Con umiltà inizio questa terza parte, ben conscio di mettere in discussione assunti, sanciti come certi dalla maggior parte degli “addetti ai lavori” del territorio eretino; tuttavia reputo un “dovere” verso la comunità di Monterotondo - che mi ha gratificato all’inizio della mia avventura storico-letteraria, essendo sindaco Renato Borelli [1] - continuare con convinzione questo confronto.

Nei due articoli precedenti, sul tema, ho voluto evidenziare i dubbi che mi hanno portato a non accettare come definitive le ‘certezze’ sul sito di Eretum dei tanti seguaci del de Chaupy [2]. Dal 1973, quando furono identificate le prime tombe della necropoli [3], sino al 1981, quando fu inaugurata la mostra Enea nel Lazio: archeologia e mito [4], gli articoli su questo argomento parlarono di ipotesi in modo sempre più pressante, sino alla pubblicazione del catalogo che propendeva, quasi ufficializzandola, per la Necropoli di Colle del Forno quale Necropoli di Eretum.

La finalità di questa terza parte non è davvero quella di porre in evidenza torti culturali: se le mie non sono state sviste, penserà il tempo a scrivere la parola idonea. Quello che conta, a oggi, è che nessuno degli archeologi operanti in questo territorio a NE di Roma si sia discostato, né ancora si discosta neppure ipoteticamente, dalla “certezza” messa nero su bianco dall’archeologa Paola Santoro. Ella ha scritto che Eretum era stata identificata con Monterotondo dal Gherardi e altri; che in seguito altri avevano prescelto come sede di Eretum Grotte Marozza o Casale Manzi, per approdare, infine, con De Chaupy e Ogilvie a Casacotta [5]. Scrisse testualmente: In effetti l’altura di Casacotta risponde dal punto di vista topografico alle indicazioni forniteci da Strabone e Dionisio di Alicarnasso: vicino al Tevere, in posizione elevata, al XVIII miglio della via Salaria (A. Pasqui, NS 1910, pp. 366-369 [6]) ed all’incrocio di questa con la via Nomentana…

A me sembra che, per essere così perentoria, la Santoro abbia sorvolato su qualche particolare: il ritrovamento del milliarium di Nerva, in primis, che costrinse il Pasqui a riesaminare l’idea, già allora dominante, secondo cui la Salaria avesse abbandonato «la pianura tiberina al diciassettesimo miglio, poco dopo l’Osteria del Grillo, e prendesse a salire sulla destra i colli di Casacotta, fino a raggiungere la località ivi prossima, denominata Rimane o Arimane. Quivi - scrisse il Pasqui - con una linea molto arbitraria i topografi fanno congiungere la via Nomentana alla Salaria» [7]; che abbia dimenticato, almeno di citare, inoltre - e con lei l’intera “scuola dell’Area Ricerche CNR, Sovrintendenza, via Salaria, Monterotondo”- la bibliografia che propone Eretum nella zona prossima alla collina di S. Anzino, iniziata nel 1970 [8] e proseguita sino a oggi.

A seguito delle precedenti considerazioni [9], posso oggi affermare che certamente Eretum non è da collocare né a Casacotta né sulla collina di Sant’Antimo [10], e che pure la viabilità dell’agro nomentano-eretino, fin qui tratteggiata, vada riesaminata. La via Nomentana ha un percorso millenario che si è spostato solo per piccoli tratti tra l’attuale km 17 e il km 22, per confluire, passando per Monterotondo e Santa Maria su via S. Martino, nella via Salaria nel tratto prossimo all’attuale Ponte del Grillo, ora modificato da una rotatoria. Inaccettabile è quindi il nome via Nomentana per il tragitto verso Grotte Marozza; questo percorso infatti ha già un nome, via Reatina, documentato almeno sin dal secolo VIII d.C. e non è “un by-pass tra Nomentana e Salaria [11] e tanto meno, a seguito dell’autorità di J. Coste, un proseguimento della via Nomentana [12]. Inaccettabile, inoltre mi sembra, il voler continuare a chiamare, impropriamente, Via Nomentum-Eretum - già prima preteso come via Nomentana da Corrado Pala [13] - il tragitto indicato come “il tratto di scavi inserito all’interno della riserva naturalistica della Macchia di Gattaceca” e con tale nome promosso e pubblicizzato dall’Archeoclub d’Italia, sezione Mentana-Monterotondo.

E infine la Necropoli di Colle del Forno - L’articolo di Claudio Finzi [14] così si chiudeva: Qualcuno situa Eretum al chilometro 32 della Salaria, ma altri ritengono fosse sul Colle di Casacotta, esattamente di fronte alla necropoli. La distanza è leggermente superiore alle consuete intercorrenti tra città e necropoli, ma sempre in limiti accettabili. La dottoressa Paola Santoro, che ha diretto lo scavo sotto la supervisione del professor Massimo Pallottino, è convinta di aver dissepolto la necropoli di Eretum; ce lo aveva già detto tempo fa e lo ha anche scritto nel catalogo della mostra. Ora sarà necessario trovare la città per l'ultima conferma [15].

Questa mia lunga ricerca pubblicata su Wall Street International dimostra che la necropoli non possa essere quella di Eretum. Questa terza parte, quindi, è finalizzata a tentare di capire il “perché” del ritrovamento - estremamente importante - di tale Necropoli e il “perché” proprio in quel luogo. Paola Santoro, cui va riconosciuta la paternità dell’ipotesi Necropoli di Colle del Forno=Necropoli di Eretum, già nel 1981 ha scritto:
L’abitato [di Eretum] era stato importante invece in età più antica, e le fonti lo ricordano più volte per la sua particolare posizione di confine tra il territorio latino e la Sabina, negli scontri che, sotto gli ultimi re di Roma, oppongono Romani, Etruschi e Sabini, nella valle del Tevere. […] Anche nella prima età repubblicana la città è ricordata come caposaldo nelle guerre tra Romani e Sabini: nel 458 dopo il grave pericolo portato dal quel popolo sotto le mura di Roma i Romani avevano usato Eretum come base per compiere gravi devastazioni in territorio sabino; infine nei conflitti del 449 i Sabini si accamparono ad Eretum per portare l’attacco contro Roma, ma vennero sconfitti.

Queste battaglie, giustamente citate dalla Santoro [16], hanno lontane conferme; fra le tante: Luigi Canina, Epoca anteromana, in “Esposizione storica della Campagna romana antica …”, lib. I, dai tipi dello stesso Canina, Roma MDCCCXXXIX, p. 95 sgg; Antonio Nibby, Carta dei dintorni di Roma, II, pp. 143 sgg; Ettore Pais, Storia di Roma, vol. II, pp. 28, 47; vol. III, pp. 12-13 e 49-56; e di recente, Alessandro De Luigi, Le battaglie di Eretum nell’età dei Re. Alcune osservazioni sulle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso, in “Annali 2009” dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus, pp. 33-40.

Quindi, esclusa l’ipotesi Necropoli di Colle del Forno=Necropoli di Eretum; considerato che allo stato delle attuali conoscenze, di nessuno dei centri dell’agro nomentano e dell’estremo lembo della bassa Sabina, Nomentum [17], Crustumerium, Ficulea, Eretum, Cures, sia stata ancora identificata una necropoli, mi sembra più logico pensare ai caduti in quelle lontane battaglie: i morti sul campo non venivano riportati in patria. Si spiegherebbe così la varietà, evidenziata negli studi specialistici, delle tante modalità di inumazione, riscontrate nelle diverse tombe della necropoli in oggetto.

Si legge: ...i loculi sono chiusi da tegole poste ad incastro, secondo un uso già testimoniato nelle necropoli del territorio falisco-capenate; altrove: Confronti tipologici con il tipo di tomba documentato (tomba XI), rimandano alla necropoli capenate di S. Martino e alle tombe a camera ipogeica dell'Esquilino; ancora oltre: … Il fondo culturale testimoniato dalla necropoli, con olle d'impasto rosso decorate da cordoncini plastici, le brocche e le piccole ciotole emisferiche, è quello che si trova a Roma nei corredi delle tombe del Palatino, … e dell'Esquilino, … ed anche nello spazio geografico della cultura laziale… Si legge ancora: ... completano il quadro gli arybolloi etrusco-corinzi, ... i vasi italo-geometrici con decorazioni a fasce rettilinee...: insomma, è il paradigma assoluto dell’incontro delle civiltà, prossime al fiume Tevere, latina, sabina, falisca e capenate.

Il dubbio dovette certamente essere insorto nei sostenitori dell’ipotesi nata con il De Chaupy, se poco oltre così si legge: Allo stato attuale degli studi e delle scoperte è difficile precisare a quale centro questa necropoli fosse pertinente: cronologicamente le tombe portate alla luce si inquadrano fra la fine del VII secolo e la prima metà del VI secolo a.C.

È mio fermo convincimento, dopo tanto lavorio e ricerche, che le sepolture ritrovate a Colle del Forno possano essere quelle dei sabini, latini, romani, falisci, capenati, etruschi che proprio in quei luoghi perdettero la vita - re e principe compresi - nelle tante battaglie del tempo dei re di Roma e dell’inizio della repubblica, combattute presso Eretum.

Leggi anche la Prima Parte e la Seconda Parte.

Note:

[1] Stefano Borelli, Mio padre, un insegnate, un sindacalista della scuola, un antifascista e militante comunista, un Sindaco, editrice Risa, s.d.
[2] Hence Abbé Capmartin De Chaupy, Decouverte de la maison de Champagne de Horace, t. III, p. 85-93.
[3] Claudio Finzi, Che cosa nascondeva la Necropoli di Colle del Forno? I segreti dei guerrieri sabini, Il Tempo, a. XXX, n. 149, 2 giugno 1973, p. 3: l’articolo merita attenzione poiché è la prima pietra di un edificio alto “33 anni”.
[4] Paola Santoro, La città sabina di Eretum, in Aa. Vv., Enea nel Lazio: archeologia e mito, Palombi ed., Roma 1981, pp. 57-58.
[5] Santoro, La città sabina, cit., p. 57.
[6] Qui la Santoro cita impropriamente il Pasqui come fosse fonte a suo favore.
[7] A. Pasqui, Montelibretti, Tratto di via antica e milliarium scoperto presso il Tevere, Regione IV (Samnium et Sabina), Sabini, pp. 366-369.
[8] Vincenzo Fiocchi Nicolai, La Catacomba di S. Restituto a Monterotondo (Roma): un monumento recentemente ritrovato, in Rivista di Archeologia Cristina, Città del Vaticano 1998, pp. 70-71, 22n; Salvatore G. Vicario, Monterotondo in Sabina, Roma 1970; Id., La Nomentana, strada di Roma per la bassa Sabina, 1994, p. 120; A.F., Alla ricerca di Eretum, in Il Tempo, a. XXVII, n. 325, 12 dicembre 1970, p. 12.
[9] http://wsimag.com/it/cultura/20619-eretum-e-la-necropoli-di-colle-del-forno.
[10] M.T. Bergamaschi, R. Di Giovannandrea, Il palazzo di Monterotondo, Roma 2015, p. 254, 19n. In questo volume di recente edizione viene ancora pretesa come via Nomentana antica la via Reatina di Mentana verso Rieti per chi viene da Roma e via Romana per chi la percorre venendo da Rieti.
[11] Terzilio Leggio, Le principali vie di comunicazione della Sabina Tiberina tra X e XI secolo, in “Il Territorio”, 2 (1986), p. 14.
[12] Jean Coste, L’incastellamento lungo la via Reatina, in “Scritti di topografia medievale”, Roma 1996, pp.503-512.
[13] Corrado Pala, Nomentum, Forma Italiae, Regio I, Vol. XII, Roma 1976, p. 115 e fig. 303.
[14] Finzi, Che cosa nascondeva…, cit.
[15] Già in questa notizia si nota l’ansia della scoperta eclatante, che fa passare alla storia.
[16] Paola Santoro, La città sabina, cit., p. 57.
[17] Di Nomentum conosciamo solo due cimiteri, ma cristiani: le Catacombe di S. Alessandro e di S. Restituto lunga la via Nomentana.