Tutte le conoscenze accessibili allo spirito umano, riunite in questa donna dall’eloquenza incantatrice, ne fecero un fenomeno sorprendente, e non dico tanto per il popolo, che si meraviglia di tutto, quanto per i filosofi stessi, che è difficile stupire.

In queste righe, il filosofo francese Denis Diderot sta parlando di una donna vissuta tanto tempo fa, tra la fine del IV e l’inizio del V sec. d.C., e che è stata assunta spesso durante i secoli come simbolo della libertà di pensiero: Ipazia d’Alessandria. Nata tra il 355 e il 370 d.C., era figlia di un noto matematico e astronomo, Teone, e certamente fu proprio lui a indirizzarla allo studio della scienza e della matematica. E lei non si accontentò di eguagliare il livello di sapienza del padre, ma riuscì a raggiungere un sapere ancora più ampio, spaziando in ambiti diversi da quelli che Teone le aveva trasmesso. Come infatti ci racconta Suida, un intellettuale bizantino del X secolo che su Ipazia scrisse molto, “lei, essendo per natura più dotata del padre, non si fermò agli insegnamenti tecnico-matematici che lui praticava, ma si diede alla filosofia vera e propria”.

Ipazia fu filosofa, musicologa, medico, scienziata, matematica e astronoma; proprio l’astronomia fu probabilmente una delle discipline in cui seppe maggiormente distinguersi: e infatti ci è stata tramandata l’immagine della donna che, dopo le sue lezioni, la sera ritornava a casa e dedicava nottate intere allo studio e all’osservazione degli astri. A lei sono state attribuite anche importanti invenzioni: quella dell’astrolabio, lo strumento che appunto serviva per osservare il movimento dei Pianeti intorno al sole, e quella dell’idroscopio, un tubo in grado di definire il peso dei liquidi. Quello che è certo è che, dopo anni e anni di studio intenso e meticoloso, la fama di Ipazia era ben nota tra tutti gli intellettuali del suo tempo, tant’è che da ogni parte del mondo greco e romano gli amanti del sapere venivano ad ascoltare le sue lezioni accademiche.

I suoi allievi la veneravano, proprio per la profondità del suo pensiero e la sua grande capacità dialettica; e visto che, come documentano le fonti, era anche una donna molto bella, ci furono anche alcuni che si innamorarono di lei. Ipazia era però molto austera e gli unici piaceri a cui intendeva cedere erano quelli derivanti dallo studio e dall’insegnamento, e per questo respingeva in maniera decisa tutti i suoi corteggiatori. Sempre da Suida ci viene riportato un episodio molto significativo in tal senso: un allievo di Ipazia si era follemente innamorato di lei che, accortasi di questa passione che non accennava a scemare, gli mise davanti uno di quei panni allora usati dalle donne per contenere il mestruo, e per questo sporco di sangue, e gli disse: “In definitiva è di questo, ragazzino, che ti sei innamorato: niente di sublime”.

Del resto un modo di fare di questo genere, molto diretto e quasi brutale, era una delle caratteristiche di Ipazia: lo stile dei suoi discorsi era così franco da poter essere definito, secondo alcuni, “elegantemente insolente”. Solitamente, era la sola donna presente in riunioni interamente dedicate agli uomini, e di certo questo non la metteva minimamente in imbarazzo, anzi; a tal proposito basta leggere quanto scrive di lei il filosofo cristiano Socrate: “non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti i maschi le erano deferenti e la guardavano, semmai, con stupore reverenziale”. Oltre a tutto questo, Ipazia era anche dotata di una grande intelligenza politica: la sua ampiezza di vedute la collocava al di sopra delle parti, conferendole una capacità di mediazione grazie alla quale era amata e ascoltata dai diversi gruppi di cittadini che si contendevano il potere all’interno della città. Gli stessi capi politici le chiedevano consiglio e andavano di proposito a casa sua per ascoltarla.

Una donna che godeva di una simile fama e considerazione, e che per giunta si comportava in maniera molto singolare per l’epoca, dedicandosi esclusivamente allo studio e rifiutandosi di convertirsi al Cristianesimo (che, ricordiamo, anche in Oriente, con l’editto di Teodosio del 391 d.C, era stato da poco proclamato come religione di Stato), non poteva non suscitare invidie e gelosie. “Fu proprio il prestigio di cui giustamente godeva tra i suoi concittadini a perdere Ipazia” scrive Diderot. E uno dei suoi principali oppositori fu il vescovo Cirillo, diventato patriarca di Alessandria nel 412 d.C.: le fonti raccontano che, avendo visto una gran folla di persone davanti a casa di Ipazia, tutte mosse dal desiderio di ascoltarla e conoscerla, non riuscì a sopportare quello che percepiva come un affronto anche nei suoi confronti. E così nel 415 d.C., quando probabilmente aveva poco più di quarant’anni, Ipazia fu uccisa da un gruppo di monaci mandati proprio da Cirillo; e l’assassinio avvenne nella maniera più feroce possibile, come racconta Socrate: “la spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi e la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaron, li diedero alle fiamme”.

Oltre all’invidia e al risentimento personale provati da Cirillo e dai suoi seguaci nei confronti di Ipazia, a motivare un’aggressione talmente violenta c’erano anche altre questioni, tra cui il desiderio di intraprendere un’azione forte verso chi ancora non si era convertito al Cristianesimo. Molti studiosi hanno anche sostenuto che, se Ipazia fosse stata un uomo, l’avrebbero semplicemente uccisa: essendo donna, era quasi necessario rendere quel sacrificio plateale, quasi a farlo diventare un monito per coloro che avrebbero voluto intraprendere la stessa strada.

Quello che è certo è che questo sacrificio ha reso Ipazia, nel corso dei secoli, una figura simbolo di quell’amore per la verità, per la ragione e per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. “Dove trovare una martire che abbia lo stesso fascino austero di Ipazia?” scrisse nell’Ottocento il filosofo francese Ernest Renn; e questo fascino non ha smesso di colpire studiosi e filosofi, come Blaise Pascal che la definì “l’ultimo fiore meraviglioso della gentilezza e della scienza ellenica”. E ci piace ricordarla con questo epigramma del poeta Pallada, a lei contemporaneo, che sottolinea il suo profondo amore verso il sapere, amore che nessuna intimidazione riuscì a sopprimere:

Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine;
infatti verso il Cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.