Quando la Cappella del Rosario fu restaurata e aperta al pubblico, alcuni visitatori persero il sonno e se si addormentavano sognavano angeli, aquile e pietre filosofali almeno per una settimana. In quei giorni, il profumo del caffè mattutino aveva l’effetto di un allucinogeno: accadeva di essere ancora a letto e vedersi attorniati dalle magnetiche sculture.

La Cappella del Rosario è a Naso, Sicilia, nella Chiesa matrice dedicata ai santi Filippo e Giacomo ed è capolavoro del marmorarius Bartolomeo Travaglia, appartenente a una famiglia di artisti carraresi arrivati a Palermo fra il1570 e il 1662. È molto bella, ma lo sconvolgimento appena descritto non è dovuto alla Sindrome di Stendhal causa di mancamenti di fronte a opere evocative, bensì a una concentrazione di simboli di verità sapienziali ed esoteriche che, secondo la rivista Sophia Arcanorum, è paragonabile solo a quella della Cappella di Rosslyn, asilo scozzese dei Cavalieri Templari. È un labirinto culturale, dove la storia dei miti e la filosofia dell’antica Grecia si inseriscono nella teologia, un labirinto ideale per intraprendere un pellegrinaggio, spirituale per chi si sente vocato, di conoscenza per chi è refrattario a certe sirene.

“La cappella spiega il cammino di evoluzione dell’uomo, che tende sempre all’immortalità, fa scoprire la nostra religione mostrando che i simboli greci ed ebraici non sono contraddittori con il Cristianesimo e ti mette al centro del tuo essere - dice Maria Giovanna Calcerano, autrice con don Pio Sirna del volume La Cappella del Rosario. La ri-trovata identità della persona pubblicato da Europa edizioni -. Illustra la congiunzione degli opposti perché il corpo non è in contraddizione con l’anima”.

Calcerano è avvocato e la causa che più l’appassiona è lo studio dei marmi bianchi di Carrara e rosa di San Marco d’Alunzio, lavorati con maestria dal Travaglia; visitare con lei la Cappella del Rosario è come assistere a un gioco d’artificio, rapiti dai simboli che indica, quasi ballando, da una lesena all’altra. Alla fine si è esausti e lei è contenta di averti tramortito con i misteri e gli enigmi di un percorso iniziatico che le risulta essere unico, una fusione fra tutte le sapienze e tutte le religioni, infatti la Cappella è apparsa sia sulle pagine di Famiglia Cristiana che sulla già citata Sophia Arcanorum.

Perché a Naso? Calcerano ritiene che l’appartato e aristocratico paese, equanime nel guardare le Isole Eolie e l’Etna, distante dodici chilometri dalla costa, fosse sulla via dei Templari. Sebbene cacciati dalla Sicilia da papa Urbano IV, processati e fatti fuori in Francia da Filippo il Bello nella prima metà del Trecento, perché ormai troppo facoltosi e influenti, i cavalieri dell’ordine religioso-militare fondato nel 1119 da Ugo di Payns per scortare i viaggiatori diretti a Gerusalemme, infatti non sarebbero mai scomparsi. Semplicemente non li vediamo in giro avvolti nel mantello bianco ornato con la croce rossa, ma non avrebbero rinunciato a perpetuare la loro sapienzialità, arricchitasi nei secoli, fatta di gnosi egizia, giudaismo, cristianesimo, islamismo, massoneria.

Calcerano fornisce qualche elemento per orientarsi nel dedalo della Cappella detta anche Cappella dei marmi: “Intanto il messaggio è che tutto in Natura è buono e il negativo viene dalla mente dell’uomo. L’essere umano allo stato aurorale, simboleggiato da Eva, conosce la morte e quindi comincia la ricerca dell’immortalità. I simboli del primitivo sono in basso, il pensiero superiore sempre in alto. Ma Ermete Trismegisto (il “tre volte grandissimo” autore della letteratura ermetica di tarda età ellenistica e padre dell’alchimia per gli uomini medievali e rinascimentali n.d.r.) nella Tavola Smeraldina dice che ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso”.

Calcerano ha decodificato molti segni, ma avverte che la decifrazione è senza fine. Ecco che ci racconta la melagrana: “Per gli Ebrei era il frutto sacro. Rappresentava, con i suoi innumerevoli semi, le tante virtù che l’uomo saggio deve coltivare, nel buio della sua interiorità, per garantirsi l’immortalità. Contrariamente ai suoi chicchi, la buccia amara indica il discepolo che sa selezionare il bene e scartare il male, oppure il discepolo che sa trovare nel gusto amaro della vita, il dolce sapore dell’amore verso Dio”.

Il viaggio comincia sulla parte trabeata della cappella con la rappresentazione del Sacro Graal, grande coppa con due manici dai quali scaturisce l’albero paradisiaco della vita. Non possiamo illustrare tutte le fasi dell’esplorazione, sennò questo articolo avrebbe velleità iniziatiche mentre l’autrice è socratica e sa di non sapere, ma possiamo anticipare al visitatore che dovrà cercare la rosa blu del mito di Narciso ed Eco, la rosa rossa che è la Passione di Cristo, la Fontana mercuriale con il suo fluido metallo, il pellicano, l’uccello che si squarcia il ventre pur di nutrire i figlioletti, per i Rosacroce l’emblema dell’abnegazione, la conchiglia, sormontata dalla lettera alfa, il Verbo. Poi il nodo di Salomone, il simbolo della libera muratoria capace di unire elementi diversi, la stella o otto punte ovvero la stella dei Sumeri portata in Occidente dai templari. E la Madonna nera, la pigna, i corvi di Odino, i leoni. Se chiedete a Calcerano di accompagnarvi, ne sarà ben lieta.