Moltissime leggende vedono la nascita di un aroma in una vicenda di amore e morte. Si tratta per lo più di un amore deluso e/o rifiutato che trova nella morte del protagonista – in genere un fanciullo o una fanciulla – il suo tragico epilogo. Tra le vicende meglio note e più celebri figura certamente quella di Mirra. La sua storia è narrata con ricchezza di particolari da molte fonti. A raccontarla nella forma più dettagliata è il mitografo latino Igino (I secolo a.C.-I secolo d.C.) che nelle sue Favole narra quanto segue:

Mirra era figlia di Cinira, re degli Assiri, e di Cencreide. Sua madre Cencreide superbamente dichiarò che sua figlia superava per bellezza la stessa Venere. Allora Venere, punendo la madre, instillò a Mirra un amore mostruoso, tanto che la ragazza si innamorò del proprio padre. Intervenne allora la nutrice per evitare che la fanciulla si suicidasse impiccandosi. La donna fece in modo che Mirra potesse giacere con il padre dal quale concepì un figlio. Affinché ciò non fosse scoperto, la ragazza, indotta dal pudore, si rifugiò nei boschi. Allora Venere ebbe pietà di lei e la trasformò nella specie di albero da cui stillano le gocce di mirra. Di lì nacque Adone che fece scontare a Venere le sofferenze della madre.

Sulla vicenda di Mirra e Adone si soffermano altri autori. A riportarla con struggente poesia è soprattutto Ovidio, contemporaneo di Igino: la storia della ragazza, infatti, si incastrava perfettamente col tema della metamorfosi trattato nella sua opera. Il poeta raccontava che Mirra si innamorò del padre Cinira, presa dal senso di colpa per questo amore innaturale, la ragazza tentò il suicidio. Non vi riuscì per il pronto intervento della nutrice la quale, commossa dal dolore della fanciulla, fece in modo che la fanciulla appagasse i suoi desideri congiungendosi col padre. Incontrandosi al buio la coppia giacque insieme per molte notti, fino a quando il re, rompendo la coltre di tenebra, illuminò il volto dell’amante riconoscendovi quello della figlia.

Scoperta, la ragazza si diede alla fuga nel cuore della notte e, dopo avere peregrinato senza meta per nove cicli lunari, alla fine trovò la meta finale nell’Arabia Felix nella terra dei Sabei. Qui, su sua richiesta, gli dei la mutarono in un albero brutto a vedersi ma dalla resina preziosa. La sua corteccia, infatti, da cui sarebbe fuoriuscito il bellissimo e profumatissimo Adone frutto dell’amore incestuoso, avrebbe periodicamente emesso le lacrime profumatissime della mirra: aroma preziosissimo che nella sua fragranza intensissima, avvolgente, calda e sensuale intensissimo racchiudeva tutto il dolore della ragazza devastata da un amore totalizzante, irrazionale, irrealizzabile.

G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015