Vi son di quelli ai quali io sembro troppo mordace nella satira, e ch'io tenda il lavoro oltre la legge (del genere); un'altra parte stima che tutto ciò che io ho composto è senza forza, e che mille versi simili ai miei possono esser tirati giù in un giorno.
(Satira I, libro II delle Satire)

Con l'arrivo dell'età augustea (44 a.C-14 d.C), la società assiste a un cambiamento epocale a cui anche molti autori devono abituarsi e, tra questi, il poeta Quinto Orazio Flacco (65 a.C -8 a.C) che costruisce faticosamente il suo rapporto con quest'epoca.

Orazio è alla perenne ricerca dell'equilibrio interiore che per forza di cose è anche letterario. In questo senso, egli viaggia nella direzione opposta di Catullo e di Lucrezio (Catullo, per intenderci, aveva un approccio assoluto alla vita, scriveva sotto la spinta dell'amore vissuto senza filtri e mezze misure, secondo quella che è una concezione assolutistica dei rapporti). Orazio veniva definito un autore ''melanconico'', in tempi moderni forse diremmo ''nevrotico'' e se sceglie un canale di comunicazione come la satira per raccontarci parte della sua personalità, un motivo c'è. La scelta di un genere come questo è già una presa di posizione ideologica ben precisa. Nonostante sia uno degli autori dei quali sappiamo di più, Orazio, amico e cliente di Mecenate, è un uomo impalpabile, tant'è che ci si è sempre chiesti quale fosse il nucleo della sua personalità.

Chi era Orazio? In cosa credeva? Sicuramente un uomo che si misura in maniera sfaccettata con i problemi del suo tempo e che non ci dice mai come la pensa. Anche quando parla di sé, si osserva dall'esterno quasi come un arbitro (ciò avviene nella storia del suo viaggio a Brindisi, ad esempio). Noi lettori capiamo come la pensa solo attraverso una serie di spie interne al testo, come se si trattasse di una qualche strategia di autodifesa. Un uomo che non si innamora mai. E non lo fa perché in parte è epicureo (e secondo la filosofia epicurea, un individuo per essere saggio ed equilibrato deve far in modo di non circondarsi di cose e persone che lo facciano soffrire) e poi perché nessuna esperienza è per lui così importante. Per Orazio ciò che importa è l'identificazione con un luogo, vale solo questo. Esistere in un determinato contesto. Inoltre, a causa delle guerre civili di quegli anni, la popolazione ormai dimezzata perde la sua identità e così anche gli autori vivono in una condizione di profondo disagio, restando senza riferimenti interiori. Non c'è mai un'identità tra l'autore e la situazione di cui si sta parlando.

Orazio fa i conti con l'avvento al potere di Augusto (ancora non c'è stata la battaglia di Azio) e la situazione politica è davvero critica perché assieme al rafforzamento del potere massimo dell'aristocrazia, si rafforza anche l'espressione massima delle plebe. Anche Orazio combatte (è nominato addirittura tribuno militare) e vede in Bruto il paladino della libertà (sappiamo come è finita), quindi certamente non si lascia scivolare addosso gli eventi, approdando alla consapevolezza che il regime in cui vive è il più normale possibile ma che bisogna trovare comunque un un equilibrio, una soluzione al disordine.

Per raggiungere questo equilibrio, Orazio cerca delle risposte nell'epicureismo. Quello che vuole è porre un filtro, attraverso l'ironia, tra la propria personalità e quello che gli accade attorno ed ecco che la satira gli permette di distaccarsi da quelle che erano le regole costitutive della satira stessa. Ogni suo componimento (come le Odi) ci presenta un Orazio diverso. Una delle parole più presenti nella sue opere è la parola cura che, in realtà, significa angoscia, costante preoccupazione. Un vero e proprio parametro di riferimento per comprendere il suo desiderio di liberarsi da questa tensione continua che sfocia in una paura più grande: quella della morte. Vi è in lui un'ansia di senilità precoce ed è per questo che appare distaccato e disilluso rispetto al tempo ''vissuto''.

La personalità del poeta è quindi segnata dal distacco di cui abbiamo parlato. Distacco che si concretizza in una ricerca di saggezza attraverso un percorso di scrittura in cui non si pone mai come maestro ma si muove assieme al lettore per giungere a delle conclusioni morali. Per ciò che riguarda l'aspetto professionale, Orazio decide di scrivere di letteratura che non è più lo sfogo del momento ma il risultato di un lavoro tecnico vero e proprio. La letteratura è un porto sicuro. Grazie a una forte componente filosofica, l'autore elabora modelli che per lui sono migliori degli altri; fa delle scelte e le spiega come spiega il suo esprimersi a favore dei moderni. Quella che ci regala è una visione più attuale e mediata della letteratura anche se sostiene che non si possa fare ''teatro per tutti'' in quanto la società resterà sempre e comunque differenziata al suo interno. Per meglio raccontare ciò, si serve della metafora dell forbice: da una parte ci sono gli ignoranti, i disastrati che vanno a vedere gli spettacoli dei gladiatori e dall'altra le classi privilegiate che vogliono ed esigono cultura (insomma, la differenza è che a loro non interessa ridere agli spettacoli).

Dunque, potremmo dire che Quinto Orazio Flacco è stato anche un teorico e bisogna avere una cultura immensa per capirlo; perché solo così si può dare vita alla letteratura del futuro. Sebbene la letteratura sia ''un affare aristocratico'' e il latino utilizzato dal nostro poeta è misurato, con un'armonia tutta interna, Orazio rappresenta a tutti gli effetti l'inquietudine del suo tempo e cioè quella dell'uomo animato da spinte differenti ma fedele ai tumulti dell'anima.