Consapevolezza è una canzone degli Area, terza traccia del lato A di Arbeit Macht Frei. Nella poetica del testo individuo con un certo margine di serena onestà intellettuale quella di Gianni Sassi, collaboratore e paroliere del gruppo. Demetrio Stratos, personalità di spicco del gruppo, fu musicista di sconfinato talento e probabilmente uno dei più dotati cantanti della storia della canzone (anche se mi assale la vergogna nel parlare di “storia della canzone” in riferimento al gruppo di spicco dell’era italiana del Rock Progressivo Italiano, apice nostrano dell’età dell’Oro del Rock). Ma il misconosciuto intellettuale milanese rappresenta la chiave di volta dello spessore intellettuale dei contenuti verbali della musica più innovativa, tecnica e strabiliante di quel periodo.

Consapevolezza è un incoraggiamento a compiere un viaggio dalla Terra allo Spazio per poter osservare da un punto di vista privilegiato e più nitidamente la natura oscena delle cose umane. I motivi per cui, nell’intento di reperire il testo sul web, ci si imbatta in storpiature e abbruttimenti che sicuramente, per ragioni estetiche e di contenuto, non sono figli della volontà dell’autore, rimangono oscuri. In ogni caso l’unica soluzione per chi desiderasse conoscere la versione originale del testo resta ascoltare la canzone, nel contesto della quale ogni parola risulta comprensibile e salvaguarda la profondità intellettuale del proprio messaggio.

Consapevolezza parla di meditazione, viaggio estatico e morte. “Sciogli i capelli sali insieme a me/viaggia nel cielo tra luci di stelle/cavi d’acciaio che danzano muti/lascia partire il tuo ascensore”. S’io fossi Gianni Sassi userei “capelli” come metafora (una potente metafora in considerazione dello stile dei ribelli di quel tempo) dei pensieri consci e ordinari che compongono le sovrastrutture cognitive, potente macchina che intrappola l’essere umano e lo vincola alla realtà comunemente condivisa e accettata, alla versione ufficiale per così dire. In definitiva si tratta di un biglietto per la nave spaziale che ci conduce al punto d’osservazione dei bastioni d’Orione, ivi giunti ci voltiamo verso la Terra ad assumere consapevolezza di “tutta la squallida realtà/un tempo che l’umanità/ha sempre vissuto senza libertà/tutto l’amore ridotto nel nulla/riposa vecchio fra mostri di muffa”.

L’opera intellettuale degli Area, non quella musicale, presenta dal mio punto di vista di nullità una sola pecca: si è lasciata trascinare dagli eventi storici. Il furore combattivo della giovinezza, che ha condotto i musicisti a concertare la provocazione di distribuire P38 di cartone col vinile (credo proprio di Arbeit Macht Frei), indica palesemente il fallimento di questi artisti nella missione di estraniarsi dal terreno arido velenoso e ammorbante della politica, per mantenere un’attitudine indipendente, libertaria e pacifista. Hanno ben ragionato nell’acquisire la consapevolezza che “l’umanità ha sempre vissuto senza libertà”, ma dopo aver constatato che “tutto l’amore ridotto nel nulla”, hanno optato per l’incitazione alla rivolta armata, alla risposta violenta, al cambiamento radicale e repentino. Hanno peccato della stessa ingenuità degli anarchici d’inizio Novecento, che dalle prigioni europee vivevano giorni tutti uguali e tutti alimentati dalla speranza di veder giungere i compagni a liberarli, di udire la notizia che la società borghese era crollata e sorto il non spazio dell’utopia.

Tutti questi poeti e sognatori non hanno mai fatto i conti coi vagiti della fame della prole degli sgherri o con la loro ignoranza, assenza di consapevolezza. Con l’individualismo innestato dalla Natura nell’uomo quale meccanismo di sopravvivenza. Hanno lavorato il fianco della coscienza delle masse, hanno colpito duro all’anima e al cervello, ma in definitiva colpivano un po’ alla cieca. Credo che un regista o un poeta più abile e luminoso di altri si limiterebbe a dipingere scenari idilliaci e bucolici, egloghe erotiche, per così dire. Petit déjeuner dans l'herbe. Gianni Sassi prende le mosse dalla constatazione di “tutto l’amore ridotto nel nulla”, centra il punto, ma chiude con qualche schizzo fuori dal vaso quando nell’ultimo verso incita “lascia partire il tuo ascensore/lascialo andare e prendi il potere”. Ma sarei ignorante a decontestualizzare il prodotto artistico antagonista del tempo della contestazione del ’68. No.

Ἄˉσπί˘δι˘ μὲˉν Σα˘ΐ˘ωˉν τι˘ς ἀ˘γάˉλλε˘ται˘, ἣˉν πα˘ρὰ˘ θάˉμνῳˉ,
ἔˉντο˘ς ἀ˘μώˉμηˉτοˉν,‖ κάˉλλι˘πο˘ν οὐˉκ ἐ˘θέ˘λωˉν·
αὐˉτὸˉν δ' ἐˉξε˘σά˘ωˉσα˘. τί˘ μοιˉ μέ˘λει˘ ἀˉσπὶ˘ς ἐ˘κείˉνηˉ;
ἐˉρρέ˘τω˘· ἐˉξαῦˉτιˉς ‖ κτήˉσο˘μαι˘ οὐˉ κα˘κί˘ωˉ.

Qualcuno dei Sai si vanta dello scudo che presso un cespuglio,
arma impeccabile, ho abbandonato non volendo;
ma ho salvato me stesso. Che mi importa quello scudo?
Vada in malora! Di nuovo ne avrò uno non peggiore.

(Archiloco, 660 a.C. circa).

Anarchia è Anacronia e così l’afflato pacifista che n’è corollario. L’opera mia d’intellettuale e libero pensatore sempre è vigile nello schivare le pallottole sparate dai territori occupati dell’associazione politica, dalle fogne dei partiti accecati dall’ottusa ideologia. Le orbite del mio meditare e poetare intersecano sentieri tracciati e disabitati sempre ai margini delle dimore degli uomini confusi e disorientati, unica bussola un ismo tatuato sul braccio come matricola indelebile nel campo di sterminio.

Cosa significa pensare sub specie aeternitatis? Esistere sub specie aeternitatis? Sento l’obbligo di premettere che se comitati d’affari quali la P2 (mi viene da pensare che se addirittura conosciamo gli elenchi degli iscritti fosse poca cosa) non fossero riusciti a conseguire l’obiettivo di portare lo sfacelo nella scuola pubblica, oggi in quanto laureato in filosofia dovrei conoscere il nome del pensatore che ha introdotto la riflessione in oggetto nel contesto della storia del pensiero. Ma premetto ancora che non nutro alcun timore reverenziale e non mi affligge alcun complesso d’inferiorità nell’ammettere di non essere in grado di ricondurre alla tradizione accademica il mio speculare, se vogliamo definirlo così. Lo considero piuttosto motivo di vanto e orgoglio. Ho certo preso a prestito la definizione latina da qualche genio dell’erudizione che ha lasciato pagine e pagine di monumentali costrutti teorici, ma non ho avuto bisogno d’indottrinarmi e tenerci sopra la testa per ore al fine di trovarmi più confuso di prima, per vedere in maniera chiara e lampante la sua stessa visione.

Vivo in una piccola cittadina di una piccola provincia di una regione di un piccolo e decadente paese politicamente e fisicamente legato ai paesi confinanti, nel contesto di un continente denominato vecchio e cagionevole dal punto di vista economico e culturale in particolare e così via. Sono nato nell’anno del signore millenovecentoottantuno. Oggi ho trentaquattro anni ed esiste una storia, ch’è la mia, collocata nel contesto d’una più ampia, ch’è quella della civiltà, il principio di quest’ultima viene datato nel momento in cui gli archeologi stabiliscono essere nata una scrittura che possiamo ancora comprendere e che ci parli di quel tempo lontano, circa cinquemila anni fa. Luogo: Egitto? E così via?

Spazio, tempo… Categorie. Mi prodigherò in un breve inchino alla tanto disprezzata e osteggiata Accademia nella persona di Immanuel Kant, persona seria, serissima, ma parafrasando: “spazio e tempo sono categorie, come se indossasse un paio di occhiali dotati di due lenti di colori differenti, l’uomo percepisce la realtà a partire da queste due categorie”. L’implicito è “se non è un pazzo”. Ma non è per nulla scontato che non ci siano uomini sufficientemente coraggiosi da spogliarsi delle lenti e osservare l’esistenza e la natura a occhio nudo.

Lo spazio… Cos’è l’infinito? Non parlo della meravigliosa poesia di Giacomo Leopardi che resta comunque il miglior tentativo poetico (“del fare”) e artistico di descriverlo, ma del “senza una fine”. Davvero è difficile concepirlo? Se dovessimo tentare di costringerlo in un’unica visione probabilmente non ne usciremmo vivi per carenza di tempo, ma se scomponiamo e consideriamo che oltre il pezzo di cielo stellato che si para in fronte ai nostri occhi ne sta un altro e poco più a nordovest di quello un altro, scomponendo l’infinito in tanti prati di stelle recintati dai sogni di libertà di bambini non ancora nati, allora tutto risulta più chiaro e accessibile.

E il tempo? La storia è una convenzione, risulta comodo al panettiere poter prendere appuntamento con il rappresentante di farine alle tre del mattino, ma il tempo non esiste. L’uomo non invecchia, si deteriora nell’uso, nell’esposizione al Sole e agli elementi guadagna rughe e segni. La malattia è un processo di deterioramento inevitabilmente portato dall’uso. Ovviamente gli attacchi patogeni di batteri e virus costituiscono un’eccezione non contemplata e fuorviante dal discorso in atto.

La percezione dello scorrere del tempo è portata da un’erronea concezione alla base di una convenzione che pone un ipotetico anno zero in coincidenza con la nascita di un importante e ingombrante personaggio storico, non privo di caratteristiche che possono renderne piacevole lo studio. Esistono calendari differenti, datazioni differenti, gli esseri umani che abitano il Mondo non vivono tutti nello stesso spazio o nello stesso tempo. Sono nato giovedì tredici agosto del 1981, secondo il calendario islamico era Giovedì 12 Chawwâl 1401.

La storia è un’illusione, realtà sono i fatti accaduti che gli storici si affannano a reperire da documenti e reperti, ma operano con l’immaginazione. L’arte espressa da un determinato periodo è probabilmente lo strumento più efficace per provare a soddisfare la curiosità di capire come fosse essere umani nelle epoche precedenti, ma personalmente trovo più confortante e consolatorio sforzarmi d’immaginare come sarà essere umano quando sarò morto, magari contribuire a lasciare suggestioni e consigli, come un cuoco. Quindi prima degli Antichi Egizi già gli esseri umani si affannavano per resistere agli attacchi della natura e delle fiere, per approvvigionarsi d’acqua e cibo, per trovare riparo e conforto. Gli uomini amavano e si riproducevano.

Se oggi, tu, mio caro lettore, sei davanti al monitor a leggere questa mia speculazione delirante solo in apparenza, assumi consapevolezza che dipende solo ed esclusivamente dal fatto che uno fra i primi degli uomini diede un colpo di clava sulla testa di una delle prime donne e la possedette grevemente e gravemente la ferì e l’ingravidò. Milioni di anni successivi hanno fatto il lavoro sporco per te.

E in ogni caso la Terra era già lì da altri milioni di anni leggera e sgombra del peso di quest’esserino caduco effimero e altezzoso, tutto traboccante superiorità in funzione d’una sedicente coscienza di sé, d’un’anima attribuita da sé medesimo, sempre a inventare religioni e motivi d’ammazzarsi reciprocamente. La Terra sarà ancora lì anche dopo che non ci sarà più l’essere umano e se in veste d’epistemologo non mi sbaglio di grosso, la scienza potrebbe essere fondata su assiomi tanto errati da poter sperare che il Sole si spegnerà e concluderà il suo ciclo vitale solo in funzione dello scherzo macabro e bislacco d’un grande artista un po’ depresso in un giorno di pioggia.

Oltre le Stelle che vediamo col più potente telescopio, altre Stelle meno ignoranti alimentano la vita d’innumerevoli pianeti meno esasperati, abitati da esseri anarchici capaci di trasformare la potenziale bellezza di condizione perfetta dell’Amore, nell’istante di un attimo eterno, immobile, immortale, sub specie aeternitatis.