Il Vangelo di Marco è come un fulmine. Veloce e guizzante, procede per immagini illuminanti, gesti immediati, svolte improvvise. Inizia dicendo tutto subito: "Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio".

Il buon messaggio è di Cristo, Marco è solo annunciatore di un messaggio non suo. Tre le realtà che Marco identifica, sovrappone incrocia: l'Inizio, Cristo e il Vangelo. Una triangolazione di attribuzioni che si qualificano e relazionano reciprocamente. Appena agli inizi pone un altro annuncio, questa volta riecheggiante più profezie messianiche: la voce di Malachia (3,1) e di Isaia (40,3). Tutte profezie sul Tempo.

La seconda immagine è altrettanto forte e immediata e viene presentata all'improvviso, saltando secoli a piè pari: Giovanni nel deserto che annuncia e pratica il battesimo, cioè un rito di immersione nelle acque quale segno di cambiamento. Siamo sempre dentro l'annuncio, che sembra non finire e continuare a moltiplicarsi, riempendo spazio e tempo. Giovanni sembra rivolgersi solo alla Giudea e a Gerusalemme. Ecco il primo grande paradosso: le città e i villaggi si svuotano e i luoghi disabitati si riempiono di folle e la poca acqua del deserto diventa un lavacro pubblico, un nuovo inizio.

"Immergere" nell'acqua nel deserto appare un paradosso anche perché le acque sono simbolo biblico dei popoli, come se ora nuove stirpi sgorgassero dal vuoto. Una singola e solitaria voce chiama i popoli, li attrae. Giovanni vive dentro un continuo annuncio, tanto da quasi disincarnarsi e ridursi solo a voce. È l'uomo dell'Ora, l'uomo che esprime l'epifania dell'Ora. In Giovanni passato e futuro si condensano nell'urgenza di un presente impellente, che si fa corpo. Le sue vesti sono anch'esse paradossali in quanto sembrano ridurlo a uno stato ferino, selvativo: cammello e locusta. Le locuste sono segno di castighi, di divorazione, di fame primordiale, di annichilimento.

Giovanni si nutre di giustizia, nutrendosi di locuste, storna l'ira divina. E si nutre di miele che non può che essere selvatico, perché vive senza aiuto umano in una terra priva di uomini, che vi accorrono solo per il battesimo e per ritornare alle loro case bagnati e dal deserto. Vivendo di fede Giovanni vive di deserto, senza aiuto umano. La vita eremitica di Giovanni riecheggia il Paradiso terrestre perché è vita dove il cibo è spontaneo e selvatico. Ma di quel Paradiso è rimasta solo acqua e voce. Respiro, suono e fonte. Da questi pochi elementi rinasce un nuovo popolo, un nuovo tempo.

Un altro paradosso è il Cristo che quando esce dall'acqua assiste Egli stesso all'aprirsi del cielo. Avviene come un simultaneo rispecchiamento dinamico: si aprono le acque in basso e i cieli dall'alto. Non è il cielo un oceano? L'immergersi nelle acque diventa via di risalita celeste. Giunto Cristo nel deserto Giovanni scompare, evapora come nell'aria mentre Cristo sceglie una via differente da tutti: resta nel deserto, lo assume come condizione ordinaria di vita. Il deserto non è più deserto.

Ritornano immagini del Paradiso perduto: l'Uomo in mezzo a bestie selvatiche pacifiche e angeli. Angeli e bestie e Cristo in mezzo, a riportare tutto a un'armonia e un'unità originarie. Non c'è più grido, ma la scena è piena di un silenzio assoluto che è la solitudine di Cristo, più potente del deserto. Cristo ha presto il posto della Voce e del Giordano stesso. La sua presenza sembra divorare lo stesso deserto, che ora s'anima, s'inabita. È andato oltre, è traboccato oltre Israele. Vive già fuori dal mondo ma pur sempre nel mondo. Ai confini, nella soglia.

Bloccato e nascosto in prigione Giovanni, Gesù va in Galilea. Sembrano muoversi come poli antitetici, Cristo e il suo primo profeta. Quando tramonta uno sorge l'altro. Preparata la Giudea da Giovanni, Gesù inizia la predicazione dalla Galilea, una terra di confine, disprezzata dai Giudei perché gli israeliti erano laggiù mescolati con i politeisti greco-romano e con gli eretici samaritani. Anche nei primi quattro apostoli scelti c'è qualcosa di paradossale: sono due coppie di fratelli antitetici. Simone impulsivo, come Giacomo, e Andrea riflessivo, come Giovanni.

A Cafarnao ecco altri divini ribaltamenti, sacri scambi e inversioni: assistiamo a un villaggio che si riunisce tutto davanti a una porta per farsi guarire da Gesù ma questo avviene "dopo il tramonto", quindi di notte. Gesù scaccia demoni e guarisce i malati dentro le tenebre. La notte viene vissuta come giorno. Il Cristo ama pregare da solo, in luoghi disabitati. Nella stessa notte di Cafarnao esce di casa e si allontana. Simone lo trova ed ecco un nuovo paradosso: al suo "tutti ti cercano", Gesù risponde "andiamo altrove", come se lo scopo missionario fosse già realizzato dal fatto che il popolo lo cerca, come se nella ricerca di Gesù ci fosse già la salvezza.

Nell'episodio successivo del lebbroso avviene un altro scambio simbolico. Il lebbroso guarito va nei villaggi ad annunziare la sua miracolosa guarigione e Gesù ne prende il posto restando lontano dai luoghi abitati, come il capro espiatorio di Israele scacciato nel deserto. Ancora una volta i luoghi abbandonati e selvaggi si riempiono di folle e le città si svuotano. Nella guarigione del paralitico accade qualcosa di simile: chi è ultimo, paralizzato a terra, si trova elevato in alto più di tutti e calato dal tetto dentro la casa, davanti a Gesù, come un trofeo, come intronizzato. Poi inizia una serie di violazioni della legge del riposo sabbatico, come se a Cristo piacesse mostrarsi Lui stesso come Sabato proprio nel violarlo nel compiere buone opere e guarigioni.

Il Bene non viola la legge nel compiere se stesso! Il venire di Cristo sovverte ogni aspettativa proprio nel compiere il tempo profetico. Cristo passa e non si ferma che pochi giorni per ciascun villaggio di Israele. Cristo è Pasqua, passaggio. Tiene a distanza il suo successo popolare, perché non degeneri in moda o tendenza politica. Il suo luogo preferito è quello isolato e solitario. Non sembra avere mezze misure: o la via del cammino o la folla o luoghi appartati, dove pregare in silenzio e da solo. Il Paradosso continua...