L’educazione, come afferma Duccio Demetrio, è un processo infinito, ineliminabile dalla vita di tutti. Ci si chiede come può "servire" il mondo contemporaneo e la sua complessità. Accanto a molteplici e diversificate linee guida, a una coscienza collettiva su ciò che è giusto e buono fare, continua lo smarrimento e un’ambiguità tra etica e azione. Quanto si educano le vecchie e le nuove generazioni all’innovazione, al cambiamento, alla trasformazione, alla “crisi e al fallimento”?

I principi della pedagogia non possono prescindere dal suo oggetto che è l’uomo in relazione con l’altro, con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. La complessità del mondo contemporaneo richiede spesso “prestazioni eccezionali” benché il contesto sia poco sicuro, a volte senza legami solidi, spesso minacciato nei confini, soggetto a cambiamenti così veloci che spostano continuamente e repentinamente l’asse di riferimento. L’adattamento a una tale fluidità deve inoltre essere perfetto, immediato, privo di crisi o fallimenti.

L’educazione protesa alla riuscita delle prestazioni non sosta abbastanza sul “fallimento”, non attraversa ed elabora la “crisi” come passaggio e spinta evolutiva. In un mondo che proietta la persona verso un ideale di Super Uomo, è importante rimettere al centro dei valori educativi i bisogni essenziali dell’umano, l’essere in contatto con se stesso, con il proprio mondo interiore, le emozioni di base, i limiti, la sofferenza e la bellezza. C’è bisogno di “rallentare la corsa”, di fermarsi e approfondire senza l’aspettativa continua dell’arrivo, del risultato. Il processo educativo è un percorso di ascolto nel rispetto dei tempi e delle risorse personali, delle abilità. È una ricerca continua di quello che già esiste ma ogni giorno ha bisogno di essere riscoperto e confrontato. Senza un richiamo all’Uomo, a una scuola e a una società in cui sia forte il valore di una riflessione pedagogica andremo sempre più perdendo il valore del benessere e della crescita positiva per tutti.

Si parla frequentemente di innovazione; esistono, ad esempio nella scuola, tutta una serie di teorie sulla didattica innovativa, oltre a diverse modalità di strutturazione dello spazio scolastico in un’ottica completamente nuova: lo spazio modificato in base a specifiche esigenze di apprendimento e comunicazione, differenti dalla tradizionale lezione frontale. In realtà, se guardiamo una foto dei primi del Novecento, a parte i vestiti, nulla è cambiato rispetto ad oggi nella disposizione dei banchi e della cattedra. Se da una parte si parla di teorie inclusive con tutta una serie di modelli e strategie specifiche, dall’altra è ancora difficile organizzare un luogo come l’aula scolastica in maniera innovativa, trasformare l’ambiente per facilitare e sostenere l’apprendimento. Perché tutta questa differenza tra le teorie e le pratiche?

È paradossale entrare in una classe dell’Università di una grande città per una lezione di pedagogia speciale e trovare i banchi fissati al pavimento con sedute strettissime una accanto all’altra, barriere architettoniche che emarginano chi è troppo alto, troppo grasso, disabile motorio, iperattivo, ecc. …, che rendono estremamente scomodo “sostare” in quel contesto. In certe condizioni è difficile anche impostare una lezione alternativa a quella frontale. L’esperienza educativa è spesso in contraddizione con se stessa, non confermata da atti concreti.

La velocità contemporanea, la valutazione basata su parametri più quantitativi che qualitativi, ostacola i principi essenziali della pedagogia, ad esempio lo stare nel tempo utile per l’attenzione e la cura. È doloroso assistere a una svalutazione sommaria di aspetti affettivi, emotivi, sentimentali, creativi. La scuola lamenta una dispersione crescente e gli strumenti della ricerca pedagogica più aggiornata non riescono ad avere spazio esecutivo all’interno della strutturazione scolastica. Purtroppo si sta parlando sempre più di valutazione e controllo invece che di educazione. C’è la paura suscitata da un sistema talmente complesso da sfuggire alla visione umana, la più semplice e antica, l’unica che continua a dare senso alla necessità di una pedagogia applicata e vitale.

Per ogni persona è importante stare a proprio agio in un ambiente che predisponga ad aprirsi e apprendere, a dare e ricevere. Educatore ed educandi partecipano a un progetto comune di creazione evolutiva e culturale in cui benessere e crescita riguardano tutti.