I capelli svolgono una funzione estetica (e psicologica) di grande importanza nella costruzione e nel mantenimento dell’immagine che abbiano di noi stessi, soprattutto in rapporto alle dinamiche che regolano i processi di rappresentazione sociale. Non è un caso che l’alopecia è sempre vissuta come un evento drammatico che provoca, in entrambi i sessi, angoscia e profondo disagio.

I capelli rappresentano per l’uomo un simbolo di virilità, mentre per la donna uno strumento di bellezza e seduzione: nella tradizione occidentale, fino al secolo scorso, le ragazze da marito potevano portare i capelli sciolti, mentre per le donne sposate era più convenevole legare i propri capelli, per sottolineare socialmente la propria indisponibilità sessuale. Non sorprende, quindi, scoprire che nella storia antica i capelli hanno posseduto un alto valore simbolico, in grado di influenzare profondamente la vita individuale e collettiva.

Da sempre, sono stati considerati la sede sia della forza fisica (è il caso dell’eroe biblico Sansone) sia dell’energia vitale e sessuale. Scalpare i nemici uccisi, per testimoniare la supremazia dei guerrieri vincitori, non era una pratica esclusiva dei “pellerossa” americani, ma ancora prima è stata perseguita con particolare ferocia anche dagli Sciti e dai Giudei di Maccabeo (II e I secolo a.C.).

Gli antichi Romani tagliavano i capelli dei prigionieri, delle adultere e dei traditori (e lo stesso facevano i nazisti per esprimere il loro odio razziale nei confronti di ebrei, zingari e omosessuali). Su un altro livello si ponevano i Nazareni, una setta giudaico-cristiana il cui nome originale, Nozrim in ebraico e Nazorai in aramaico, indicava uno stato di purezza e di santità; i loro seguaci portavano i capelli lunghi, facevano voto di castità, non offrivano sacrifici e non mangiavano carne.

In altre epoche le lunghe chiome maschili sono state un segno sia di potere sia di protesta e ribellione; basti pensare ai re merovingi, alle vistose parrucche piene di riccioli tanto in voga alla corte di Luigi XIV (il Re Sole) oppure ai bohémien o alla controcultura hippie (“figli dei fiori”). In tempi moderni, andare dal parrucchiere è un'attività diffusa, generalmente piacevole, che a volte, se gestita con consapevolezza, può diventare addirittura una fonte di rilassamento, con effetti risolutivi su ansie e tensioni. Infatti, cambiare il proprio look, modificando il colore, il taglio o l’acconciatura dei capelli, spesso è un evento positivo che migliora l’immagine di sé e accresce l’autostima. Oggi esistono saloni da parrucchiere particolarmente confortevoli, moderni e funzionali, che rispondono alle esigenze di bellezza di donne e uomini.

Tenuto conto dell’evoluzione della cultura e delle mode, la figura classica del barbiere appare remota, ormai fuori tempo; infatti, in molte città italiane è una professione a rischio di estinzione, come i calzolai e gli orologiai. Ripensare alle vecchie botteghe, arredate con le tipiche poltrone girevoli (tra cui faceva bella mostra la sedia per bambini a forma di cavalluccio), dove ci si incontrava per parlare e discutere, specialmente durante le lunghe giornate invernali, suscita tenerezza e nostalgia.

Alla luce del passato, tale sentimento assume caratteri più marcati in considerazione del fatto che i barbieri svolgevano un ruolo molto importante. La loro arte, forse la più antica nella storia dell’umanità, era già presente nel Paleolitico inferiore e veniva praticata dalla persona più saggia della comunità, con l’ausilio di coltelli e rasoi realizzati in pietra. Nella società egizia troviamo vari reperti archeologici che confermano l’alta considerazione riservata a questa professione, tra cui una statuetta (risalente a 3300 anni fa) rinvenuta negli scavi effettuati nel cimitero inferiore di Tebe, raffigurante il barbiere Meryma'at a cui spettava, ogni tre giorni, il compito di rasare il corpo intero (senza risparmiare il volto e la testa) dei sacerdoti del tempio di Amon.

Questo mestiere godeva di grande rispetto anche tra i Greci, tanto che le botteghe dei barbieri erano luoghi di incontro molto frequentati, dove si discuteva di questioni sociali, di politica e filosofia. Stesso apprezzamento era manifestato dagli antichi romani; a quell’epoca, infatti, i barbieri svolgevano una professione ritenuta particolarmente utile alla società, provvedendo a numerose mansioni, tra cui, oltre al taglio dei capelli, le rasature delle barbe (a tale scopo erano utilizzati dei rasoi di bronzo chiamati "novaculae"), i massaggi, la depilazione (avveniva mediante “strappo” con l’impiego di pinzette e cera d’api), la cura di mani e piedi e, all'occorrenza, anche l’estrazione dei denti e la rimozione di pidocchi, pulci e zecche.

Nei secoli successivi le attività mediche furono soggette a delle precise regolamentazioni, infatti, in occasione del Concilio Lateranense, nel 1123, e del Concilio di Tours, nel 1163, furono emessi una serie di editti che vietavano ai sacerdoti e ai diaconi di esercitare attività curative in cui si riscontrava la presenza di sangue. Pertanto, a partire da quel momento in poi, ai barbieri (oltre ai medici) fu concessa la possibilità di praticare salassi e operazioni di “pronto soccorso” come la cura di ferite, la ricomposizione di fratture e piccoli interventi chirurgici.

I medici dell’epoca, inizialmente contrari all’operato dei barbieri, poiché lo consideravano un’ingerenza nella loro libertà e autonomia lavorativa, in seguito furono ben contenti di sbarazzarsi di attività ritenute di poco conto e non all’altezza del loro stato professionale e sociale, come ad esempio il salasso terapeutico. Questo rimedio, il più delle volte inutile se non addirittura dannoso, che nella pratica consisteva nel provocare la fuoriuscita di sangue attraverso l’incisione delle vene delle braccia o delle gambe oppure l’applicazione di sanguisughe, era basato sulla teoria del bilanciamento degli umori e sulla convinzione che il ristagno ematico nei vari organi fosse la causa di diverse malattie.

Come qualsiasi professione che si rispetti anche i barbieri avevano tutti gli interessi a promuovere i loro servizi sfruttando le possibilità di marketing e comunicazione offerti dall’epoca; durante il Medioevo, infatti, ogni bottega esponeva un recipiente pieno di sangue in modo da attirare l’attenzione dei passanti. In seguito la corporazione dei barbieri-cerusici decise di trovare un emblema più idoneo alla loro professione, consistente in un’insegna esterna formata da un bastone di legno, con attaccate delle bende bianche e rosse, munito all’estremità superiore di un pomo di bronzo. Questa effige simboleggiava l’asta stretta dai pazienti sottoposti al salasso (ciò permetteva di tenere il braccio teso, in modo da mettere in evidenza le vene e facilitare la loro incisione), con all’estremità il recipiente all’interno del quale veniva raccolto il sangue. All’inizio le bende erano imbevute di sangue, poi, con il passare del tempo, si venne a consolidare l’usanza di dipingere intorno all’asta una spirale bianca e rossa. Nel 1700, con l’affermarsi della medicina moderna, tutte le mansioni e le attività terapeutiche tornarono a essere appannaggio esclusivo di medici e chirurghi, relegando i barbieri alla loro originale mansione di acconciatori di capelli e barbe.

Oggi questa insegna (barber pole), costituita da un palo fisso o rotante, colorato con strisce bianche e rosse (nella versione americana sono presenti anche strisce di colore blu) è ancora esposto in bella mostra davanti ai negozi dei barbieri, soprattutto nei paesi anglosassoni; in Italia è quasi del tutto scomparsa, salvo in qualche vecchia bottega di paese, a testimonianza di un glorioso passato, ormai dimenticato.