Un vero coup de théâtre la nascita di Afrodite che emerge dalla soffice schiuma (aphròs) del mare risonante dell’isola di Cipro dove la forza di Zefiro “che umido soffia” l’ha portata a nascere già donna, vestita solo delle sue lunghe chiome, bellissima, dagli occhi neri a quanto ci dice Omero, che la definisce “amante del sorriso”.

Esaltata dai poeti come potenza cosmica, forza generante che pervade l’intera Natura, venerata come dea del mare e della vegetazione, ama le dolci fragranze dei fiori, predilige, come Persefone, i sensuali frutti del melograno, le è sacro il mirto; cigni e colombe le sono amici e spesso l’accompagnano nei tanti dipinti che la ritraggono in tutta la sua meraviglia. Amata dagli dei dell’Olimpo e un po’ meno dalle dee che temono le irresistibili doti seduttive che Afrodite non risparmia certo per intrecciare innumerevoli avventure amorose.
E quale migliore madre avrebbe potuto scegliersi il piccolo Eros, il più bello tra gli immortali secondo Esiodo che, nel suo poema sull’origine degli dei, lo presenta, insieme alla Terra e al Tartaro, come il dio più antico che “doma il cuore nel petto” di tutti gli dei e di tutti gli uomini?

Egli è forza irresistibile alla quale non ci si può opporre, così come la quercia non può sottrarsi ai colpi violenti del vento, è il desiderio travolgente che spinge Paride verso Elena, è l’attrazione violenta che porta Zeus ad unirsi ad Hera, sua sorella, a rapire Europa, la fanciulla dai grandi occhi, dopo aver assunto le sembianze di un toro, a farsi cigno per possedere Leda, ma anche aquila, serpente, fuoco.

Eros è dolce, è capace di rallegrare il cuore, ma è scaltro, crudele, capriccioso e intrattabile. Nella pittura vascolare che spesso lo sceglie a soggetto appare come un bambino che suscita tenerezza, ma i suoi giuochi preferiti sono quelli che scatenano la frenesia e la disperazione. Nelle sue imprese hanno una parte importante l’arco e le frecce ed è Euripide a presentarlo per la prima volta armato di questi strumenti.

Un dio capace di incutere timore che viene talora rappresentato mentre percuote l’innamorato con un’ascia o con una frusta. Una “dolceamara invincibile fiera” come lo definisce Saffo. Un dio pericoloso, dalla doppia natura: è giovane e bello ma il suo fiore prediletto con il quale ama incoronarsi è la rosa, fragrante, splendida e insidiosamente pungente.

Del resto non c’è da stupirsi che in lui agiscano forze contrastanti; sono anzi, è il caso di dirlo, congenite, dal momento che il padre di questo figlio illegittimo di Afrodite è Ares, la divinizzazione dello spirito guerresco, amante infuocato ma anche istigatore della violenza: amore e guerra entrano dunque in egual misura in questo dio dell’Amore che dalla notte dei tempi sembra divertirsi a lanciare i suoi dardi, a confondere le menti e i cuori in un eterno giuoco di passioni, di gelosie, di vendette ed entusiasmi, di lacrime e perdono.

Difficile pensare a siffatta, autorevole divinità trasformata in un putto scherzoso o nell’amorino in stile rococò utilizzato per i consumistici rituali di San Valentino: lui che Parmenide incluse nel suo sistema come principio cosmico e che Platone fece protagonista del suo Simposio.

Tuttavia se, con la complicità di questo stucchevole rituale, possiamo impiegare un po’ del nostro tempo per ritrovare parole e pensieri d’amore, ebbene vorrei farlo rendendo un omaggio lieve e sorridente all’amore “d’un tempo che fu”, quello ammantato di malia, adorno d’una pallida bellezza quasi fanée, sussurrato in penombre misteriose.

Un amore che sfiora come lieve piuma di marabù le mani guantate di ragazze in attesa del primo ballo, con la vita stretta in pallidi corsetti e le guance soffuse di rossore e di belletto. Eleganti signorine che sorseggiano una fresca limonata resistendo ad afose sere d’estate con l’ausilio d’un ventaglio di merletto. Fanciulle in fiore, sorrisi pieni di speranza, sguardi d’intesa subito abbassati per non apparir civette. Nell’umido profumo della sera c’è chi si copre le spalle con lo scialle.

Come nel magico laboratorio in cui Coppelia, “la fanciulla dagli occhi di smalto”, prende vita, gli oggetti si animano e con il potere incantato della fiaba raccontano piccole storie, storie d’amore, e sono parole che si perdono ormai nelle lontananze della memoria. Mi piace ascoltarli, guardarli mentre sfilano come in una lanterna magica, evanescenti ritratti in silhouette, seguirli nei luoghi dove il cuore si nutre di dolce malinconia, condividere le loro tenere emozioni.

Nel salotto buono

Il suo arrivo a Parigi era stato preceduto da racconti conturbanti sui suoi trascorsi in un harem di Istanbul. Si diceva che donne bellissime si fossero inebriate sfiorando con la candida pelle odorosa di unguenti le morbide sete che lo vestivano.
Distesa in quella sua elegante e sensuale posa sembrava dormire, ma non era così: l'attesa di quell'esotico compagno che le sarebbe stato accanto e avrebbe condiviso la toilette della Duchessa la faceva stare ben sveglia.
La dormeuse pensava che la sua solitudine sarebbe finita e già sentiva nascere la passione per l'ottomana: il divano alla turca sarebbe stato il suo califfo e lei la favorita.
Non vedeva l'ora che arrivasse.

A teatro

Già da qualche settimana si faceva un gran parlare della serata all'opera. Si davano i necessari ritocchi agli abiti di gala e lui sperava ardentemente che non lo avrebbero lasciato a casa come era accaduto l'ultima volta.
Non era tanto l'occasione mondana a suscitare il suo interesse quanto piuttosto il desiderio di rivedere il vicino di palco che aveva fissato ripetutamente il suo sguardo su di lui come rapito da un magico richiamo.
Non avrebbe immaginato di provare quel brivido eppure era accaduto ed ora il candido ermellino venuto dall'Armenia per diventare un leggiadro manicotto non sognava altro che di sentire ancora su di sé l'attenzione curiosa ed appassionata del monocolo.
Un vero amore a prima vista.

Il ricordo del passato

Non l'avrebbe dimenticato quel 7 di gennaio del 1839: fu quello il giorno in cui lui venne a sconvolgerle la vita. Fino ad allora non l'aveva nemmeno sfiorata l'idea che qualcuno osasse sfidare la sua sensibilità, la sua capacità di cogliere ogni particolare e di fissarlo nella memoria.
Si era sempre considerata forte, libera, una vera regina, inespugnabile e unica, eppure quando vennero mostrate le immagini di quel francese, di finezza incomparabile, dai tratti perfetti, che sprigionava una luminosità come mai aveva veduto, sentì che tutte le sue certezze si affievolivano.
Ebbe la fulminea percezione che non avrebbe potuto resistergli a lungo.
In quello stesso istante lui si ricordò di averla già incontrata: forse era stato in quel teatro dei Pirenei orientali. L'aveva trovata bella, anche se un po' pallida.
Quando monsieur Arago li fece avvicinare per presentarli ai molti intervenuti, il dagherrotipo e la fotografia seppero che sarebbero stati per sempre insieme.
In realtà lei gli sopravvisse ma non dimenticò mai quel gennaio del '39.

Un grande amore

Sfiorò dapprima il suo delicato piedino, poi si accostò alla sottile ed affusolata caviglia, ma quando giunse a toccare la candida pelle di Carlotta la giarrettiera fu certa di aver realizzato il suo sogno più bello: aveva finalmente raggiunto la gamba di una principessa.
Ma la sorte volle essere con lei ancora più magnanima. In quella stessa sera fu avvicinata da un paio di ghette indossate dal conte Arsenio di Valois.
Si amarono e si scambiarono i pegni di fedeltà: un piccolo bottone e un nastrino di raso color pervinca. Si dice che tutt'ora siano felicemente sistemati sulle nobili gambe dei rispettivi proprietari.

Le cineserie

Quando lo sentiva suonare era presa da una sorta di frenesia.
Non vedeva l'ora di poter uscire per stargli più vicina e inebriarsi delle melodie che venivano dalla sua tromba.
Lui, pur ostentando una certa indifferenza per quelle forme forse un po' troppo arrotondate, attendeva con ansia il momento in cui l'avrebbe avuta accanto per assaporare quella fragranza lievemente amara che da lei emanava.
Fin dalla prima volta aveva pensato ad origini orientali; ne aveva poi avuto certezza quando l'avevano chiamata vezzosamente chinoiserie.
Doveva essere il 1918 o giù di lì quando la teiera di porcellana rossa con le finiture d'oro incontrò il grammofono.
L’occasione fu un the danzante organizzato per allietare una domenica pomeriggio.
Si amarono finché il destino e la mutevolezza delle mode li lasciarono in vita.

La bella di Madrid

Era già il tardo pomeriggio ma il caldo di quella torrida estate non accennava ad attenuarsi.
Le tende abbassate creavano una debole penombra che pareva favorire la lentezza di ogni movimento.
Le ore passavano mentre il gesto cadenzato della sua delicata mano muoveva l'aria ristagnante.
L'atmosfera era quella di un luogo fatato e anche loro si guardavano come colpiti da un incantesimo.
Bisognava però attendere il buio della sera perché l'abat-jour potesse accendersi di tutta la sua passione che dava luce al bellissimo ventaglio fatto di fine merletto, dono di un amante conosciuto a Bruxelles.

Fuggevoli dolcezze

Si incontrarono per la prima volta in uno di quei pomeriggi autunnali del giovedì che la signora Imelde e le sue amiche dedicavano alla messa a punto di pettegolezzi e chiacchiere che non risparmiavano nessuna delle signore che non avevano il privilegio di essere invitate.
Tutto si svolgeva secondo un rituale collaudato e ripetitivo.
Per quel pomeriggio si attendeva però una piccola novità: di ritorno da un viaggio di piacere donna Matilde aveva portato dei pasticcini molto speciali.
Quando lo zuccherino dal dolce sapore di canna venne affondato nell'avvolgente liquore del rosolio fu una vera estasi.
Non durò che pochi attimi e poi tutto svanì come in un magico sogno d’amore.

Oggetti d’Amore in ordine di apparizione: dormeuse, ottomana, manicotto, monocolo, dagherrotipo, fotografia, giarrettiere, ghette, chinoiserie, teiera, grammofono, abat-jour, ventaglio, zuccherino, rosolio. Parole salvate con dolce tenerezza.

A cura di Save the Words®