Tra le terre produttrici di aromi sicuramente l’Arabia occupa per Greci e Romani un posto di rilievo. A evidenziarne la ricchezza in termini di aromi, i primi la indicavano come Eudaimon, i secondi come Felix. Il motivo di questo appellativo è spiegato già dallo storico Erodoto, che scriveva nella seconda metà del V secolo a.C.. Erodoto descriveva la regione con queste parole:

Verso sud l’ultima delle terre abitate è l’Arabia, l’unica dove nascono incenso, mirra, cassia, cinnamomo e ladano. Tutti questi prodotti tranne la mirra gli Arabi se li procurano con difficoltà. L’incenso lo raccolgono bruciando lo storace, che i Fenici esportano in Grecia; bruciando questo lo ottengono. Gli alberi che producono incenso li custodiscono dei serpenti alati, piccoli di dimensioni, vari di colore, molto numerosi attorno a ciascun albero, e sono gli stessi che invadono l’Egitto. Solo il fumo dello storace riesce ad allontanarli dagli alberi. (…) Dunque gli Arabi si procurano l’incenso nel modo suddetto, la cassia invece nella seguente maniera: dopo essersi cinti di pelli di bue e di altre pelli tutto il corpo e il volto, eccettuati gli occhi, vanno in cerca di cassia. Essa cresce in un lago non profondo; intorno e dentro di questo vivono delle bestie alate assai simili ai pipistrelli, che lanciano strida tremende e oppongono una forte resistenza: è necessario perciò raccogliere la cassia tenendo queste bestie lontano dagli occhi. Il cinnamomo poi lo raccolgono in modo ancora più strano di quelli che ho detti: dove nasce e quale è la terra che lo alimenta non sono in grado di dirlo; solamente alcuni, attenendosi a una opinione assai verosimile, dicono che nasce negli stessi luoghi in cui fu allevato Dioniso. Raccontano che grandi uccelli portano questi fuscelli che noi, con nome appreso dai Fenici, chiamiamo cinnamomo, e che gli uccelli lo portano per i loro nidi, che costruiscono con fango a ridosso di montagne scoscese, dove non c’è per l’uomo alcuna possibilità di salire. Allora in vista di ciò gli Arabi hanno escogitato questo artificio: dopo aver tagliato a pezzi il più possibile grandi membra di buoi e di asini e di altre bestie da giogo morte, le portano in questi luoghi e, depostele vicino ai nidi, si allontanano. Gli uccelli allora volando giù trasportano i pezzi delle bestie ai nidi, ma questi, non potendo reggere al peso, si infrangono a terra, e gli Arabi allora, accostandosi, li raccolgono. Così il cinnamomo da essi raccolto giunge negli altri paesi. Il ladano poi, che gli Arabi chiamano ledano, cresce in modo ancora più meraviglioso. È di odore gradevolissimo pur nascendo nel luogo più fetido: si trova infatti nelle barbe dei caproni e vi si attacca come colla quando vengono dai boschi. Serve per preparare un gran numero di unguenti, e gli Arabi lo bruciano di preferenza come profumo. Ho detto abbastanza riguardo agli aromi, e dalla terra d’Arabia esala un profumo di divina dolcezza.

Il racconto di Erodoto è ripreso e confermato da altri autori. Primo tra tutti Diodoro che scriveva nel I secolo a.C. In tutte le fonti la "felicità" dell’Arabia era connessa alla ricchezza derivante dalla produzione e dalla vendita degli aromi, il cui prezzo sul mercato poteva essere ingigantito dalla costruzione delle straordinarie leggende che legavano le spezie a mostri o serpenti velenosi, e la loro raccolta a imprese rischiose. Altre regioni si distinsero per la produzione di aromi, ma nessuna superò l’Arabia che la natura, per un verso, aveva reso arida, inospitale e selvaggia, per un altro l’aveva coperta di divini effluvi che la rendevano Eudaimon/Felix agli occhi di Greci e Romani.

G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015