Quella di Clara Botzi è la storia di una guaritrice e ostetrica processata per stregoneria: una vicenda tristemente simile a quella di molte, troppo altre donne. Siamo a Kolozvár, in Transilvania, nel 1585, e Clara viene fatta arrestare e incarcerata, in attesa della deposizione di alcuni testimoni. Una coppia di coniugi si dice certa che la causa della morte del loro bambino, nato in perfetta salute ma deceduto dopo soli pochi giorni di vita, sia da imputare alla vendetta di Clara per non essere stata chiamata ad assistere al parto, come lei stessa aveva in precedenza auspicato. Sembrerebbe trattarsi di una banale storia di rivalità fra comari, se non fosse che i successivi testimoni rincarano la dose di accuse dichiarando che la curatrice è nota nella comunità per compiere pratiche proibite di magia nera e stregoneria. Tutte le testimonianze raccolte concordano nel delineare un orizzonte di superstizioni e di fantasie popolari che marcherà di un forte impatto emotivo l’intera fase preliminare del processo.

Clara avrebbe anche svelato a una conoscente alcuni dei suoi segreti più nascosti. Ha raccontato, per esempio, di essere solita cuocere in un pentolone un serpente di cui poi assaggia una piccola porzione di carne: ciò le consente di guadagnarne una vista potenziata e vivida, e inoltre di acquistare il potere di comprendere il linguaggio di qualunque animale. Non solo: quel pasto magico la mette in grado di sentire la voce delle erbe nei campi, di coglierne messaggi e insegnamenti segreti. In questa narrazione, affiorano memorie di riti ancestrali, nei quali il serpente oracolare consentiva la trasmissione del sapere iniziatico, e dove l’intima comunione di linguaggio con il mondo naturale costituiva il retaggio eletto della più antica tradizione sciamanica femminile.

Come guaritrice e indovina, Clara è esperta negli incantesimi di magia erotica: è in grado di rendere un uomo potente sessualmente, attirare o respingere gli amanti, favorire la fertilità o la sterilità in una donna, determinare il sesso di un nascituro o il concepimento di gemelli, a seconda del desiderio espresso da chi si rivolge a lei. Inoltre, sa come si “incantano” i campi di frumento per favorire l’abbondanza di un raccolto. Ricava alti profitti dalla pratica della medicina: può permettersi perfino di rifiutare offerte di lavoro agricolo, se vuole, vantandosi del fatto che, standosene comodamente a casa, può arrivare a guadagnare fino a quattro volte di più con la vendita dei propri farmaci.

Un’altra testimone riporta un racconto stupefacente, dichiarando che la Botzi un giorno le ha svelato in confidenza come e quando ha acquisito i propri poteri. Tempo prima, infatti, l’accusata era stata ospite presso l’abitazione di un medico: con l’aiuto della moglie di questi, era riuscita a carpirne le arti segrete, assaggiando di nascosto il cibo del maestro e, a suo dire, “leccandone bene gli ossi e gli scarti”. Quel pasto iniziatico consisteva in un serpente fatto a pezzi e cotto, veicolo di quella facoltà di comprensione del linguaggio della natura in cui Clara sosteneva di eccellere. In seguito, il medico le aveva fatto dono di un libro sapienziale, che la donna aveva sempre custodito gelosamente e utilizzato per istruire anche le proprie figlie; questo testo era dotato di un potere sovrannaturale, e se lo si leggeva ad alta voce in mezzo a un campo era in grado di attivare le erbe curative inducendole a parlare e a svelare i loro segreti medicinali.

Al termine delle deposizioni, l’imputata viene convocata di fronte all’inquisitore. Nega ogni addebito di stregoneria e dichiara di operare soltanto come curatrice. Viene allora sottoposta a tortura; prostrata dai supplizi, comincia ad abbandonarsi alle prime ammissioni, confermando alcuni dei dettagli emersi in precedenza, quali l’ingestione dei serpenti e il colloquio con le piante, tra cui cita la gramigna, la piantaggine, la santonina e il colchico.

“Io, se voglio, posseggo sia la scienza per guarire le malattie, sia quella di far ammalare le persone: perché tutte le erbe e i frutti dei campi mi parlano e mi offrono le loro virtù.”

Il giudice, non soddisfatto di quella che già considera una piena e completa confessione di colpevolezza, si spinge oltre, spronandola a rivelare i nomi di altre streghe. Clara cede, ancora una volta pungolata dagli strumenti di tortura, coinvolgendo così nel processo altre tre donne: immediatamente arrestate, anche per loro si metterà in funzione il sinistro ingranaggio delle torture e delle ammissioni. Dalle testimonianze raccolte emerge ancora una volta uno squarcio di credenze e superstizioni popolari che pongono queste curatrici al centro una complessa rete di fatti e relazioni, dove terapie e guarigioni, malocchio a persone e bestiame, fatture e negromanzia, abitano il confuso palcoscenico delle azioni di queste novelle Circi.

L’epilogo della vicenda di Clara Botzi e delle streghe di Kolozvár avrebbe condotto quattro donne innocenti sull’altare sacrificale di un delirio collettivo disperato: un bisogno irrazionale di placare ansie e paure, di scovare e purificare col fuoco ogni presunto strumento del male. Tutte le imputate, riconosciute colpevoli di stregoneria sulla base delle prove testimoniali, vennero condannate al rogo.