Paola Barbato afferma di scrivere da che ne ha memoria. Nota al pubblico per essere una delle sceneggiatrici più originali di Dylan Dog e come magistrale autrice di thriller mozzafiato, si racconta in questa interessante intervista, permettendoci di scoprire dettagli inediti sulla stesura di lavori poliedrici e accattivanti.

Partirei dal tuo ultimo lavoro e dai ‘rapimenti bianchi’ che lo caratterizzano. Com’è stato scrivere di un argomento così forte; che può anche essere visto come una sorta di processo alle intenzioni e al loro esito?

Lo è indubbiamente, le "buone intenzioni" appartengono a tutti i personaggi del libro, nessuno escluso, compresi gli antagonisti. Ciò che io metto in discussione è la convinzione che esista un processo di azione-reazione, ovvero che se la mia intenzione è buona lo sarà anche il risultato. Da sempre, sin dall'infanzia, assisto a situazioni famigliari deleterie per i bambini, e mi sono sempre chiesta quale possa essere la soluzione. Il protagonista del romanzo prova a dare una risposta, con esiti incerti, per qualcuno ha funzionato, per altri no. Mi sono sforzata di mettermi nella stessa posizione di un piccolo in stato d'abbandono per chiedermi lui o lei cosa avrebbe voluto. Io credo che il primo desiderio di ogni bambino sia di esistere, una delle parole che dicono più spesso è "guardami", e viene un momento in cui non importa più chi sia a farlo. Quello è un momento di enorme pericolo.

Tu hai curato la sceneggiatura di diversi fumetti, nonché pieces teatrali e sceneggiature televisive. Che sfide incontri nel passare con apparente nonchalance da un mezzo all’altro?

Ho la fortuna di essere una persona curiosa, mi diverto davvero a mettermi alla prova, a tentare strade diverse, la paura di sbagliare non mi ha mai frenata, pur soffrendo sempre di ansia da prestazione. Si tratta di imparare un linguaggio diverso, come se si trattasse di una lingua straniera, i concetti che esprimi sono gli stessi ma il modo in cui dai loro forma cambia. Ho avuto la fortuna di imparare per prima la tecnica del fumetto, che è in assoluto la più difficile, devi occuparti di ogni aspetto della narrazione, da quello visivo a quello parlato, la struttura delle sceneggiature è un equilibrio precisissimo. Passare dalla sceneggiatura a fumetti a qualunque altro tipo di narrazione significa agire per sottrazione e questo non sempre semplifica le cose. Si sbaglia, si impara, è la meraviglia del nostro mestiere.

È caratteristica tipica dei tuoi lavori porre il lettore all’interno di una morsa che non lascia mai la presa. Cosa ti attira verso questo genere di narrativa?

Scrivo ciò che vorrei leggere e soprattutto NON SCRIVO ciò che NON VORREI LEGGERE. Non mi faccio sconti, il mio primo lettore sono io stessa, e io mi annoio facilmente. Tra tutte le emozioni umane credo che la paura, il disagio, la tensione siano quelli che, una volta suscitati, sono in grado di creare un legame fortissimo tra autore e lettore. Non voglio che si senta comodo, tranquillo, che pensi "questa cosa è improbabile", "questa cosa a me non succederebbe mai", deve poter immaginare di trovarsi nella stessa situazione dei miei personaggi e immedesimersi il più possibile. Questo mi spinge a fare un lavoro ben preciso sul linguaggio, che diventa molto parlato, quasi gergale anche nelle parti di testo, non solo di dialogo, per accorciare al massimo le distanze.

La stesura di racconti brevi, invece, segue dinamiche diverse?

Certamente, è più difficile, essere brevi, pungenti, fare un'unica corsa a perdifiato in discesa è più difficile che dipanare lunghe matasse. Alla base di un buon racconto breve ci deve sempre essere un'idea che funziona. Io li scrivo solo se quest'idea c'è, altrimenti mi faccio un favore e lascio stare.

Puoi già accennarci qualcosa riguardo ai progetti che ti vedono coinvolta in questo momento e che avremo il piacere di gustare in futuro?

Mi sono imbarcata in un'impresa folle e spero di arrivare tutta intera alla fine. Ho terminato un romanzo che vedrà la luce nel mese di giugno, sempre per Piemme, e sono al lavoro su altri due lavori, e tutto quello che posso dire è che niente di ciò che sto scrivendo è lasciato al caso.