Piastre astronomiche: prima del “Peremheru” (Libro per uscire al giorno)

Già, gli occhi si è detto. Sono quasi un’ossessione per le genti nilotiche di questo e degli altri periodi della storia millenaria che racconta delle loro sorti. L’occhio Udjiat. Si tratta di un simbolico occhio truccato sotto il quale è posto il caratteristico emblema della testa di un falcone. Udjiat significa “colui (riferito all’occhio stesso) che è in buona salute”, pertanto si può intendere “colui che vede bene”. Udjiat è l’occhio del dio falconiforme Horo, in origine a sua volta occhio del dio del Cielo, il Sole. Quando Ra s’impadronì dell’occhio solare, secondo le credenze solari elaborate a Eliopoli durante l’Antico Regno, l’occhio di Horo si trasmutò in occhio lunare, ossia “notturno”, assumendo notevoli valenze nei miti osiriaci e nei culti funerari di rinascita a questi connessi. L’occhio Udjiat è rappresentato in numerose tombe ed è insieme alla croce Ankh, uno degli amuleti più usati dagli Egizi.

Soffermiamoci per un attimo su questa tradizione dell’occhio come elemento determinante nei miti osiriaci della rinascita. Vediamo (e non è solo un modo di dire) se si riesce a capire qualche cosa in più. L’origine di questa memoria dell’Udjiat potrebbe essere parte integrante, ad oggi non compresa, della storia delle piastre astronomiche. Non è affatto casuale, allora, che proprio sulle piastre astronomiche teriomorfe più elaborate, comparse in periodi ben anteriori rispetto alla comparsa dell’Udjiat “storico”, siano presenti occhi francamente evidenti, quasi sgranati, insieme a incisioni, tacche, sporgenze, fori a marcare il profilo delle piastre stesse. In questa prospettiva diventa sempre più chiaro il retropensiero che si trova alla base dell’esistenza di questi manufatti. Gli occhi, ovviamente, servono agli esseri viventi per vedere (non si pensi che sia banale retorica, questa: è ben altro, come si capirà appena più oltre). Gli occhi sono indispensabili agli esseri viventi per tutta una serie d’azioni di vitale importanza (credo sia del tutto superfluo elencare quali), gesti altrimenti impossibili da eseguire senza un qualche genere di aiuto in mancanza della vista. Un tipico atto di questo genere è, ad esempio, identificare quale percorso migliore scegliere durante un viaggio, magari per uscire rapidamente dal mortifero deserto, o per non entrarci affatto. Certo di giorno c’è eventualmente il Sole a illuminare il cammino da intraprendere, sempre che il caldo lo consenta, ovvero senza sterminare i viaggiatori imprudenti, ma di notte, quando la fatica e il caldo sono decisamente più sopportabili? Sono, è ovvio, la Luna e le stelle a consentire di trovare la strada giusta da percorrere1.

In altri termini, tanto per essere più chiari possibile, è un po’ come avere a disposizione un moderno “navigatore satellitare”, in questo caso “stellare”, a tracciare il percorso migliore da seguire: saranno gli occhi ovviamente che consentiranno la chiara visione del percorso tracciato. È banale sottolinearlo, ma per svolgere la loro funzione, gli occhi devono essere e restare sani e funzionanti. È questo il motivo per cui gli occhi si devono proteggere. È questo il motivo per cui la polvere di galena e la polvere di malachite, come avevano ben sperimentato le genti nilotiche, saranno utilizzate a protezione della vista. I due minerali, oltre a svolgere la loro primaria funzione terapeutica di prevenzione, con i loro colori sono anche potenti contrassegni propiziatori per la buona riuscita del viaggio.

Fin qui tutto scorre. Trasliamo questi stessi concetti dal mondo dei viventi a quello dei trapassati. Ora, anche gli occhi dei defunti devono in qualche modo essere e rimanere aperti e funzionanti. Il motivo è chiaro: gli occhi devono consentire all’anima dei trapassati di rintracciare il giusto percorso, fra i tanti possibili presenti nello sconosciuto e pauroso cielo dell’Oltretomba, per giungere felicemente alla sua destinazione finale. Senza una chiara e netta visione del tracciato da percorrere tra le tante stelle, l’anima correrebbe il rischio di perdersi in volte celesti del tutto sconosciute. Le conseguenze sarebbero terribili dal momento che si perderebbe la possibilità di ricongiungersi con l’ordine naturale degli eventi e, quindi, svanirebbe la possibilità di poter rinascere o di sistemarsi tra le stelle imperiture. È, dunque, solo mediante le piastre astronomiche presenti nel corredo funebre personale, unite alle polveri protettive della galena e della malachite per gli occhi, che questo esecrabile rischio decade. È soltanto una volta individuata la corretta collocazione stabilita mediante le piastre astronomiche in dotazione, infatti, che l’anima del defunto potrà riunirsi al perenne ciclo di rinascita, o di stabilità perpetua nel caso la destinazione sia quella delle stelle circumpolari che non tramontano mai, che caratterizza l’ordine naturale delle cose2. Si può intravvedere in questi concetti elementari quanto profondi come soltanto le cose semplici possono esserlo, i segni prodromici di un’idea fondante specifica della sorprendente Civiltà dei Faraoni: si tratta, in nuce, del potente e pervasivo concetto governato da M3‛t3. Non solo. L’idea dell’occhio e della piastra astronomica abbinati a formare quasi uno strumento prescientifico, dispositivo composito che consente all’anima del defunto di “navigare” tra le stelle, apre inevitabilmente un nuovo fronte: si potrebbe cogliere in questi percorsi intellettuali fino ad ora mai esplorati completamente, il perché l’occhio “Udjiat” assumerà proprio per la cultura religiosa egizia l’importanza cui si è detto più sopra, e del perché saranno proprio da ascrivere al falco4, notoriamente animale dalla vista acutissima, oltreché allo struzzo5, le particolari valenze religiose e culturali che ne caratterizzano il profilo. Non è poco, giacché diventano maggiormente comprensibili alcuni aspetti che evidentemente sono alla base del ricco percorso intellettuale tracciato dai raffinati quanto pragmatici pensatori dell’Egitto Antico.

Per restare in tema di pragmaticità sorge una domanda: per l’anima del defunto, dove si trova praticamente questa meta finale tanto agognata? Semplice: è sufficiente seguire le indicazioni fornite dalle piastre astronomiche “personali” in dotazione al defunto come corredo funebre. Queste piastre astronomiche, strumenti scientifici ante litteram, se posizionate correttamente contro lo sfondo del cielo notturno mediante, ad esempio, strumenti come il merkhet (un filo a piombo legato a un’asticella) e il bay6 (bastone dotato di un traguardo superiore e un incavo verticale), avrebbero consentito all’anima del defunto di raggiungere la sua destinazione finale, ossia il gruppo di stelle inquadrato dal profilo della piastra astronomica sua personale7. Le piastre astronomiche, in buona sostanza, sono il concentrato delle stesse valenze prescientifiche e spirituali, che saranno adattate nel repertorio di formule che a loro volta costituiranno uno tra i più noti documenti tramandati dalla tradizione religiosa egizia, il Peremheru, ossia il “Libro per uscire alla luce”. Il testo è un formulario, una sequela d’informazioni personalizzate, che descrive le varie peregrinazioni dell’anima del defunto e al contempo, con le sue formule informative specifiche, permette all’anima stessa di superare tutta una serie di pericolose situazioni che costellano il percorso per giungere all’agognata luce del giorno, ossia alla rinascita8.

Ora, se questo è vero, e non credo ci siano molti dubbi al riguardo, è oltremodo vero che le piastre astronomiche in trattazione, hanno avuto la stessa, identica, precisa funzione di “navigatori stellari” per le anime dei defunti. Ecco che cosa sono e a cosa servono questi oggetti tanto peculiari: non penso che la verità sia molto distante da questa disamina. La concezione stellare oltremondana diventa ben chiara nei Testi delle Piramidi dove è indicato che l’anima del faraone defunto si viene a trovare dopo il trapasso tra le stelle imperiture o comunque in cielo. È inevitabile vedere derivare da simili concezioni stellari sull’aldilà, il concetto “aristocratico” riservato ai faraoni, di un luogo in cielo (“Nel bell’Occidente”?) tra le stelle dove l’anima del defunto, divenuta anche questa una “stella”, sopravvivrà in eterno alla morte trovandovi la sua precisa collocazione “fisica”, se così si può dire.

Non rimane che capire ai pensatori faraonici, dove si possono trovare queste nuove stelle, ossia le anime dei faraoni deceduti e trasfigurate appunto in astri, e soprattutto come fare per individuarle precisamente. Nulla di più facile per i sapienti nilotici, grandi osservatori e fedeli trascrittori di tutto ciò che li circondava. Una volta individuato il presunto luogo d’arrivo dell’anima faraonica in cielo, infatti, è sufficiente escogitare e dotarsi di uno strumento in grado di segnalare con precisione la posizione dell’astro interessato. Per fare questo occorre tracciare il profilo, la mappatura se vogliamo, delle stelle presenti nel settore di cielo ritenuto il luogo assegnato all’anima di un faraone piuttosto che di un altro. Ecco allora entrare in gioco le cosiddette “piastre astronomiche” che, si ribadisce, con la cosmesi stricto sensu, poco o nulla hanno a che fare. È facile capirne anche il motivo, con le indicazioni che ho fornito.

In effetti, gli indizi contestuali, precisi, univoci e coerenti emersi, permettono di valutare essere ben altro e di ben più importante rilevanza la funzione posseduta dalle cosiddette “tavolozze cosmetiche”, peraltro senza nulla togliere come si è detto all’importante, se non proprio necessaria, pratica del maquillage sviluppatasi nella terra dei faraoni. Sì perché fino ad oggi, si ripete, è così che, almeno sbrigativamente, questi manufatti sono stati segnalati, classificati e liquidati dagli studiosi.

Questa definizione, dunque, obiettivamente non si può più ritenere corretta se intesa in modo restrittivo. Almeno in relazione ad alcune peculiari tipologie di questo genere di manufatti, escludendo, quindi, le cosiddette tavolozze commemorative, tipologia facilmente individuabile, la definizione si arricchisce assumendo toni più scientifici. Le “piastre astronomiche”, è di questo che si tratta e non di altro, infatti, si rivelano essere un curioso genere, selettivo e preciso, di “strumento astronomico”. Si rivelano essere a tutti gli effetti dei prodigiosi “navigatori stellari per l’anima” dei defunti. Le piastre astronomiche utilizzate correttamente, consentono in effetti di traguardare e localizzare particolari configurazioni stellari evidentemente ritenute importanti dai sacerdoti – astronomi nilotici.

Esiste qualche prova in merito, oppure tutto quello che si è fin qui scritto è soltanto aria fritta?

Vediamo.

1 Le cosiddette “piste carovaniere”, che ancora oggi si seguono nel deserto, tracciate da tradizioni millenarie, ne sono un chiarissimo e indiscutibile esempio.
2 Si precisa che le stelle imperiture, ossia le stelle circumpolari che non tramontano mai, saranno la “destinazione finale” riservata inizialmente al solo faraone. Si può pensare, tuttavia, che in origine, ossia proprio durante il periodo di formazione della civiltà nilotica in trattazione, non esistessero ancora simili distinzioni.
3 Si vedano al riguardo i miei studi: Geometrizzazione inversa: nel segno di M3‛t, pubblicato su ArcheoMisteri Speciale, n° 3 Agosto–Settembre 2013 e il più recente Solchi d’eternità. L’Osireion di Sethi I ad Abydos, pubblicato sempre su ArcheoMisteri n° 24 Ottobre 2016. Si veda anche oltre in questo studio.
4 Insieme al falco, predatore diurno, non si devono dimenticare quasi fossero gli alter ego della notte, i rapaci serotini, quali gufi, civette, assioli, allocchi, barbagianni, tutti presenti nella ricca avifauna nilotica e notoriamente dotati di una notevole vista notturna e crepuscolare.
5 Sull’importanza simbolica rivestita dallo struzzo nel contesto intellettuale elaborato dalla cultura nilotica, si veda oltre in questo studio.
6 È da osservare che praticamente tutte le piastre astronomiche note sono dotate quando non di uno o più fori perimetrali, di sporgenze e incavi che portano a pensare che tali piastre si dovessero in qualche maniera sospendere o comunque tenere sospese mediante filo, oppure essere inserite in qualche dispositivo in grado di reggerle. Le piastre a forma di diamante o losanga, rastremate come un cono gelato facile da impugnare, ne sono chiaro esempio.
7 Potrà sembrare del tutto fuori contesto, ma così non è. È da rimarcare il fatto, che nel celebre soffitto astronomico di Senmut, le tre stelle circondate da una sorta di goccia d’Acqua su cui si è scritto di tutto e di più, siano definite il “Terzo gruppo di stelle” direttamente da Senmut.
8 I testi più antichi di questo genere appartengono all’Antico Regno. Si tratta dei cosiddetti Testi delle Piramidi, raccolta di testi rinvenuti incisi sulle pareti del monumento sepolcrale appartenente all’ultimo sovrano della V Dinastia, Unas (Unis) intorno al 2200 a.C. circa.

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