Mnese emei.

(Odissea) 8, 462

Il canto dell'Odissea, il poema della sofferenza del ritorno di Odisseo al suo Regno marino attraverso tutte le porte del cosmo, è il racconto che Odisseo stesso fa delle imprese della sua peregrinazione alla corte della regina e del re dei Feaci.

Il misterioso e nordico regno posto ai confini del mondo si rivela il centro vivo dell'Odissea. Mentre sta andando al banchetto serale preparato in suo onore di fronte a tutta la corte Odisseo incontra all'improvviso la principessa Nausicaa. Gli appare appoggiata al pilastro maestro del palazzo regale. Gli parla con trepidazione parole fugaci: "ricordati di me, una volta tornato in patria". La fanciulla ricorda all'eroe straniero che a lei lui deve la vita. E Odisseo le risponde subitaneo promettendole sacrifici quotidiani, come a una dea.

Un incontro affascinante, da sogno, descritto come in uno stato di dormiveglia. Qualcosa ci sfugge. Nausicaa desidera sposare Odisseo. Persino Arete e Alcinoo condividono questo suo desiderio, così improvviso, estemporaneo. Odisseo è solo. È un straniero supplice, ospitato in onore di Zeus Xenio e solo in quanto tale rispettato. Atena lo avvolge con un incantesimo temporaneo per farlo apparire grande e forte come i Feaci, sorta di protovichinghi o primi Iperborei in questa ultima Thule felice, solitaria, superiore tecnologicamente e vietata agli stranieri.

Eppure quello di Nausicaa resterà un desiderio inappagato, espresso e subito sospeso, lasciato come evaporare. Nessuno forza Odisseo, lui che fu ostaggio per anni di Circe e di Calipso. Nessuno aiuta Nausicaa nel suo desiderio di nozze straniere. Sembra quasi che tutti abbiamo fretta di imbarcarlo per la sua terra.

L'immagine di Nausicaa che si fa sussurro, pilastro vivente, polena parlante e invocante la memoria viva di sé rinvia alle Sirene, alla loro memoria degli Achei e dei Troiani, all'ossessione del ricordo propria di tutti gli eroi del ritorno. Che cos'è l'Odissea se non l'epopea eroica dei custodi della memoria contro le nebbie dell'oblio, seconda morte dell'anima degli eroi?

Nausicaa ricorda così a Odisseo il suo compito rituale che lo renderà gradito ai Feaci, cioè il cantare le gesta del ritorno? Nausicaa quale Musa e Sirena che resterà sempre nella mente di Odisseo condividendone il compito bardico e druidico del raccontare epico. Nausicaa incontra Odisseo naufrago mentre conduce le sue ancelle a lavare nel mare i suoi vestiti da sposa, lei che è gloriosa per le navi. Conosce la sua storia lei che conosce i segreti del mare? Perché Nausicaa vuole che lo sconosciuto straniero la ricordi? Che senso ha? È un rito? Vuole divenire la sua nuova ninfa sacra dopo Circe e Calipso, lei che ha come nutrice Eurimedusa, cioè colei che domina su ampi spazi? Forse Nausicaa pre-sente la vicina fine del felice regno?

Lo lascia quella stessa notte. Non lo vedrà più. Tutto dai Feaci sembra svolgersi di notte. Quando "il sole si immerge" Odisseo aspetta nel bosco di pioppi di Atena di poter entrare nella reggia di Alcinoo. Le loro navi sono nere, veloci come i pensieri. Dopo tutto è terra sacra a Poseidone, il nume degli abissi, dell'oscuro mare, della soglia intermedia e invisibile tra il curvo cielo e l'assolata terra. Il regno d'oro dei Feaci si eclissa come Atlantide appena Odisseo lo lascia nella sua autonavigazione notturna e misteriosa che è rito di morte simulata. Si chiude il passaggio alle Terre Felici. Resterà solo il canto.

Nausicaa non morirà; scomparirà nella catastrofe. Re-cordare: ritornare al cuore, suonare le corde del cuore. Seguirà Odisseo come un'aura. Odisseo inizia a rivivere alla corte di Feaci. Prima era solo un ricordo, poco più di un fantasma, sepolto nel ricordo degli amici e in grotte lontane di ninfe sacre. "Se mai già fu”; così alludono a Odisseo Penelope e Telemaco.

Ricordiamo Nausicaa, la principessa dalle belle navi, colei che salva Odisseo iniziandolo alla corte notturna della virtuosa Arete. Un fantasma che appare la figura più simile a Odisseo fra tutti gli incontri dell’eroico pellegrino. Proprio per questo con l’eroe necessariamente impermanente.