Da quando la Luce è stata inghiottita dalla tenebra,
nella morte di Cristo, non c’è tenebra che non sia abitata dalla Luce.

(Padre Vittorio Francesco Viola)

Nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno.
Per te le tenebre sono come luce.

(Salmo 139)

Quel bene era certissimo e tanto superiore a tutto
quanto più si vedeva in tenebra, e segretissimo.
Ed è per questo che lo vedo in tenebra, perché supera
ogni bene. E tutto, tutto il resto, è tenebra.

(Angela da Foligno)

Il tema del “nero” vede scienza e fede fedeli alleati. Sia la visione teologica cattolica del male quale “diminuzione del bene”, magistrale nel racconto agostiniano, per cui non esiste una “natura maligna”, ma solo un’alienazione esistenziale di tale natura che si allontana da Dio, e, quindi, da se stessa quale opera di Dio, che la stessa scienza ottica e astrofisica, entrambe concordano nel ritenere che il nero, e il suo omologo fisico: le profondità spaziali non luminescenti, siano “abitate”, attraversate, reattive alla luce nella sua varie forme. Quello che i nostri occhi paventano e che affascina il nostro sguardo, cioè l’esperienza sempre misteriosa nel e del Nero, nella sua essenza corrisponde non a una realtà autonoma, ma a una mera “scarsità o rarefazione di luce”.

Cromaticamente il nero si manifesta quale scarsa reattività alla luce, ma non sua completa assenza. L’uomo ha recentemente “costruito” una vernice nera artificiale così scura da assorbire il 95% della luce (o meglio della “reattività alla luce solare”). Il 95%, non il 100%! Quel colore artificiale, così assorbente da togliere tridimensionalità e appiattire ogni oggetto con esso verniciato, fonda la sua struttura, il suo esserci più profondo nell’alto grado di “ostilità alla luce”. Ma è quel 5% di luce rilasciata, re-irradiata, la radice del suo essere! Quindi ha ragione Sant’Agostino: il male non possiede una sua radice d’essere, ma è solo un “bene rovinato”, indebolito, diminuito! Come il freddo, che non esiste in sé ma solo in quanto calore basso, scarso.

Eppure il Nero continua a inquietarci. Come fosse la soglia di un mondo altro. Come fosse una contestazione totale, radicale, che destabilizza il senso del mondo, l’idea di ordine indispensabile al vivere. Il Nero quale ablazione della direzione, quale impossibilità di orientarsi, cioè, letteralmente, di comprendere dove sorge la luce, (l’oriente) e, quindi, muoversi nello spaziotempo, qualificare semanticamente un qualcosa. Eppure il Nero quale manifestazione compare nella Bibbia quale “tenebra luminosissima”, a dirla con Alberto Magno che così appella Dio stesso e la Sua ineffabilità sostanziale, quale Ombra teofanica, segno provvidenziale.

Sul Sinai quello che è densa nube scurissima per Israele, tanto che quasi nessuno crede che Mosè tornerà vivo giù dal monte, vela in realtà la presenza luminosissima di Dio stesso che trattiene il profeta per quaranta giorni-notti proprio lì dove non c’è più né giorno e né notte, mentre gli insegna la Legge e scrive con la luce le due tavole della prima Alleanza. La stessa Ombra appare quale immagine usata da Dio per raccontare l’ineffabile, l’indicibile, cioè il concepimento soprannaturale del Figlio in Maria. Dio quale Ombra che abbraccia, com-prende, feconda.

Non pochi santi quali Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, e la stessa Madre Teresa di Calcutta per citarne solo alcuni, raccontano di essere passati in quella “notte oscura dell’anima”, dove il sensibile muore, ogni piacere, ogni reattività e risposta tace e inaridisce. Lo stesso giorno solare viene esperito per loro come fitta notte, quale deserto oscuro, fatto solo di Croce. Sì perché la tenebra e la croce condividono questa apparentemente totale passività, inattività, paralisi, apprezzabile solo in negativo quale silenzio, assordante, immobilità, e assenza immediata di senso. È come uno “spurgo mistico”, nel senso di non raccontabile se non metaforicamente al di fuori della sua esperienza; una liberazione radicale che costa e che pesa, ma che nel profondo libera, purifica, trasfigura.

Nonostante tutte le certezze scientifico-teologiche, il Nero continua a turbarci. Non può essere solo percettivo: non tutto ha il colore nero. Il nero è nero, al sole come al buio. La riflessione che più mi turba è data dal fatto che lo spettro della luce non comprende il nero. Eppure lo vediamo il nero! Ma è un paradosso, un’apparenza, anche se assai efficace, in quanto la stessa luce visibile corrisponde solo a una breve sezione della luce complessiva nella quale ci muoviamo ed esistiamo. Come il nostro occhio non sa per suo limite vedere la luce che c’è fisicamente nel nero e nel buio, così parimenti il nostro occhio non sa che cogliere che una parte assai esigua della luce che ci attraversa e inonda, che è il nostro stesso habitat di sopravvivenza, come l’acqua per i pesci.

La luce non visibile, cioè lo spettro elettromagnetico, è ricca di manifestazioni di se stessa: onde radio, microonde, raggi gamma, infrarossi, ultravioletti, raggi x e chissà quanto altro ancora sarà scoperto che già vi esiste dentro. La luce-onda è ovunque. Nessun vuoto o nessun buio le sfugge, come i salmi raccontano la presenza totale di Dio, alle massime altezze alle più infere profondità. Il concetto stesso di vuoto e di tenebra evapora, svanisce, crolla di fronte alle evidenze scientifiche sulle qualità multiple dello spettro integrale della luce. La luce è vibrazione, onda, oscillazione, reattività, nel sasso come nello spazio siderale. Non c’è luogo nell’universo che non veda la presenza di elettroni, fotoni, plasma, ammassi di molecole di idrogeno. Solo una differenza di grado, di velocità, di percezione ci mostra il buio, l’oscurità.

Eppure il Nero resta meno comprensibile del bianco. Il bianco è la velocità di tutti i colori. Contenendo la luce tutti i colori i corpi che più la riflettono appaiono simili a una luce più veloce, riflessa, incendiata, cioè bianca. Il bianco è il colore che ci permette di vedere la luce nella luce. Il bianco è l’autocoscienza della luce. Il Nero? (il maiuscolo è per evidenziarne il senso simbolico-emblematico, ma pure “oggettuale/soggettivizzato”, non per una “nerofilìa” morbosa!). Dicevamo: ma il Nero? Perché la sua corporeità ci turba? Perché ci appare quale obiezione alla permanenza della vita? Perché ci livella nella sua indistinzione onnivora? Ciò che muore, che sta morendo, si innerisce. Ciò che brucia si innerisce.

L’ossidazione è solo un effetto dell’eccessiva esposizione all’ossigeno, che brucia. Nel Nero sussurra ancora la colpa di Fetonte? Forse il difetto è anche culturale, derivante dal pensare il colore solo in senso passivo, quale reazione della materia alla luce, quando la scienza fin dall’antichità ha pensato il colore anche quale struttura stessa della materia, e gli occhi umani non solo passivi ma pure irradianti luce. Non è il nero dentro il nostro occhio, fisicamente? Il nero pigmentale ci rassicura. La noce rilascia colore nero, non il papavero. Esiste un’identità creaturale. Non è tutto un gioco illusorio della percezione.

L’artista Raul Gabriel ci ha dimostrato che il colore nero può manifestarsi altamente luminoso, in quanto riflettente, corposo, colante. Alcune sue opere vedono un nero luminoso, quasi liquido appena rappreso, sopra un nero più consueto, opaco, secco. La relatività dell’esistente e le numerosissime qualità e varietà del creato sono diversi modi e gradi di reattività alla stessa Luce?