I saloni del libro internazionali dovrebbero sempre riservare colpi di fulmine indipendenti. Editori ed edizioni in grado di rapirti al primo sguardo, lontani dal mainstream e dalla ricerca del best seller a tutti i costi. È il caso della Federico Tozzi Editore (presente al Salone del Libro di Torino, a maggio), la quale con la scelta accurata e sorprendente dei volumi proposti è da considerarsi come una vera e propria supernova nel panorama editoriale italiano. Abbiamo avuto occasione di scoprirne di più grazie a Tozzi stesso, il quale ci ha guidati in un piacevole viaggio di scoperta, in bilico tra i volumi già pubblicati e quelli che ci attendono.

Cosa puoi dirci sul processo che ti ha portato alla creazione della tua casa editrice e di collane così varie?

La decisione nasce dal desiderio di provare a realizzare un sogno: mi sarebbe sempre piaciuto lavorare per una casa editrice, in particolare per la mia preferita, la Adelphi, ma non potendo farlo ho deciso di crearmene una tutta mia. Su questo mio sogno si è poggiata poi la considerazione che ci sono moltissimi libri non più disponibili o mai pubblicati in Italia. Libri importanti, a volte grandi classici della letteratura. È frustrante non trovare un libro che desideri leggere e lo è (da libraio) anche dover dire a un cliente “no, questo libro in Italia non esiste più”. Volevo salvare alcuni di questi libri, volevo dare un mio piccolo contributo nel mantenere vivo un mondo che andava sparendo. Molti di questi libri, tra l’altro, non esistono nemmeno in versione digitale. Ci sono solo delle copie cartacee e se queste spariscono sarà sempre più difficile poterli leggere. Decrittare un libro è un lavoraccio, ma alla fine garantisce al libro una nuova vita. Le collane sono varie perché ognuna deve rappresentare un determinato stile e delle sue proprie caratteristiche. Le volevo subito riconoscibili. Devono avere carattere e una loro peculiarità che dia certezza al lettore. Se leggi un nostro libro sai che in Cecilia troverai dei romanzi più romantici, in Marta narrativa più scorretta, grandi classici spariti/inediti e in Lys quella che oggi viene chiamata docu-fiction, casi o storie vere che si leggono con il piacere di un romanzo. Ogni nome ha un suo gusto specifico insomma, proprio come ogni essere umano.

Come scegli quali volumi includere nelle rispettive collane?

In parte credo di averti già risposto. La prima regola è “il libro mi deve piacere”. Punto. Se non mi piace può anche essere un romanzo importante o di un autore che vende tanto ma io non lo pubblico. Ogni libro che pubblico mi deve entusiasmare come lettore. Se mentre lo leggo mi coinvolge e penso “ah devo troppo farlo leggere a…” allora lo si prende in considerazione. Inoltre deve essere un libro che, se fosse di un altro editore, in libreria non avrei problemi a consigliare a un cliente. Lo faccio per passione, per cui sono libero di scegliere e di creare un catalogo di cui andare orgoglioso. Scelto il libro decidere la collana non è molto difficile. Lys, per esempio, è nata proprio per rispondere all’esigenza di inserire dei libri in una collana che andasse bene per loro e non rendesse Marta e Cecilia troppo generaliste.

I libri da te editi mostrano molta cura nella scelta degli autori, nelle tematiche e sono molto curati anche nell’impaginazione. Ti occupi di tutto da solo?

Non proprio. Io seguo ogni passo della lavorazione, dalla scelta del libro alla vendita, ma ovviamente c’è un piccolo gruppo di persone che mi danno una mano. Dipende da libro a libro. Ad esempio lo stile grafico di Lys, la collana che abbiamo inaugurato quest’anno, nasce dal confronto con Chiara Tavella e Cristina Levet. Sembra una cosa banale da dirsi, ma realizzare lo stile di una collana richiede un profondo lavoro sulla disposizione degli elementi, sui colori, sulla dimensione delle immagini, ecc. Insomma ci si confronta e si cerca di dar vita al miglior risultato possibile. È stato un lavoro di gruppo insomma. In ogni libro pubblicato c’è un lavoro di gruppo che coinvolge altre persone, ad esempio per l’editing del testo o per la correzione delle bozze. Negli ultimi due anni Chiara e Cristina, oltre a Giuliano D’Amico che mi ha sempre aiutato sin dagli inizi, sono state le mie principali collaboratrici, ma anche Carlo Quaglia, ad esempio, ha avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione di libri come La confessione di Lucio e ovviamente Rivolta dei pescatori di S. Barbara.

All’ultimo Salone del Libro di Torino hai presentato: La Bocca dell’Inferno. Si tratta di un testo davvero unico nel suo genere. Puoi dirci qualcosa in più sulla sua genesi editoriale?

Il merito è prima di tutto di Giuliano D’Amico che mi fece leggere la novella e di Marco Pasi che ha accettato di curarlo e di trasformare un progetto ancora confuso in un libro così ricco e interessante. Nasce tutto dall’incontro tra il sottoscritto, Giuliano e Marco. Ci sono voluti quasi due anni per portarlo a termine. È un libro che è cresciuto con il tempo. Senza la collaborazione di Marco Pasi non credo saremmo riusciti a realizzare un volume così approfondito e curato. Le note, ad esempio, le trovo quasi un libro nel libro per quante informazioni diano. È stata una grande fatica ma credo ne sia valsa la pena.

Puoi già anticiparmi su quali progetti futuri stati lavorando o di cui vorresti occuparmi?

Siamo già al lavoro sui libri per il prossimo anno. Il primo libro che uscirà sarà di un noto scrittore islandese. Un nome molto importante nella scena internazionale ma che in Italia stranamente non è mai stato preso in considerazione. Per certi versi firmare con lui è stato qualcosa di incredibile, un po’ come quando abbiamo firmato il contratto con Gallimard per Un amore senza parole. Sono quelle esperienze che ti fanno riflettere: quando li contatti pensi che non ti risponderanno mai, invece hanno una considerazione e un rispetto per il tuo lavoro, per quanto piccolo e di nicchia, che non sempre si riscontra in Italia. Poi ristamperemo il nostro long seller Mare aperto (Strindberg) e stiamo anche lavorando per riportare a nuova vita un classico francese. Spero di riuscirci perché credo che sia davvero un libro che qualsiasi lettore di Dostoevskij, il mio scrittore preferito, non dovrebbe farsi sfuggire. Poi chiaramente ci sono gli autori che sogno di poter pubblicare. Mi vengono in mente Quarantotti Gambini tra gli italiani e Herman Bang tra gli stranieri. Ma la lista è molto più lunga. Non sono le idee che ci mancano.