Quando lo scorso anno consegnai all’editore testo e illustrazioni per il mio libro [1] avevo pensato che, sull’argomento, non sarei mai più tornato: battevo il tasto dal 1970 ed ero convinto di avere detto tutto, forse fino alla noia. Ero riuscito a tacere pure quando, nel 2013, fu dato alle stampe un testo curato da una associazione archeologica locale con il crisma della Provincia di Roma e della Riserva Naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco [2]. Ma quest’anno ci si è messo di mezzo il Carro detto di Eretum commentato in pompa magna con tutti i mezzi di informazione, posti in allerta per codificare l’assunto “Eretum a Casacotta”, caro all’attuale ISMA [3]:

Il noto Carro di Eretum sarà esposto all’interno della mostra Testimoni di Civiltà (mostra di beni culturali recuperati dai Carabinieri). L’evento si svolgerà a Roma a Palazzo Montecitorio e partirà con l’inaugurazione martedì 23 gennaio alle ore 16:00, per prolungarsi fino a mercoledì 28 febbraio (ingresso gratuito).
Il Carro di Eretum era stato trafugato e esportato illegalmente negli anni ’70 dalla necropoli di Eretum, ed è tornato in Italia grazie all’accordo tra il Mibact e il Ny Calsberg Glyptotek di Copenaghen (dove era stato per 30 anni). È stato già esposto a Firenze tra dicembre 2016 e febbraio 2017 nel corso della mostra Tutela Tricolore. Poi, da quel momento, l’opera non ha visto luce, rimasto fermo ai box nel deposito di Roma del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale in attesa di una destinazione ben precisa.
Solitamente – da quanto confermato da fonti ufficiali – l’attuale Soprintendenza tende a far tornare le opere recuperate al loro luogo di origine, dopo averle esposte in giro per la Penisola. Ed ecco che si apre un altro dibattito. Tecnicamente, il reperto fu rinvenuto negli anni ’70 dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) sul complesso di alture conosciute con il nome di monti del Forno nel territorio di Montelibretti.
Dall’altra parte però, c’è chi individua il Museo Civico Archeologico di Fara [in] Sabina come la sua destinazione ideale, luogo che già ospita dei reperti relativi al carro. La decisione finale spetta al Ministero, che come detto, valuterà tutti gli aspetti possibili come i costi che dovranno essere sostenuti e gli spazi necessari per un allestimento adeguato. Di certo, il carro sabino, considerato da molti esperti una delle opere etrusche più affascinanti, sarebbe una vera e propria calamita per il turismo e, cosa alquanto gradita, andrebbe a valorizzare un territorio dalle grandi potenzialità.
Il carro di Eretum sarebbe inoltre un incentivo per restituire al Museo Archeologico e alla stessa Fara [in] Sabina il prestigio che meritano, soprattutto dopo lo sforzo e l’impegno profusi per il recupero di un’opera che sembrava perduta.

Avendo studiato l’argomento sin dal 1970, credo doveroso commentare che le sepolture ritrovate a Colle del Forno sono quelle dei sabini, latini, romani, falisci, capenati, etruschi che proprio in quei luoghi perdettero la vita - re e principe compresi - nelle tante battaglie del tempo dei Re di Roma e dell’inizio della Repubblica, combattute presso il territorio di Eretum [4].

Ulteriore conferma indiretta è che sinora fra le tombe venute alla luce non si sarebbero ritrovati né scheletri femminili né infantili. Quindi la necropoli di Colle del Forno NON è la necropoli di Eretum. Secondo le archeologhe del Museo di Fara in Sabina, però, in un recente studio antropologico di cui non si conoscono le fonti, sono stati ritrovati anche scheletri di donne.

L’informazione mi sembra estemporanea poiché dal 1970, data del ritrovamento della “necropoli”, sino alla conferenza della prof. Anna Maria Reggiani tenuta presso il Museo Rodolfo Lanciani, La donna nel mondo etrusco-italico, ruolo e prestigio sociale, il 28 maggio 2017, di tale presenza non si è mai saputo o non c’è stata una pubblicazione ufficiale. Naturalmente sarei interessato a leggere questi ulteriori studi, senza con ciò pretendere che le archeologhe del Museo di Fara in Sabina abbiano conoscenza alcuna del mio libro su Colle del Forno. Ricordo che nel 2003 in una intervista [5] , alla domanda: Sulle ipotesi formulate dallo studioso locale Salvatore G. Vicario su Eretum a S. Anzino cosa vuol dirci?, l’intervistata rispose:

Premetto e con molta franchezza, e senza voler offendere alcuno, che trovo strano, che vi siano anni ed anni di ricerca e studio, fatti da specialisti sul territorio e con tanto di ritrovamenti e riferimenti archeo-storici, messi in discussione, da chi - e con tutta l'onestà e la buona volontà possibile - non ha potuto fare altrimenti (se non altro per le competenze precipue ed inerenti i giacimenti archeologici). E lo strano è che ciò accada in un campo, ove oltre alla materialità scientifica, spesso è possibile fare letteratura-storica, e su questa e solo poi, vengono le ipotesi più o meno strampalate.

Quello che più mi ha fatto pensare però è stato il recente scritto a me inviato da una delle archeologhe del Museo di Fara in Sabina che merita una considerazione particolare:

Sono i suoi toni a non meritare una risposta [6] , non quanto lei afferma. Quanto alle università italiane la pecca, nel caso specifico di noi archeologi, è il non avere un albo, cosa che autorizza a mettere bocca anche chi non ha tutte le competenze per farlo. Il dato scientifico lo abbiamo, sono stati condotti scavi sistematici sotto la direzione stessa del CNR e della soprintendenza, i materiali sono stati studiati da personale altamente qualificato. A quello io mi attengo, il resto sono solo parole al vento. E lasciano il tempo che trovano. Mi dispiace solo che, noi che per vocazione abbiamo dedicato la vita allo studio ma soprattutto alla DIVULGAZIONE, vediamo il diffondersi di dati non corretti, dati senza fondamento. Detto ciò rimaniamo aperti a tutte le teorie. Mi porti i dati scientifici e gli studi fatti da personale specializzato a sostegno della sua tesi e ne possiamo parlare, la aspettiamo in Museo! [7]

Non ho voluto citare i nomi né riportare tutte le altre ‘cortesie’ riservatemi. Credo ancora, malgrado le ‘reprimende’, che io non ponga ipotesi più o meno strampalate. Scrivo pertanto, sul tema, ancora quest’ultimo articolo poiché l’ISMA, della quale fa parte il gruppo di studio ‘già CNR di via Salaria’, insiste sempre sulla collocazione di Eretum a Casacotta, sulla necropoli di Colle del Forno come necropoli di Eretum e con l’assunto conseguente di “carro di Eretum” per il reperto in oggetto. Restano questi, e solo questi, i punti su cui si discute, poiché le archeologhe che partecipano a questo dissenso le leggo come ‘buone penne’, figlie di una preparazione nel loro campo davvero invidiabile; ma qui a me sembra vi sia stata una improvvida invasione del ‘campo storico’.

A loro favore vi è infatti l’immensa bibliografia prodotta dalla scuola archeologica del già Consiglio Nazionale delle Ricerche di via Salaria, dal 1970 a oggi, chiaramente univoca.

Contro invece, oltre alla mia tesi, ritenuta modesta e non pertinente per carenza di ‘titolo accademico ad hoc’, pur se presentato dalla prof. Anna Maria Reggiani, vi sono gli scritti di archeologi “altamente qualificati”:
- A. Pasqui, Notizie scavi 1910, Montelibretti, Regione IV (Samnium et Sabina), p. 367;
- Vincenzo Fiocchi Nicolai, La catacomba di S. Restituto a Monterotondo (Roma), Un monumento recentemente ritrovato, “Rivista di Archeologia Cristiana, a. LXXIV, n. 1, Città del Vaticano, 1998, pp. 70-71, 22n;
- Idem, La diocesi di Cures nella storia insediativa della città, (pp. 77-104 e fig. 5: Ubicazione dei Santuari di S. Giacinto e S. Getulio nei dintorni di Cures, p. 82) in Marco Cavalieri (a cura), Cures tra archeologia e storia, stampato in Belgio da CIACO scrl, Louvaine-la- Neuve, 2017;
- Jean Coste, L’incastellamento lungo la via Reatina, in “Scritti di topografia medievale”, Perugia 1996, p. 503;
- Alessandro De Luigi, Le battaglie di Eretum nell’età dei Re. Alcune osservazioni sulle antichità romane di Dionigi di Alecarnasso, “Annali” dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus, 2009, pp. 33-40 [8].

La caratteristica principale del vero scienziato è quella di porsi dei dubbi. Sono questi che stimolano ulteriori ricerche e conferme e che generano cultura. Il dogma che scaturisce da un’unica scuola di pensiero lascia perplessi.

Note:
[1] Salvatore G. Vicario, Colle del Forno, Una necropoli tutta maschile, Bonanno ed., Acireale-Roma, 2017.
[2] Sara Paoli, Tiziana Sgrulloni, La via Nomentum-Eretum e il suo sepolcreto, Roma 2013.
[3] Già Dipartimento di Archeologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di via Salaria, poi ISCIMA (Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico); ISMA infine, nato nel 2013 da quest’ultimo, fuso con l’ICEVO (Istituti di Studi sulle Civiltà dell’Egeo e del Vicino Oriente).
[4] Cfr. Alessandro De Luigi, Le battaglie di Eretum nell’età dei Re. Alcune osservazioni sulle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso, “Annali” dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus (in seguito ANSA Onlus), 2009, pp. 33-40.
[5] Corallini Archimede, Antonello Ferrero, La necropoli di Colle del Forno, i primi disegni, le prime foto in anteprima nazionale, “Monterotondo oggi”, n. 8 (198), settembre 2003, p. 5.
[6] Non appartenendo alla ‘casta’ non si meriterebbe risposta?
[7] A distanza di 15 anni, un’altra archeologa ripete lo stesso concetto dell’archeologa del 2003 ma soprattutto dichiara candidamente di fare critica senza aver letto l’opera contestata.
[8] Salvatore G. Vicario, E si apre il dibattito sui ritrovamenti, torna alla ribalta Eretum a Sant’Anzino, ‘Monterotondo oggi’, maggio 2003, n. 6 (196), p. 5. Le foto dei reperti esposti al Museo Archeologico di Fara in Sabina, che illustrano l’articolo, sono state realizzate da Giorgio Moscatelli nella visita guidata da due archeologhe e sono pubblicate per fine scientifico.