I miti sono uno scrigno di raffinate allegorie. Quelli tramandati intorno alla figura della dea Demetra compongono un magnifico arazzo archetipico di motivi legati al femminile, raccolti intorno al nucleo centrale del rapimento della giovane Kore per mano di Ade e al tema del doloroso percorso di distacco fra madre e figlia. Sul palcoscenico mitico è di scena, per la fanciulla, il passaggio dal mondo dell’infanzia all’età della maturità sessuale; per la donna adulta, il superamento del ruolo di accudimento materno e l’ombra incombente dell’esaurirsi della forza riproduttiva. Demetra fa esperienza della depressione, e nella densa tenebra di quel vuoto trascina la vitalità della natura intera, della quale è custode. De-Meter forse un tempo è stata Ge-Meter. Una Madre Terra.

Ecco, in estrema sintesi, il cuore di questo mito, che in alcuni dettagli poco noti ma preziosi svela significati sorprendenti. Gli inni omerici, infatti, raccontano che la dea, con il cuore infranto per la perdita di Kore, decide di abbandonare l’Olimpo e di vivere fra i mortali. Il suo dolore, proprio perché umanissimo, la spinge a mescolarsi all’umanità. Sotto le mentite spoglie di una vecchia, si reca ad Eleusi, la città che in seguito diventerà il centro del suo culto, e lì si ferma a riposare presso un pozzo, proprio dove sgorga l’acqua, elemento di vita: evidentemente non ha esaurito del tutto le sue energie vitali, ed è pronta per una nuova relazione materna. Il re e la regina della città, Celeo e Metanira, che la invitano a recarsi presso la loro dimora, non rimangono insensibili alla grazia regale dell’anziana donna, riflesso insopprimibile della sua natura divina: le offrono di fare da nutrice al loro ultimo nato, il piccolo Demofonte, e Demetra accetta.

È a questo punto che la magia diventa protagonista. Per la prima volta, una dea si mostra nelle vesti di maga. In realtà, pochi versi poetici condensano l’archetipo divino della strega, della quale Demetra esibisce tratti straordinariamente rispondenti: il punto di partenza di un percorso ideale che dal femminile magico arcaico condurrà alla funzione della strega moderna, con il suo pesante fardello di eredità acquisite. Da questo scenario attingeranno in seguito le nuove mitologie: la fiaba, l’epica cavalleresca, il genere fantasy. Il discorso con cui Demetra acconsente a fare da balia al piccolo Demofonte riveste per noi un’attrattiva particolare; la dea rivela di essere in grado di proteggere il neonato dagli incantesimi e dagli influssi malefici, e alla regina si rivolge con queste parole:

“Volentieri prenderò tuo figlio, come mi chiedi.
Lo alleverò, e non credo che per difetto della nutrice
un sortilegio o un’erba malefica lo offenderanno:
conosco un antidoto molto più forte del veleno,
conosco un valido rimedio al sortilegio funesto”.

Nella versione originale del testo greco, questo breve estratto è stato oggetto dell’attenzione dei filologi perché conserva la cadenza di una formula incantata, un andamento vagamente cantilenante, il ricorrere di termini inconsueti attinenti alla sfera lessicale della magia. Demetra qui interpreta il suo volto archetipico di esperta di erbe e incantesimi, per di più in connessione specifica con il mondo dell’infanzia e della puericultura. Un binomio che sarà tanto fondamentale quanto funesto nella formazione dell’immaginario legato alle arti magiche femminili e in particolare alle peculiarità della strega, che è amica dei bambini in quanto levatrice, ma è allo stesso tempo una potenziale “guastatrice”, e che conosce gli antidoti ai veleni proprio perché di veleni è esperta.

Ciò che avviene in seguito è ancora più straordinario. Demetra si affeziona profondamente a Demofonte ed è presa dal desiderio di renderlo immortale: quotidianamente lo nutre e lo cosparge di profumata ambrosia, soffiando su di lui e sussurrando parole segrete, e il bimbo cresce bellissimo e sano, simile a un dio, tra lo stupore e l’ammirazione dei genitori. Ogni notte però la dea lo sottopone a un rito misterioso: lo avvolge tra le fiamme, come un tizzone, per purificarlo dalle scorie della natura mortale e donargli un’eterna giovinezza. Metanira una notte la sorprende nell’atto di immergerlo nel braciere ardente: terrorizzata da quello che interpreta come un maleficio, strappa il figlio dalle braccia della vecchia, ma così facendo lo priva per sempre del privilegio dell’immortalità.

Quello fra Demetra e Demofonte è stato uno scambio reciproco in cui qualità divina e umana si sono fuse in un contatto profondo e vitale: l’atto di cura, il mistero dell’amore incondizionato, hanno costituito la chiave di questo dialogo fecondo. Demetra ha voluto iniziare Demofonte alla natura divina, ma allo stesso tempo il bambino, risvegliando nella dea la gioia dell’amore materno, l’ha iniziata ai sentimenti del cuore umano. Demofonte, se pure privato del dono immortale, avrebbe goduto per sempre di un privilegio eccezionale, poiché è salito sulle ginocchia di una grande dea e ha dormito fra le sue braccia.

L’incantesimo di Demetra si affida a tre pratiche: l’unzione magica, che possiede un valore protettivo e apotropaico; il soffio, che ha la virtù di trasferire insieme ai sortilegi lo spirito immateriale della divinità; infine, il passaggio attraverso il fuoco, che purifica e libera il corpo dai residui mortali. In questi specifici momenti dell’azione magica è possibile scorgere gli elementi anticipatori dell’intervento della strega, a partire dalle figure dell’immaginario fino alle fantasie persecutorie dell’Inquisizione. Il mito si prefigura come uno straordinario portale, un demiurgo di narrazioni destinate a prendere possesso dei secoli e della storia. Narrazioni che si sarebbero annidate nell’immaginario fantastico, andando ad abitare le fiabe tradizionali di tutta l’area europea; ma che purtroppo avrebbero anche risvegliato i più oscuri fantasmi della mente collettiva, trasformandosi in incarnazioni reali di temibili figure ancestrali. La caccia alle streghe comincia anche da qui.