Poco dopo il naufragio del Titanic, il grande transatlantico della White Star Line inghiottito dalle gelide acque del Nord Atlantico la notte fra il 14 e il 15 aprile 1912, il magazine londinese The English Review pubblicò un articolo di Joseph Conrad sulla tragedia o Some Reflexions, Seamanlike and Otherwise, on the loss of the Titanic.

Era maggio e già l’inchiesta del Senato americano, guidata dal repubblicano William Alden Smith, aveva aperto i battenti. Joseph Conrad, scrittore e uomo di mare, la attaccò, criticando anche lo spettacolo dei senatori precipitatisi a New York, dov’era giunto il Carpathia con i naufraghi, per angariare sulla banchina del porto equipaggio, funzionari e passeggeri. Cosa ci fosse poi da scoprire, dirà Conrad, una nave mal costruita, enorme, gigantesca, una cisterna del mare ricoperta di tappezzeria aveva fregato la fiancata contro un pezzo di ghiaccio ed era affondata.

Conrad attaccò anche il Ministero del Commercio britannico per aver consentito a un albergo per nababbi di migliaia di tonnellate e sottili lamine d’acciaio di prendere il mare. Il Titanic, dirà, non era inaffondabile, quanta cieca fiducia nel progresso e nei materiali, era una nave solo alla lontana tutta lusso e niente sicurezza.

Ma quando, durante l’inchiesta, alcuni funzionari della White Star Line spiegarono che il Titanic si sarebbe salvato se solo avesse urtato l’iceberg di prua e a tutta velocità, Conrad ironizzò sulla nuova arte nautica. Se vedi qualcosa sulla tua rotta, scriverà, non cercare di evitarlo, vacci contro a tutta birra, e allora sì che vedrai il trionfo dei materiali e dei ritrovati dell’ingegneria. Né risparmiò critiche alla stampa, colpevole di aver fatto da grancassa a tanta conquista della moderna architettura navale costruita per una falsa idea di progresso e poter soddisfare le richieste di un banale lusso alberghiero. Il Titanic era in fondo un Ritz del mare, senza scialuppe e marinai a sufficienza, in compenso, aveva una piscina, un café parigino e quattrocento camerieri.

Quel luglio il magazine londinese, e intanto anche in Gran Bretagna era partita un’inchiesta sul disastro, pubblicò, sempre di Conrad, Some Aspects of the Admirable Inquiry, critica alle inchieste sul Titanic, alla nuova arte nautica e all’idea di progresso al servizio degli interessi commerciali dei responsabili dei grandi transatlantici mossi da considerazioni di profitto da realizzare assecondando un’assurda e volgare domanda di lusso, il lusso dell’albergo sul mare, quasi fosse inconcepibile ci fossero persone incapaci di passare cinque giorni della loro vita senza una suite, un café, un’orchestra.

E sull’arte nautica dei sublimi costruttori di navi inaffondabili, i futuri passeggeri potranno andare cozzando da un iceberg all’altro a venticinque nodi, sarà un’esperienza esilarante, le decorazioni saranno Luigi XV e il café resterà aperto tutta la notte. E, soprattutto, niente scialuppe, perché come dice quel tale funzionario della White Star Line, meno scialuppe ci sono e più gente può essere salvata (tanto vale, suggerirà Conrad, non vendere così tanti biglietti e far annegare così tante persone nella notte più calma e tranquilla che si sia mai vista nell’Atlantico settentrionale).

E i tanti eroi strombazzati da certa stampa? Certo, sarebbe stato più bello se, ad esempio, l’orchestra del Titanic si fosse salvata piuttosto che annegare mentre suonava. E tutti gli altri? I passeggeri? Anche loro eroi? Davvero non c’era niente di eroico nell’annegare contro la propria volontà su un’enorme cisterna bucata dopo aver pagato un biglietto, non più di quanto ce ne fosse nel morire per una colica causata da una scatola di salmone avariato comprata dal droghiere.