Non riuscivo a crederci. Avevo davanti una data di apertura straordinaria di uno dei luoghi segreti e nascosti della meravigliosa Città Eterna, un incanto parte di una lista stilata da un bel volumetto trovato fra gli scaffali della libreria del Touring Club: la prima farmacia di Roma, l’antica Spezieria di Santa Maria della Scala. Quella detta “dei Papi”. Bisognava solo prenotare la visita e andare. Un contatto con gli organizzatori dell’efficiente Associazione Culturale Calipso e detto, fatto, eccomi lì, un fresco sabato pomeriggio.

Appuntamento di fronte all’omonima Chiesta circostante, costruita nel periodo 1593-1610 per ospitare l'icona della Madonna della Scala, immagine conservata nel braccio settentrionale del transetto che, nella tradizione, avrebbe miracolosamente guarito un bambino deforme dopo le preghiere della madre. Con la bolla Sacrarum Religionum del 20 marzo 1597 la Chiesa, ancora in costruzione, fu affidata ai Carmelitani Scalzi (o Ordo Fratrum Discalceatorum Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo). Tra le opere d'arte ospitate da questa bellissima Chiesa aleggia l’ombra di Caravaggio. All’interno dell’edificio di culto, infatti, la Morte della Vergine di Carlo Saraceni sostituisce oggi una controversa opera del Caravaggio, la Morte della Vergine, rifiutata dagli stessi Carmelitani perché il Caravaggio fu sospettato di aver utilizzato, come modella, una prostituta annegata nel Tevere, e perché l’opera, oggi al Louvre, mancava del dovuto decoro sconfinante quasi nell'eresia. Anche per questo siamo un gruppetto di circa 15 persone curiose.

Si sale al primo piano del convento dei Carmelitani Scalzi, accanto alla Chiesa, in religioso e rispettoso silenzio. In rigorosa fila indiana. Il fascino del tempo fa sempre il suo effetto. Entriamo nell’antica Spezieria. È un po’ buio ma l’atmosfera è magica e avvolgente. Tutto è rimasto intatto, quasi il tempo si fosse fermato; ad aspettarci i composti-medicinali dell’epoca, un antico microscopio precursore di tempi moderni, vasi, alambicchi, bilance, erbe, mortai, un antico erbario, stampi per ricette. Anche la luce sembra essere la stessa. Quella di chi studiava alchimie e dalla botanica sarebbe presto passato alla farmacia. L’odore e i colori sono anch’essi quelli di un lontano tempo passato. La nostra guida, la giovane, brillante ed entusiasta Isabella Leone, ci indica che di questo posto si trovano poche tracce scritte. I libri ne parlano poco. Noi l’ascoltiamo a bocca aperta, affascinati fin dal primo passo, avvolti solo dalle parole e da un’atmosfera che ha il sapore un po’ di Mago Merlino, con rispetto parlando. L’immaginazione prende il volo.

Anche la Farmacia, con il suo mélange di scienza empirica e credenze alchemiche, contribuisce a tracciare un pezzo di storia dell’Uomo, dalla prospettiva del dolore e della lotta per combatterlo, ma anche della ricerca del benessere a tutti i costi. Quello che si cerca di raggiungere da sempre, allora come ora. Una voglia eterna di equilibrio.

Nata nella prima metà del Seicento per rispondere alle necessità dei Carmelitani, che, studiosi di chimica e ricercatori scientifici, nel loro orto interno si occupavano della coltivazione de “I Semplici” (medica simplex), piante e medicinali necessari alla loro salute (fino al 1808, anno d’istituzione della prima cattedra di Farmacia, il sapere farmaceutico era in mano ai frati), con il passare degli anni la Spezieria venne messa a disposizione di tutti. Non solo di ambasciatori, principi, cardinali e Papi ma, dalla fine del Seicento, anche di cittadini comuni. Del Settecento sono le scaffalature, le vetrine, il bancone e gli albarelli (recipienti per contenere spezie, prodotti erboristici o preparati medicinali come unguenti, polveri ed elettuari), mentre risale all’Ottocento l’adiacente laboratorio liquoristico.

Sulla porta d’ingresso scritte in latino che recitano: "Dalla terra l’Altissimo creò i medicamenti: l’uomo prudente non li avrà in dispregio" e "Né l’erba li guarì né la miscela; sì la tua parola, Signore, la qual sana ogni cosa". Perché le vie del Signore sono infinite.

Nell'atrio e sulla porta d'ingresso vi sono i ritratti di Fra’ Basilio della Concezione (1727-1804), medico e botanico cui si deve la notorietà e la fama del luogo, per la sua invenzione di due rimedi tra i più celebri messi in produzione dai frati: l'acqua pestilenziale, ritenuta efficace contro trasmissione e contagio della peste, e l’acqua di melissa, definita come "calmante sovrano negli accidenti isterici" in virtù dei suoi effetti sedativi sul sistema nervoso. I segreti di questi preparati, e non solo, sono custoditi nel prezioso volume intitolato Trattato delli semplici, che qui si può ammirare. Un rarissimo erbario finemente rilegato in cui sono conservati, tra le pagine, gli esemplari essiccati di ogni pianta, con relativa descrizione delle proprietà benefiche. Siamo nella sala delle vendite, la prima in cui si entra. Il soffitto è ricoperto di tendaggi drappeggiati dipinti e dorati. Su uno degli scaffali vi è un ritratto di santa Teresa d'Ávila.

Qui si resta incantati dagli alti scaffali lignei e, soprattutto, l’attenzione è captata da un grande vaso di marmo scuro, quello della teriaca un farmaco composto di 57 sostanze diverse fra cui carne di vipera femmina non gravida, considerata un infallibile antidoto contro i veleni. Ne sentiamo l’essenza, avvicinandoci uno ad uno. Per i curiosi, la teriaca (dal greco θηριακή / thēriakḗ, cioè antidoto, o secondo alcuni dal sanscrito táraca dove tár significa salva) è un preparato farmaceutico dalle supposte virtù miracolose di origine antichissima. Probabilmente i romani la ripresero partendo dall'antidoto di Mitridate VII, re del Ponto, vissuto tra il 132 a.C. ed il 63 a.C. Un esempio famoso è la teriaca di Andromaco, medico di Nerone che seguendo le indicazioni del medico personale di Mitridate, ideò una nuova teriaca, comprendente anche la carne di vipera, dato che, in base alle credenze dell'epoca, un animale velenoso avrebbe dovuto possedere all'interno del suo corpo anche l'antidoto.

La sua composizione ha avuto molte variazioni nel tempo, trasformandosi da rimedio contro i veleni a panacea contro diverse malattie. Le teriache del XVI-XVIII secolo erano fondamentalmente composte da: carne essiccata di vipera (elemento primario), valeriana, oppio, pepe, zafferano, mirra, malvasia, polvere di mummia e anche angelica, centaurea minore, genziana, incenso, timo, tarassaco (componenti amari), matricaria (elementi sedativi), succo d'acacia, potentilla (componenti astringenti), miele attico, liquirizia (addolcenti), finocchio, anice, cannella, cardamomo (elementi carminativi), aristolochia, mirra (opoponax, elementi fetidi), scilla, agarico bianco (componenti acri), vino di Spagna.

Nella sala a fianco, si custodivano delle sostanze elementari in alcune scatole in legno di sandalo che non venivano attaccate dai tarli. Ancora uguali. Sulle ante degli armadi sono dipinti alcuni medici famosi dell'antichità tra cui Ippocrate, Galeno e Avicenna, Mitridate e Andromaco, mentre all’interno degli armadi sono ritratti Vittorio Emanuele I e la moglie Maria Teresa d’Austria, in ricordo di una visita effettuata nel 1802. C’è anche Umberto I principe di Piemonte con la duchessa d’Aosta Elena, altri noti visitatori della farmacia.

Segue un piccolo laboratorio dove venivano preparati i distillati medicamentosi, ma anche liquori ancor oggi venduti nella farmacia sottostante. Qui sono conservate centrifughe, imbottigliatrici, presse per la spremitura, torchi e setacci, mentre in una piccola stanzetta si ritrova anche una sterilizzatrice e una pilloliera che trasformava gli impasti in pillole. La spezieria della Scala è inattiva dal 1954, ma fino ad allora ha distribuito medicinali a prezzi moderati tenendo aperto al pubblico un ambulatorio gratuito. Oggi resta l‘alchimia del passato a guidare il visitatore. Insieme ai suoi segreti e ai suoi sogni di futuro.

Fotografie di Simonetta Sandri, per gentile concessione dei Carmelitani Scalzi, che ringraziamo.

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