Chi è Colei che sale dal deserto come un ramo dritto di fumo?
Gloriosa come la luna, Eletta come il sole
(Cantico dei cantici dalla traduzione di Giacomo Maria Prati Il Ritorno della gloria, 2013)

Dio si rende invisibile, “scappa”, ma lascia di sé un significativo ricordo
cioè il Suo profumo che è il Suo Nome ineffabile
(Giuseppe Abramo e Nadav Eliahu Crivelli, Il Cantico dei cantici e la tradizione cabalistica)

Solo quelli che hanno amato la Sapienza come una donna
e la donna come la Sapienza hanno ricavato dal Cantico tutta la possibile luce
(Guido Ceronetti)

È difficile anche per gli esperti restare ludici e distaccati di fronte alla ricchezza traboccante della narrazione del Cantico salomonico, e si avverte il rischio di arrendersi alla pura bellezza del testo non scommettendo più sulla sua reale comprensibilità, rinunciando a una lettura precisa, complessiva. Quello a cui voglio qui accennare è invece proprio questo, cioè ribadire l’esistenza di numerosi passaggi chiave nel testo tali da aiutarci, se sapremo meditarci e studiarci sopra, nell’inquadramento interpretativo generale del poema e, talvolta, anche nella comprensione particolare di alcune scene.

Il riferimento a Salomone appare assolutamente importante, eppure è stato anch’esso erroneamente emarginato. Il nome di Salomone indica tre dimensioni centrali per la comprensione del Cantico: la Pace, la Sapienza e il Tempio, e quindi, la presenza della gloria di Dio inabitante nel Tempio (Shekinàh). Penso che potrebbe essere un buon sottotitolo del Cantico questa qualificazione: canto figurato della Sapienza e della Gloria di Dio e delle sue forme di manifestazione (viste dall’umano: vie di contemplazione e di presenza di fronte alla Presenza).

Giuseppe Abramo e Nadav Eliahu Crivelli hanno messo in evidenza come il termine “bacio” dell’incipit dell’inno sia reso in modo neutro, potendo applicarsi sia all’uomo che alla donna. Rinvio all’Adamo primigenio? Rinvio alla divinità dell’immagine del bacio che sarà presente anche nella tradizione rabbinica su Mosè e il “bacio di Dio” (Edmond Fleg, Mosè secondo i saggi). Uno dei primi spiragli/chiave che discriminano le scelte ermeneutiche fondamentali è dato dal seguente passaggio: “i suoi seni sono più prosperi del vino”. Quasi sempre viene tradotto: "il tuo amore è migliore del vino", ma penso che così traducendo già si imponga una scelta di lettura riduttiva nel suo generalismo, dando per scontato in modo superficiale che il tema amoroso sia l’unico e lo sia in senso solo umano, letterale. E allora sfugge la ragione della grande ricchezza del linguaggio figurato utilizzato se il tema è solo l’amplesso fra uomo e donna, fatto per nulla misterioso.

Il tema dei seni poi è presente in modo ricorrente nel Cantico, anche in senso dialettico e dialogante con altre immagini complementari: vino/latte/miele. Si tratta di immaginari biblici e scritturali, anche sapienziali. Perché non indagarli e approfondirli? Forse la traduzione “seni” è stata emarginata per cercare di “facilitare” il testo liberandosi a monte dell’imbarazzo di un'immagine femminile ascritta all’Amato. Eppure scritturalmente anche i visceri/ventre femminile vegono ascritti a Dio quale immagine della sua misericordia e tenerezza. Non è corretto spezzare la sequenza del tema dei seni omettendo il suo primo anello. Difficile infatti è sostenere che in questa frase iniziale sia l’Amato a parlare in quanto tutta la prima narrazione, fino al tema della ricerca nel meriggio dell’Amato, è dominata dal racconto dal punto di vista femminile. Lui è fermo, è Lei che si muove.

Non possiamo non valutare comparativamente tutti i passi in cui vengono evocate queste immagini spirituali dei seni, del latte, e del vino e del miele. Il tema biblico, raro ma presente, di una narrazione femminile di certi attributi di Dio, continua nell’iconografia cattolica. Citiamo due stupendi esempi: il Cristo incinto nel Pagamento del tributo al Tempio di Ludovico Mazzolino (Christ Church, Università di Oxford), e l’identico Cristo dello stesso autore alla Pinacoteca di Brera, nella sua Resurrezione di Lazzaro, Sala XXII) e il Cristo sofferente, che porge il seno come una donna allattante, fra S. Ambrogio e S. Agostino, opera privata datata 1445-1450 e citata nel catalogo Arte lombarda dai Visconti agli Sforza(pg. 251).

Non c’è altra via di comprensione che comparare le varianze e i ritorni, sia all’interno del Cantico, che negli altri libri biblici, specialmente quelli sapienziali. Ceronetti coglie la giusta aura quando traduce la prima comparsa del termine “fanciulle” con “vergini sacre”, accogliendo con serietà il tema della elezione/selezione, che difficilmente possiamo non avvicinare alla dimensione dell’elezione divina di Israele e della madre del Messia. Proprio per valorizzare questo aspetto ho tradotto “israeliticamente”, ma pure etimologicamente, il latino diligo quale espressione/derivazione di eligo, scelgo. L’amore quale scelta, quale sacra cernita. L’Amato/Amata quali Eletto/Eletta. Il Cantico infatti è testo universale ma ci parla comunque di un Eletto e di un'Eletta e dei loro “compagni/confratelli/consorelle” alludendo in modo abbastanza chiaro alla presenza di una cerchia selezionata di uditorio e di contesto genetico della narrazione.

La “posizione semantica” dell’Amato all’inizio è del tutto centrale, templare. L’Amato è dentro le “sue stanze” ed è l’Amata che anela a entrarvi, come a un'introduzione iniziatica. Il “correre” verso l’Amato sembra riecheggiare la metafora del movimento degli astri, come comparirà anche verso la fine del poema quando l’Amata dice: "Io sono del mio diletto e verso di me è il suo corso". Altro giacimento immaginale importante è dato dal tema della pelle scura. Il latino qui paradossalmente aiuta la comprensione sapienziale in quanto utilizza il verbo decoloravit. Non scurire quindi ma al contrario “scolorire”. A questo spiraglio va giustapposto l’altro segnale della dialettica fra l’aspetto brunito, il meriggio assolato della ricerca dell’Amato, e l’aspetto velato dell’Amata. Anche l’Amato ha elementi di aspetto scuri: le chiome nere come il corvo, si dirà. Le tende nel deserto bagnate si scuriscono, al sole si sbiancano.

L’enigma ulteriore è dato dalla custodia delle vigne. È una sanzione per non aver custodito la propria o un necessario passaggio rituale? È evidente che non possiamo prendere alla lettera il tema della custodia come pure quello del vagare fra i pastori. Il Cantico procede quale racconto biblicamente esoterico-iniziatico nel senso che utilizza sempre e solo immagini, simboli e termini di tipo biblico, scritturale, sapienziale, che a loro volta aprono a una serie ampia di sensi sacrali e mistici. Così per le greggi, il pascolare, le orme, le tende. Il difficile è l’operazione di “ritorno” semantico e ricompositivo rispetto alla facilità dell’“uscita ermeneutica” seguendo la traboccante ricchezza testuale-immaginale. La Vigna è Israele. Ce lo insegna Isaia per primo. E i Proverbi assimilano i virgulti della vite ai figli del giusto e l’olivo verdeggiante alla sposa virtuosa. La tenda è la Tenda della Testimonianza, ma è pure la vita umana, l’anima-corpo, la storia stessa di Israele quale passaggio dalle tende nomadi alla Tenda per eccellenza: il Tempio di Gerusalemme.

La lingua ebraica è una lingua povera, arcaica, resa al contrario complessa e raffinata da migliaia di anni di interpretazione e meditazione spirituale. Come tradurre l’inizio della risposta dell’Amato alla prima domanda di ricerca dell’Amata? Ceronetti traduce con ragionevolezza: "se non sai dove io sia… ". Io traduco (sempre dal latino ma sforzandomi di seguire una spiritualità israelitica) in questo opposto modo: "se non ti conosci esci fuori… ". Non penso che le scelte interpretative fatte in traduzione siano le più efficaci se fatte per “normalizzare” il testo. Non c’è nulla di normale in questo testo. Non è normale che una donna custodisca delle vigne, né che non custodisca una vigna sua, né è normale che si chieda dove sia il suo Amato quando ha appena detto di essere entrata nelle sue stanze (a meno che l’Amato sia spirituale, sfuggente, invisibile) né è razionale che l’Amata lo cerchi al meriggio fra le tende e le greggi dei pastori. Anomalo razionalmente pure che lo cerchi quando dice di essersi fermata alla sua “ombra” da “molto tempo ricercata”! È forse un gigante questo Amato da far ombra all’amata?

Pure assurdo sarebbe prendere alla lettera una donna che si compiace della fuga del suo amato e che lo celebra mentre ritorna al “colle dell’incenso” e al “monte della mirra”, invece che volerlo sempre vicino a sé! L’Amato del Cantico sembra che mostrarsi sia re che pastore, sia immobile che nascosto e sfuggente! O si legge spiritualmente il Cantico oppure resta un enigma da sfinge o un testo folle oppure addirittura banale e retorico. È al contrario la chiave spirituale quella che ci permette di accennare in un secondo momento anche a una possibile prassi compatibile con la figuratività-simbolicità della narrazione.

Un altro tema significativo è quello della dialettica simbolica fra oro e argento. Il latino ci dona la ricchezza in più della forma a murena, serpentina, dei gioielli che l’Amato promette all’Amata. D’oro e d’argento. Cioè scritturalmente: il fuoco di Dio e la purezza sapiente della sua Parola. Questi due colori-materiali compaiono anche nell’argento delle colonne (come le colonne della Casa della Sapienza, come le corde della cetra davidica) e nell’oro della spalliera della lettiga che fa costruire Salmone, l’amante della divina Pace e della divina Sapienza. Oro e argento come vino e latte, come oro e marmo e avorio nella lode “architettonica” delle bellezze dell’Amato. Scritturalmente abbiamo la colomba (immagine dell’Amata) aureo-argentea del salmo 67: "splendono d'argento le ali della colomba, di riflessi d'oro le sue piume". Perché non approfondire questo scenario?

Un altro tema segnaletico è il ritornello dell’abbraccio dell’Amato all’Amata che potrebbe rinviare alla spiritualità della mano destra e della mano sinistra di Dio. La mano destra dell’Amato infatti abbraccia (misericordia), mentre la sinistra regge la nuca dell’Amata (giustizia). Questo refrain è stato utilizzato invece per insistere sul mood della reciprocità e complementarietà fra i due amanti (nulla di nuovo!) e questa retorica ermeneutica ha appiattito invece la singolarità del rapporto fra i due. Se è vero infatti che l’Amata e l’Amato si rispecchiano ciclicamente e progressivamente è pure vero che non rivelano le stesse posizioni. L’Amato vuole conoscere di più l’Amata e unirsi sempre di più a Lei ma è l’Amata che lo cerca e lo interroga. L’Amato presenta una posizione più autonoma e libera rispetto all’Amata: sfugge, si muove velocemente, si nasconde, scende nel suo giardino e risale sul monte e sul colle, mentre i movimenti dell’Amata sono più lenti, faticosi, delimitati o impediti. Le condizioni d’essere sono distinte. Come varia la comparsa di questo ritornello?

In primo luogo differenziamolo dal distinto refrain: "Il mio amato è per me e io per lui", che anch’esso compare più volte nel testo, ma in punti distanti, quindi non sono di tratta di ritornelli intercambiabili. L’immagine dell’abbraccio totale compare una prima volta stranamente appena dopo che l’Amata ha cantato il suo languore d’amore. Come è possibile? Non si tratta quindi di un languore da lontananza, da abbandono, come romanticamente siamo indotti a pensare, ma al contrario di un “languore da ebbrezza”, culminante, coincidente con un’esperienza verticalizzante. Ci sono 4 abbracci, 4 cristi mistiche dell’Eletta e gli azulejos del Duomo di Oporto ci insegnano che è l’Amato a dire: "non svegliate l’Amata". Solo il Signore può infatti giurare, ci insegna Abramo.

Anche il carattere “sigillato” dell’Amata e il suo non poter abbracciare l’Amato pur così vicino come possono non far rinviare al Santo dei santi del Tempio di Gerusalemme, realtà e immagine della massima separatezza/vicinanza sacrale possibile per Israele? Dopotutto l’Arca dell’Alleanza è allusa anche nel tema del carro e nella citazione di Aminadab e anche il riferimento a un frutto/ secco (noce-nocciola) quale frutto protagonista del giardino dell’Eletto e quali beni custoditi dall’Amata dietro la porta può rinviare alla forma “a fiore di mandorlo” propria dei lucernari della Menorah del Tempio. Un errore svalutare l’edenicità del tema del risveglio, risolutivo, che avviene sotto un albero di melo.

Per chi poi abbia ancora dubbi sul carattere sapienziale del Cantico basta rileggerlo e si vedrà come ogni sua frase è un concerto che fa risuonare meravigliosamente tutta la Scrittura.

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