Fabbrica Europa. Ci vuole più che mai, no? E per fortuna c’è: dal 1994, a Firenze, grazie a un progetto lungimirante di Maurizia Settembri e Andrés Morte Terés. Dopo che la Gran Bretagna dei nostalgici imperialisti di campagna ha detto good bye al Continente, provocando le lacrime dei ragazzi per i quali l’Europa divisa era una roba da libri di storia e non certo un ostacolo alla loro vita senza frontiere, cosmopolita e domestica con naturalezza.

Dopo le cavalcate populiste e xenofobe sulla Brexit degli intercambiabili Salvini, Le Pen femmine e parenti vari dell’internazionale della demagogia, Fabbrica Europa ci vuole più che mai. Non solo per il nome, così incoraggiante, ma per la creatività che il festival porge ogni primavera al pubblico della Stazione Leopolda, luogo di archeologia industriale che scatena l’immaginazione ogni volta che lo si rivede tanto è speciale.

Maurizia Settembri, una pasionaria spiccia dai penetranti occhi chiari, racconta che fondò Fabbrica Europa per promuovere il lavoro di otto coreografi e che quando, alla Regione Toscana, dove era andata a caccia di fondi, qualcuno le chiese: “Mi assicuri che questo progetto cambierà Firenze?” rispose un sì sonoro con punto esclamativo. Li ebbe quei fondi, anche dalla Provincia, mentre il Comune, amministrato senza guizzi, disse che non c’era una lira: “Inoltre nel ’90 Firenze era stata capitale della cultura e questo aveva prosciugato i soldi, in città c’era il deserto. Chiusa la bottega di Vittorio Gassman. Chiuso tutto”.

Fabbrica Europa è una casa per la cultura di tutta Europa, e il resto del mondo è venuto da sé: è officina, palcoscenico, laboratorio della ricerca e della sperimentazione. Con 23 edizioni e numerosi progetti di produzione, formazione e cultura all’attivo, il festival ha dato spazio a moltissime realtà artistiche locali, nazionali e internazionali di livello alto e al di fuori dei circuiti tradizionali. Danza, ma non solo. Il legame di Fabbrica Europa con… l’Europa è testimoniato anche dalla politica degli investimenti dell’Unione che negli anni ha contribuito al finanziamento degli eventi più significativi, riconoscendone il valore e la portata internazionale, come Il disordine delle arti (1994, ’95 e ’96) pensato per sostenere i giovani artisti in rapporto alle città d’arte.

La città d’arte è una “cosa” che molto ispira e molto soggioga, se poi la città d’arte è quella per antonomasia cioè Firenze, l’affare si complica. Maurizia Settembri è appena tornata da Montreal, incantata dal FTA Festival TransAmériques: “Sono simili a noi, fanno le stesse cose che facciamo noi, lavorano per creare un pubblico responsabile, ma mi piace di più come comunicano: per esempio i programmi sono tutti i giorni nella saletta degli alberghi, mi piace che tutta la città confluisca nel centro, in Place des Arts, e partecipi. Firenze no. Ma certo lì a Montreal non hanno la dispersione artistica di Firenze. Eppure, e non solo perché sono fiorentina, Fabbrica Europa non poteva che nascere qui: un posto di incontro di culture diverse”.

Migliaia di opere d’arte distolgono l’attenzione dal resto e al contempo nutrono: Fabbrica Europa con abilità da funambolo ha trovato l’equilibrio fra i due aspetti e i numeri dell’edizione appena conclusa lo raccontano: 53 rappresentazioni di cui 13 prime nazionali, 4 anteprime, 13 nuove creazioni,15 creazioni under 35, 2 installazioni, 5 incontri, 150 artisti da nove paesi europei: Italia, Spagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito, Danimarca, Svezia. 10 paesi extraeuropei: Tunisia, Libano, Palestina, Togo, Niger, Mali, India, Giappone, Stati Uniti, Argentina.12.000 biglietti venduti, 16.000 like sulla pagina Facebook, 94.000 visualizzazioni sul sito Fabbrica Europa dal 24 marzo al 16 giugno. E i numeri non raccontano la poesia, la libertà, l’originalità, la sincerità degli spettacoli.

Sedute a un tavolino assolato del caffè delle Murate, Maurizia Settembri, direzione danza, multimedia e progetti internazionali del festival, e Simona Nordera, responsabile della comunicazione, anche lei con gli occhi chiari, fanno il punto della situazione. Sfinite dall’impegno degli ultimi mesi, un po’ sbuffanti al pensiero della taccagneria di certi ambienti, preoccupate all’idea che la Stazione Leopolda, complice delle suggestioni di Fabbrica Europa, diventi la maggior parte dell’anno dominio della moda di Pitti Immagine, “bene gli eventi veramente glamour, ma che non si pensi alle feste di matrimonio e simili”, si rendono conto che, in realtà, quello che desideravano ce l’hanno già, e non lo scoprono con la delusione alla Oscar Wilde: “Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio e soddisfarlo”, ma con un compiacimento appena accennato . Perché Fabbrica Europa ha un’identità prepotente in senso positivo e spettatori responsabili. “Un pubblico che coglie gli stimoli, ci segue, ci aspetta, viene anche alle cose più difficili - spiega Nordera -. Quando cominciamo ad annunciare gli spettacoli in cartellone si crea l’attesa, poi la Leopolda diventa anche luogo d’incontro”.

Un pubblico, non una casta, che quindi accoglie l’altro pubblico: quello che si avvicina per la prima volta, quello che capita per caso, e magari la sera dopo è di nuovo lì, non più per caso, la signora adorna di monili etnici non esclude la signora in tailleur che sulle seggioline spartane ritrova il fremito che certi velluti a volte non le procurano più, il giovane non esclude l’agé. “Ho notato anche che il nostro è un pubblico di viaggiatori - prosegue Nordera -. Ci siamo ritrovati ingegneri, architetti dall’Africa. Eleganti ma non snob”.

E gli artisti! L’entusiasmo degli artisti. “Lo spazio della Leopolda rimane nella memoria anche dopo anni e anni. Alcuni sono venuti nel 1997 e ancora ci pensano - spiega Settembri -. Gli artisti vogliono tornare e quando tornano hanno sempre delle idee proprio per quello spazio”. E che artisti! Talenti pazzeschi, tutti diversi. I riccioli afro si intrecciano con i capelli biondi degli scandinavi sotto lo sguardo di occhi allungati dall’Oriente. Ci vorrebbe una mobilitazione per la Stazione Leopolda. Che sia sempre di più una Fabbrica di intelligenza e concordia.