... Annebbiato dal troppo cibo e dal troppo vino rimasi per gran parte del pomeriggio nel “giardino dei francesi”, assopito su un dondolo. Ogni tanto venivo svegliato da un pianto di bambino o da una risata e in quei momenti mi sforzavo di cogliere tra le voci delle persone presenti qualche riferimento a Leonardo da Vinci, un indizio, qualcosa che confermasse l’ipotesi di Dominique. Purtroppo non udii nulla di interessante. Pareva veramente che tutte quelle persone fossero lì solo per trascorrere dei giorni di vacanza e l'interesse per Runo fosse legato alla tranquillità del luogo.

Una cosa avevo scoperto però: Runo fino alla fine dell’Ottocento vantava una scuola di decoratori legati ai maestri comacini e molti di questi artigiani erano poi emigrati in Francia e lì avevano fatto fortuna abbellendo le ville dei parigini. Molti di loro erano poi ritornati da gran signori a Runo e con le nuove risorse avevano ristrutturato e abbellito le case di famiglia. Si creò cosi nel tempo una generazione di famiglie italo-francesi e successivamente i discendenti mantennero le proprietà e continuarono a tornare in Italia, ogni estate, con regolarità. Certo ciò non spiegava il collegamento con Leonardo da Vinci a meno che non si volesse far riferimento al furto della Gioconda, evento indubbiamente curioso ma isolato.

Impegnato nelle mie congetture, non mi accorsi che il tempo stava cambiando. Nel giro di pochi minuti si alzò un gran vento e improvvisamente arrivò un temporale. La pioggia iniziò a scroscio, violentemente, cogliendo tutti di sorpresa. Tra urla, risate e richiami in italiano e francese i resti del pranzo e le tovaglie furono velocemente recuperati e tutti abbandonarono il giardino diretti verso le loro case. Rimasi solo. Attesi il passaggio del temporale riparato dalle fronde di un grande castagno.

Quando la pioggia terminò decisi di fare una piccola esplorazione. In pochi minuti a piedi raggiunsi il punto più alto del paese, là dove le case diventavano sempre più rade fino a lasciare spazio al bosco. Da lì si poteva vedere chiaramente lo sviluppo del borgo abitato, l’imponente costruzione a “L” dell’ex convento, il campanile della chiesa di S. Michele e i resti di una torre di avvistamento medioevale. Non si vedeva il lago ma solo una prospettiva di colline fittamente coperte di boschi. Sulla destra, verso ovest, i rilievi crescevano di importanza fino a svettare lontani con l’imponente massiccio del Rosa sullo sfondo. Che paesaggio grandioso! Riprese a piovere e per questo decisi di tornare indietro, allungando il passo verso a casa.

Entrato nel chiostro salii velocemente le scale e raggiunsi la mia camera monacale che era rimasta come l'avevo lasciata. Fuori nel frattempo cominciava a imbrunire. Non guardai l'ora, accesi la candela e gettai un’occhiata fugace all’angelo musico sulla parete. Poi crollai sul letto. Fui svegliato dal rintocco della campana che questa volta batté le due del mattino. Mi ritrovai vestito sul letto. La candela, ancora accesa ma ridotta a un mozzicone, mi restituì la dimensione del tempo. Fui tentato di controllare se Dominique fosse tornato a casa ma mi trattenni. Preferii versarmi dell’acqua dalla brocca e restai a guardare fuori, attraverso la finestra. La luna splendeva in alto nel cielo. Il giardino era immobile, non si muoveva una foglia. Il silenzio, totale. Mi spogliai e ritornai a letto, addormentandomi all’istante.

“Ti presento Rebeccah Dez” aveva detto Dominique vedendomi entrare in cucina. Lui era li, in piedi, accanto al camino, vestito con una delle sue buffe vestaglie da dandy parigino e pantofole con iniziali ricamate. Voltando lo sguardo cercai istintivamente l'ospite americana ma a causa della forte luce proveniente dalla finestra non riuscii a distinguerne con chiarezza il suo viso." Buongiorno a tutti” dissi allora con voce sonora per superare l’imbarazzo “Anzi, Good morning!” aggiunsi spostandomi nella stanza. “Possiamo parlare italiano, tranquillo” furono le sue prime parole. Si alzò in piedi e mi venne incontro per stringermi la mano. “Ah, ok, ciao Rebeccah, piacere. Qual buon vento ti porta fin qui a Runo dall’America?” le chiesi. "Well... sono amica di Dominique, ci conosciamo da tanti anni e in passato abbiamo lavorato insieme in vari progetti di ricerca” mi rispose sorridendo. "Sono anch'io una ricercatrice". “Ah, ok, bene!" dissi io. "Ma qual è la tua specialità? Sei anche tu una leonardiana come lui?" chiesi curioso notando per la prima volta la sua folta chioma di capelli bellissimi color spiga di grano. "Eh, be...si! Sono laureata in storia e la mia grande passione sono gli ordini monastici medioevali. Ho studiato alla University of Texas a Dallas, la mia città, ma poi mi sono specializzata a Siena e Milano. Conosco l’Italia, mio padre ha lavorato per oltre vent’anni come pilota della TWA sulle tratte tra gli States e l'Italia, per questo I'm almost italian..." disse sorridendo. "Fin da piccola mi è capitato di trascorrere lunghi periodi nel vostro paese...” “Capisco! Quindi immagino che tu non sia venuta a Runo per una vacanza o...” "Esatto! Dominique mi ha sempre tenuta al corrente delle sue ricerche su Runo e sull'ex convento, io quest'anno ero già in Italia per un altro lavoro e così ho pensato: andiamo a dare occhiata!" e mi sorrise strizzandomi l’occhio. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Capisco” dissi io sedendomi al tavolo. Guardai interrogativo una scatola di cartone bianco appoggiata tra le tazze e la caffettiera. Mi anticipo Rebeccah: “Doughnuts!” esclamò. La aprì e triò fuori una ciambella ricoperta di zucchero: “Questo è un cerchio ermetico!” Ridemmo tutti.

In quel momento ebbi come un presentimento, la sensazione di trovarmi in una nuova dimensione, di essere in procinto di vivere qualcosa di grande e meraviglioso.

Trascorsi l’intera mattina a visitare l’ex convento con Dominique e Rebeccah. Ebbi così la possibilità di essere guidato da due veri esperti e fui loro molto grato per questo. L'edificio risultava ancora più' grande di quanto apparisse dall'esterno. L’ala principale era costituita da una struttura di due piani che presentava in alto dieci camere singole e al piano terra il refettorio. Da lì si aveva accesso al loggiato che dava sul giardino. Il giardino, aveva ragione Dominique, era veramente un gioiello. Nonostante apparisse visibilmente bisognoso di cure aveva una ricca varietà di piante rare, alcune secolari, come un bosso e una limoncella che in vita mia non avevo mai visto di quelle dimensioni. L’altra ala, quella laterale, dove viveva Dominique e dove eravamo alloggiati io e Rebeccah, originariamente era stata la biblioteca.

Al piano superiore rimaneva una foresteria per pellegrini di passaggio. Il luogo, essendo tutto cintato e protetto, aveva mantenuto un'atmosfera molto particolare, a volte si aveva la sensazione che all'improvviso da una porta sarebbe potuto sbucare un frate. Tutti i locali mostravano tracce di affreschi, solo il refettorio presentava muri spogli, in compenso aveva un soffitto a cassettoni di rovere veramente molto ben conservato, di rara bellezza.

Come diceva Rebeccah, era probabile che il convento fosse più articolato e importante in origine e che la proprietà non si limitasse al giardino interno ma si sviluppasse anche esternamente con viti e terreni terrazzati, coltivati a frutteto. “Dai, raccontatemi cosa sta succedendo qui, non sto più nella pelle dalla curiosità, voglio sapere” dissi all’improvviso io guardando Rebeccah e Dominique. “Prima il ritrovamento del dipinto dell’Angelo, poi ieri quella strana riunione di francesi, ditemi perché Runo è così importante e cosa c’entra Leonardo da Vinci in tutto questo?”

Rebeccah mi guardò con una espressione tra il serio e il divertito, poi rivolse lo sguardo a Dominique che fece come un cenno di approvazione e tornando a guardarmi disse: “Tutto è cominciato con il ritrovamento casuale di un foglio di appunti di Leonardo. Tutti conosciamo le collezioni importanti di questi disegni esistenti nel mondo ma pochi sanno che ancora oggi sono molti i fogli mancanti. Quello che ho avuto modo di esaminare apparteneva al codice Atlantico conservato alla Pinacoteca Ambrosiana a Milano. Come vi dicevo si sapeva che non era completo ma nessuno avrebbe mai immaginato che uno di quei fogli potesse riapparire in America, per caso, durante il trasloco di una casa privata. In quegli appunti Leonardo parla di Runo e di questo convento”.

“Ma veramente?” dissi io non riuscendo a trattenere l’emozione. “Sì, ti mostrerò le immagini. Dominique le ha già viste. Non ci sono dubbi, ci troviamo nello stesso posto. Questo convento è appartenuto a una confraternita di francescani, gli stessi che nel 1256 avevano fondato a Milano la famosa Chiesa di San Francesco Grande. È probabile che questo convento fosse un luogo per ritiri spirituali estivi per i frati di Milano”. “Perché famosa?” chiesi sempre più curioso. “Perché è la chiesa nella quale lavorò Leonardo appena giunto a Milano. I frati francescani gli commissionarono La Vergine delle Rocce dipinto che, si sa, ebbe poi vita travagliata..” “Negli appunti di Leonardo si fa menzione di due sue visite a Runo ma non si capisce perché venisse qui. Gli scritti sono del 1511 epoca in cui Leonardo esplorò la zona del Verbano spingendosi fino alle pendici del Monte Rosa. Ci sono anche dei bellissimi disegni, schizzi di acque in movimento, di grotte, di sorgenti e opere idrauliche. E vari “fiori della vita”.

“Caspita che emozione sapere che è stato qui! ...Fiori della Vita? Di cosa si tratta?” chiesi ormai rapito dall’eccitazione. “Te lo mostro subito!” mi rispose Rebeccah. E tirò fuori il telefono. Vidi l’immagine stilizzata di un fiore inscritto in un cerchio, percepii qualcosa di famigliare ma il flusso dei miei pensieri fu interrotto da Rebeccah che aggiunse: “È un simbolo antichissimo, addirittura di origine egizia, molto studiato da Leonardo perché legato a concetti matematici da lui approfonditi poi con la figura dell’Uomo di Vitruvio... hai presente, vero?” “Beh, si… chi non lo conosce..!” dissi io.

“Ce n'è uno scolpito sopra una trave di pietra all’entrata del paese" rivelò a quel punto Rebeccah. “E con Dominique ne abbiamo trovati altri cinque sparsi qui all’interno del convento, sopra i muri e sul pavimento. Si tratta di un indizio interessantissimo. Sono sempre più convinta che il convento nasconda qualcosa di notevole, chissà, forse proprio un’opera sconosciuta di Leonardo. Già il ritrovamento della tavola dell’Angelo è straordinario. Quando la Chiesa di San Francesco Grande è stata demolita è possibile che ci fossero più copie dei dipinti presenti all’interno. Pensate se si dovesse scoprire una nuova versione della Vergine delle Rocce... oppure un dipinto di Leonardo mai visto, completamente sconosciuto!”.

“Wow! Ora capisco la vostra agitazione. Voglio assolutamente dare un'occhiata a quel foglio di Leonardo...” dissi lanciando uno sguardo riconoscente ai miei due amici presenti.

Dopo pranzo Rebeccah mi guidò in un nuovo giro dell'ex convento, facendomi vedere i “fiori della vita” sparsi tra la cucina e le altre stanze. Ce n’era uno pure nella camera dove avevo dormito ormai da due notti ma non l’avevo notato. Guardammo anche la tavola dipinta con l’angelo musicante. Un vero capolavoro. Osservando il liuto Rebeccah disse: “Sapevi che Leonardo era un provetto musicista? Quando venne a Milano la prima volta si portò un liuto che aveva costruito con le sue mani. E più volte omaggiò la corte degli Sforza con brevi “happening” improvvisati di poesia e musica. C'è una modernità incredibile in Leonardo da Vinci, non smetto mai di stupirmi. E non è un caso che siano stati proprio dei frati, i primi a sostenerlo. Se non ci fossero stati gli ordini monastici oggi probabilmente l'Europa non esisterebbe. È questa visione evoluta, questa visione che si basa sull'idea di uomo universale che mi appassiona”.

Ascoltavo felice le appassionate dissertazioni di Rebeccah. Mi piaceva quella donna. C’era qualcosa di particolare in lei, una indubbia grazia femminile si fondeva con un piglio deciso, cameratesco. Era sempre molto aperta, molto diretta. Quando ci ritrovammo di nuovo in cucina alla sera con Dominique che cucinava e versava vino a profusione a tutti, non riuscivo a smettere di guardarla e lei se ne accorse. Ma non mi parve infastidita, anzi, mi sembrò lusingata e infatti più di una volta ricambiò gli sguardi.

Più tardi, eravamo ancora a tavola, e dalla finestra della cucina si vedeva il cielo all’imbrunire, tutto viola con gli ultimi riflessi del tramonto.

Dominique aveva appena stappato una nuova bottiglia di Bourgogne Gamay Louis Latour 2016 e per qualche attimo eravamo rimasti tutti in silenzio, in meditazione, quando io esclamai all'improvviso: “Le cantine! Le cantine! Proprio adesso mi sono ricordato di aver sognato la scorsa notte le cantine del convento!” esclamai all’improvviso.

Alle mie parole Rebeccah si illuminò. “Oh my God!” esclamò. “Come ho potuto dimenticare le cantine!”

“In effetti è strano che non ci sia nessun accesso. Ma le cantine ci devono essere per forza. Ogni convento di frati ha le sue cantine!” aggiunse Dominique. “Alla ricerca delle cantine!” disse distribuendo i calici e alzando in alto il suo.

“Alle cantine!” rispondemmo io e Rebeccah, tutti eccitati...