Un caldissimo pomeriggio di luglio, appena tornati dal mare, mio padre fu incastrato da un simpaticissimo rappresentante di una famosa e monumentale enciclopedia. Garbato e impeccabile in giacca e cravatta, nonostante l’afa estiva, fu accolto con molta cortesia e con un caffè.

La tentata vendita si protrasse per quasi due ore, nel corso delle quali il volonteroso venditore fu sopraffatto dalla inespugnabile facondia di mio padre che riuscì a dimostrargli di non avere bisogno dell’enciclopedia. Poi, terminato il lungo colloquio e licenziato il paziente rappresentante, mi spiegò che al di là del costo sostenuto, seppure diluito in comode rate, in casa un’enciclopedia era, oltre che ingombrante, superflua, perché destinata a invecchiare rapidamente. Aggiunse che, in caso di necessità, la si poteva andare a consultare in una biblioteca pubblica. Non era sospettabile, né da parte sua, né da parte mia, che venti anni dopo avrei fatto il bibliotecario. Precisò alla fine che eravamo pur sempre possessori di una vecchia Enciclopedia Pratica Bompiani in due soli volumi, pubblicata nel 1938, dicendo con tono scherzoso che per le sue ricerche necessarie a quesiti difficili della Settimana Enigmistica andava ancora benissimo.

Naturalmente mi convinse solo in parte, non immaginando io come due soli due volumi potessero sostituirne una trentina e di grosso formato. Sfumò così il mio sogno di avere anche noi una grande enciclopedia, senza dover più ricorrere a quella posseduta dai genitori di un mio compagno di classe, per risolvere i problemi delle ricerche, che alla scuola elementare già ci imponevano, senza chiedersi come e dove avremmo potute farle.

Ma l’idea che un’enciclopedia fosse esposta al fenomeno inesorabile dell’invecchiamento mi si radicò talmente in mente da mettermi per sempre in guardia dall’assalto dei rappresentanti. Solo superati i cinquanta anni, attratto dalla possibilità di comprarla dal giornalaio un volume alla volta, senza grandi esborsi immediati e senza il fastidio di rate, nel giro di un anno mi sono trovato anche io possessore di una bella enciclopedia in trenta volumi, che, entrati in casa a cadenza settimanale, non hanno di fatto creato traumatici problemi di spazio, sistemandosi poco alla volta nella scaffalatura domestica.

La presenza delle enciclopedie nelle edicole è sempre stata una trappola pericolosissima. Ci cascò anche mio padre alla fine degli anni Cinquanta, quando irruppero tra quotidiani e rotocalchi i coloratissimi e affascinanti fascicoli di Conoscere, fortunatissima e diffusissima creatura dei Fratelli Fabbri. Così un giorno del 1958 rientrò a casa dall’ufficio ad ora di pranzo presentandomi il primo fascicolo di diciotto pagine. Fascicolo dopo fascicolo, Conoscere, grande enciclopedia di cultura generale documentata completamente con illustrazioni a colori arrivò ai suoi diciassette volumi. Ogni dodici numeri erano rilegati in una copertina-raccoglitore di cartone nera scintillante. Non aveva una disposizione alfabetica, ma presentava temi e voci diverse, secondo un criterio apparentemente casuale.

Il primo argomento era di grandissimo fascino per un ragazzino, e lo sarebbe stato anche per uno di oggi appassionato di animali preistorici come dinosauri, brontosauri e tirannosauri. Invitante il titolo: Sulla terra milioni di anni fa. La spiegazione esordiva con toni pacatamente discorsivi e didattici con uso delle maiuscole appariscente: “VOI sapete che la Terra è oggi popolata da un numero enorme di uomini; ma forse non sapete che milioni e milioni di anni fa sulla Terra l’uomo non c’era”. L’ultimo argomento dell’ultimo volume alla pagina finale, numero 3.458, era: Il Libano – La Siria – La Giordania – storia. Una paginetta con gli spazi equamente divisi a metà tra immagini e scrittura che descriveva la situazione di terre sinteticamente definite “ponte tra oriente e occidente”. La pagina 3441 era dedicata al primo rivoluzionario satellite artificiale, il famoso Telestar.

Eppure a sfogliare oggi le pagine coloratissime e illustratissime di Conoscere, si prova davvero un grandissimo piacere, forse perché ci rimandano a un modo semplice e accattivante, anche troppo, di fare informazione ai più giovani e forse perché ci ricordano l’infanzia. Fino a qualche anno fa l’enciclopedia è stata presente nelle famiglie italiane, per lo più acquistata con poca convinzione da un venditore abile, ed è stata assai spesso unica e solitaria presenza libraria della casa a dividere i suoi spazi nel mobile del soggiorno con ninnoli, giradischi e fotografie. Ha costituito, tuttavia, un vanto da esibire ed è diventata quasi uno status symbol, come si usava dire spesso qualche decennio fa, di una borghesia che aspirava non solo al benessere economico ma anche ad un minimo di prestigio culturale.

Sulla Enciclopedia della Biblioteca di Repubblica si trova questa definizione: “Opera in cui sono raccolte e ordinate sistematicamente nozioni di tutte le discipline o di una disciplina in particolare”. Il primo ad usare la parola enciclopedia sarebbe stato da Thomas Elyot, in una sua opera del 1531, “secondo l’accezione plutarchiana di insegnamento che abbraccia l’intero ciclo delle conoscenze umane”. Ha ancora senso e attualità un’opera del genere oggi che il cosmo delle conoscenze è affidato alla diffusione delle reti, di Internet e di Wikipedia? Difficile dirlo.

Si può prendere atto, però, che già negli anni Quaranta dello sorso secolo lo scrittore Alberto Savinio polemicamente e ironicamente scriveva: “Non si capisce la ragione di un’enciclopedia compilata oggi. Oggi non c’è possibilità di enciclopedia. Non c’è possibilità di saper tutto. Oggi non c’è possibilità di una scienza conchiusa. Oggi non c’è omogeneità di cognizioni”. Così, dichiaratamente scontento delle enciclopedie, lo scrittore decise di scriversene una tutta sua, che vide la luce editoriale solo nel 1975, per i tipi di Adelphi, col titolo fuorviante di Nuova Enciclopedia: fuorviante perché si trattava, in realtà, di una raccolta di brevi saggi, raffinati ed eleganti, posti in sequenza alfabetica. Savinio, come sempre straordinariamente preveggente, avvertiva insomma la crisi futura delle enciclopedie. Oggi, infatti, la rete, con le nuove forme di conoscenza e di informazione in superficie e interattive, come sostiene il giornalista americano Nicholas G. Carr in un suo brillante saggio - tradotto in italiano col titolo Internet, rende stupidi? - probabilmente sta soppiantando sempre più prepotentemente l’uso delle enciclopedie libresche e cartacee.

Ma quelli della generazione degli ultrasessantenni, pur rassegnati a navigare e a utilizzare la rete, sentono che il compulsare pagine stampate su carta pattinata e illustrata di un’enciclopedie tradizionale, oltre che ancora utile, è sicuramente parte rilevante di quei piaceri di cui la tecnologia moderna dell’informazione ci sta privando.