Scrivere per scrivere. A mano. Con studiata lentezza e con il piacere di farlo. Magari con una penna stilografica che impone tempi lunghi e movimenti complessi perché il pennino compia le evoluzioni necessarie a vergare una “H” maiuscola, che richiede al polso una sorta di salto acrobatico all’indietro.

Scrivere per scrivere. Per ricordarsi d’una vecchia lettera a un amico dei tempi in cui non c’era la sbrigativa velocità dell’e-mail, si usavano ancora i francobolli e una confezione di buste e foglietti per corrispondenza era ancora una buona idea per un regalo. Ma anche per ricordare, con un pizzico di innocente nostalgia, le fatiche scolastiche infantili di noi settantenni d’oggi, quando era obbligatoria l’asticciola col pennino da intingere nell’inchiostro nerissimo del calamaio incastrato nello scomodo banco di legno: fatica, sì, ma anche soddisfazione per aver concluso, grattando sulla carta un po’ ruvida dei nostri quaderni, le tre arcate monumentali di una “M” maiuscola senza permettere al pennino di allargare la punta lasciandole sfuggire la temuta e devastante macchia.

Scrivere per scrivere, finalmente senza un preciso motivo, senza l’obbligo di compilare il bollettino postale per pagare un abbonamento, un’utenza, una tassa, o l’urgenza di completare, in una domanda di lavoro, una frase con il patema di perdere il contatto tra il soggetto e il predicato verbale.

Scrivere per scrivere, tradendo per un po’ la tastiera del computer con la penna, accorgendoti quasi con sorpresa che sei riuscito a delineare in corsivo una bombata “B” maiuscola, senza striminzirla in una semplificazione in semi stampatello, come ti costringe a fare la fretta d’ogni giorno, e perfino a tracciare gli svolazzi ornamentali di una paffuta “D”, anche dopo tanto tempo che non impugnavi una stilografica.

E scopri che, alla fine, il corsivo ti diverte; e ti stupisce perché finisci per domandarti come sia stata possibile la perdita dell’abitudine di scrivere a mano. Così, pescando inaspettatamente e istintivamente nella memoria, vai col pensiero alla foto, conservata chissà dove, del nonno ragioniere, che aveva studiato calligrafia e che usava il pennino Cavallotti per compilare le finche dei suoi quaderni contabili. Di ricordo in ricordo, ti riprometti di andare a cercare nel baule dello scantinato tra le impolverate cose di famiglia un cimelio dei tempi in cui non esisteva la carta carbone: il vecchio copialettere, sul cui funzionamento hai solo vaghissime ed evanescenti nozioni.

Rifletti addirittura che potresti uno di questi giorni andare in una biblioteca pubblica – sei pur certo che nella tua città ne esista ancora una, anche se è una vita che non ci hai alcun rapporto – a vedere i manoscritti autografi dei poeti che da ragazzo hai studiato e dopo i venti anni hai amato. Forse rifletterai che tutta la memoria della nostra civiltà è nella scrittura a mano, prodotta da penne ispide e fragili, guidate spesso da dita dolenti per età e stanchezza, in condizioni di postura e di luce disumane.

Scrivere per scrivere, insomma, per recuperare un valore perso in un mondo come quello attuale, che sacrifica il bello e il godimento alla comodità, alla velocità e alla praticità, appiattendo tutto e tutti e raggelandoci la vita.

Può addirittura venirti la tentazione di andartene per libri e manuali di storia per rivisitare le tantissime e bellissime varietà di scrittura create dall’uomo: ogni epoca, ogni cultura, ogni civiltà ne ha avuto una sua, distintiva e caratterizzante. La grande riforma culturale voluta e promossa da Carlo Magno ebbe una sua meravigliosa scrittura: “la carolina”. Per non dire di quella elegantissima degli umanisti italiani del Quattrocento.

Il computer ha reso tutte uguali le nostre mani e le nostre dita, velocissime certamente sulle tastiere, ma incapaci ormai di condurre le personalissime e a volte fantasiosissime evoluzioni del corsivo.

E allora quando ti regalano un’elegante e costosa penna stilografica, non limitarti a farne bella mostra nel taschino della giacca o sulla scrivania, ma usala, anche per solo divertimento, come efficace antidepressivo e, se non altro, come passatempo più rilassante e creativo del videogioco compulsivo. Se non te la regalano, comprala! Ce ne sono ancora sul mercato di molto economiche.

Essa, senza nulla togliere ai meriti dell’agile penna a sfera e del velocissimo pennarello nipponico, pur assai meritevoli, l’uno e l’altro, nella più recente storia della scrittura, probabilmente ti riabituerai al piacere della calligrafia: lenta e calma.

E recupererai, piano piano, senza fatica, una parte non irrilevante di una cultura che stiamo inesorabilmente perdendo sulle tastiere dei computer e dei cellulari, che spesso scrivono quello che vogliono loro piuttosto che quello che vorresti tu.

Infine, per onestà, devo chiedere perdono alla mia amatissima, vecchia e un po’ decrepita stilografica, perché per farne in questo articolo l’elogio come testimone fedele di tanta storia della scrittura, ho dovuto necessariamente tradirla. Tradirla, ancora una volta, per la tastiera del computer. E di questo tradimento, in verità, assai mi dolgo.