondata dalla Luce di Dio. Il Ponte è il Natale stesso nella funzione pontificale di Cristo che ricapitola in Sé tutta la storia e rinnova l’Alleanza fra Dio, l’Uomo e il Creato.

Il Natale nel suo senso dinamico di rito eterno di passaggio, come la Pasqua. La Fontana è la Misericordia e la Grazia che sgorgano dal Bimbo divino, il nuovo Fiume edenico e apocalittico. Il pescivendolo è il nuovo discepolo che offre Cristo-Pesce, ma anche l’Opera di Dio che pesca le anime. Gli altri venditori indicano tutte le stagioni dell’anno, a indicare il compimento della pienezza dei tempi con l’Incarnazione. La zingara appare immagine molteplice: indica il pellegrinaggio, le tribù disperse d’Israele che ritornano, la povertà spirituale e la libertà dei figli di Dio, lo svelamento della Verità e delle profezie, e, per la sua pelle scura, come per uno dei Re Magi, l’accoglienza del Sole di Cristo e l’assimilazione a Lui. L’osteria è il cuore umano alla cui porta Cristo bussa. I due giocatori sono di due San Giovanni: il Battista e l’Evangelista, coloro che per Dio custodiscono le due porte di Giano o della Sapienza. La lavandaia indica la Redenzione dell’umanità, la nascita verginale del Cristo-tintore, l’Opera della Sapienza preparatrice, e il lavoro ermetico sulla materia.

Come comporre un Presepe che manifesti maggiormente la grande e unica carica misterica del Natale di Cristo? Non ci sono regole fisse ma solo armonie e corrispondenze. Ecco come ho composto quest’anno il Presepe e come ho elaborato un albero di Natale. Su un tappeto di muschio vecchio e nuovo sfilano le pecore sul pianale del camino. A un’estremità un fanciullo suona il flauto di legno sotto una palma e lì vicino si riposa un cammello. Nel mezzo un pescivendolo grida alzando il pesce. All’altra estremità un campanello rosso e argento con sopra un viso vecchio e barbuto. Lì vicino il picciolo secco di una zucca e un piccolo riccio. Subito dopo, separate da uno steccato in legno secco e scuro, la capanna lignea con posta sul tetto: una pigna aurea, una stella, una candela, un melograno, una mela, una pera, del vischio, tre ciliegie, e degli aghi di pino. Sulla tavola una tovaglia azzurra e rossa e sopra tre candele: rossa, verde e ocra chiaro. Davanti al Bimbo un ibis aureo e azzurro. Appena sotto il margine del pianale un orso appeso a un nastro aureo-rosso-verde. Nel mezzo del muschio pigne secche e scure, una lepre e delle oche, e un uccellino rosso-bianco e verde. Per l’albero ho decorato un ramo frondoso di oleandro con pigne rosse e auree, una stella luccicante con una pigna aurea nel mezzo, e l’ho fasciato con un nastro azzurro alla base e aggiungendo sopra un fiocco azzurro. L’ho fissato a un’asta ferrosa del ballatoio e lì vicino ho acceso una candela nera bassa e larga posta su di un rocchetto bianco.