Chi usa gli spazi incredibilmente ampi che un piccolo telefonino contiene, trova anche l’agenda per annotarvi pro memoria, appuntamenti ed eventi con operazioni veloci, facili e sbrigative. Basta il dito pollice che corre sul display tenendo nel palmo della mano una sottilissima tavoletta di plastica di pochi centimetri quadrati, che ingombra assai poco lo spazio di una tasca o di una borsa. Che comodità! Ma, come accade sempre più frequentemente oggi, tutto quello che guadagniamo in utilità e praticità lo perdiamo in piacere.

Fino a qualche anno fa già dai primi di novembre ci si preparava alla battaglia delle agende omaggio che si annunciava all’inizio di dicembre e deflagrava sotto Natale: da un lato la tenacia di produttori e di distributori, dall’altro l’arrembaggio di chi se la doveva a tutti i costi procurare. In prima fila le compagnie di assicurazione e gli istituti bancari, che non avevano ancora le afflizioni in cui si dibattono oggi, cui si affiancavano, con minor forza di propulsione, le più disparate associazioni. Dall’altro lato della trincea editoriale le mani tese di tutti i questuanti, certi di essere meritevoli del dono. E ce n’erano di tutte le dimensioni e di tutti i tipi, dalle più lussuose e pretenziose alle più essenziali e spartane, dalle più voluminose che non stavano in nessuna borsa e invadevano prepotentemente gli spazi di una scrivania, alle più minute e tascabili.

Quanto e come poi venisse adoperata nel corso dell’anno era assai meno rilevante: l’importante era averla. Alcune erano diventate quasi uno status symbol dell’affermazione professionale da esibire, altre erano così eleganti e illustrate che si aveva quasi timore ad usarle; altre ancora avevano più l’aspetto di almanacco con spazi per il diario limitatissimi. Del resto almanacco e agenda si sono assai spesso fusi insieme. Non può non tornare alla mente il famoso dialogo di Leopardi tra un “passeggere” e un venditore di almanacchi. Lo ricordate? Un povero venditore ambulante di almanacchi si imbatte in un rompiscatole che lo tormenta con mille domande sulla speranza di un futuro migliore al quale il pover’uomo risponde come può, riuscendo alla fine, però, a vendergliene uno da trenta soldi.

Ecco, la conquista delle agende in omaggio era considerata di buon auspicio per l’anno nuovo e il mese di dicembre era anche il mese del loro tripudio estetizzante: un rigoglioso fiorire di borchie, fregi, fibbie, marchi, loghi. Mettendo ordine nello scantinato di casa, l’unica cosa che ho trovato sistemata su uno scaffale è la sequenza di trenta agende, trent’anni di lavoro, che ho conservato sempre con l’assillo che da un anno all’altro mi sarebbero potuti tornare utili appunti e pro memoria. Le agende ritrovate mi hanno naturalmente distratto dalla fatica del riordino.

Così ho fatto un viaggio a ritroso. Ho rivisto appunti presi assai velocemente, quasi impossibile da decifrare oggi, nomi e cognomi che adesso non mi dicono più niente, persi nella smemoratezza del tempo e dell’età, ma anche ricordi di amicizie e inimicizie che avevo dimenticato; ricordi di successi e di insuccessi professionali e di patemi d’animo che, rivisti col senno di poi, mi dico che non valeva la pena di vivere. E non ci ho trovato solo appuntamenti e pro memoria, ma anche riflessioni e pensieri frammentari, momenti nei quali è tornata periodicamente la velleitaria tentazione, per fortuna incostante, di tenere un diario. Ho così spiccato un tuffo nei ricordi del tempo di scuola, quando nel laccio di gomma in cui tenevano i libri – gli zaini sono conquista e fatica di oggi – infilavamo anche il diario; diario che soprattutto per le ragazze non era solo per i compiti a casa ma anche, nelle pagine più segrete, per gli amori e e per gli esiti dei corteggiamenti.

Non solo appunti e appuntamenti di lavoro, note di spesa e di piccola economia domestica, numeri di telefono e indirizzi, dunque, nelle nostre agende; ma anche piccole memorie, impressioni, divagazioni. Come dire, non solo l’utile, ma anche il piacevolmente superfluo. La memoria storica, mia personale, me l’hanno conservata le vecchie agende cartacee che non ho mai avuto il coraggio di buttar via.

La tecnologia moderna si vanta di creare memorie nelle quali stipare milioni di date e dati. Ma la sua non è una vera e propria memoria; è solo un magazzino inerte di informazioni al servizio della rete. Oggi le agende cartacee sembrano resistere tenaci per lo più come segno distintivo dell’orgogliosa appartenenza a una categoria o a un sodalizio: l’agenda dell’alpino, l’agenda del carabiniere, l’agenda del poeta, l’agenda del teatro… e c’è perfino un’agenda del runner e una denominata “Agendo”. La loro la sopravvivenza è fatalmente ogni giorno più insidiata dalla concorrenza dell’algida plastica di uno smartphone, che ci ha resi più ellittici e sintetici, più freddi e concreti.
Da qualche tempo, però, nel corso dei frequentissimi talk show si vedono sempre più spesso contendenti armati di penna e di un libricino aperto, sulle ginocchia o su un tavolo, che potrebbe essere solo un taccuino, ma anche – perché no? – un’agendina. E siccome tutto ciò che si vede in tivù diventa un must, c’è da sperare, per chi ama ancora penna, matita e qualcosa fatta di pagine da sfogliare, che l’agenda ritorni a essere un libro bianco sul quale scrivere a mano… prima che ci si dimentichi come si fa.