L’idea che la celebre moderna favola potesse veicolare allusioni ermetiche l’ho recepita tramite la lettura dell’opera divulgativa Favole ermetiche di Sebastiano B. Brocchi dove l’autore si sofferma sull’etimo del cognome del bambino protagonista, Bucket, cioè “secchio” considerandolo quale indizio di un'allusione al “vaso filosofico” e quindi punta di iceberg di una sottotraccia del racconto. Siccome l’intervento di Brocchi non mi sembrava molto preciso ma appena accennato, ho voluto rileggermi il testo per verificare la ragionevolezza dell’ipotesi e ho concluso raccogliendo non pochi altri “indizi d’ermetismo” che mi sembrano significativi e che precisano l’intuizione di Brocchi. Dal punto di vista stilistico/linguistico si tratterebbe quindi di un modus operandi simile, si parva licet componete magnis, a quello utilizzato in Gargantuà e Pantagruel e nelle Avventure di Pinocchio, dove il racconto iniziatico viene appena velato dal genere della commedia borghese, dai toni comici e ironici.

Si tratta di un modulo comunicativo che possiamo definire di semisubliminalità, nel senso che i rinvii semantici vengono posti ai margini di evidenze prosaiche, mentre invece rappresentano punti di svolta che intessono una rete narrativa interna autonoma e fondamentale. Già l’idea di incentrare il racconto su di una “fabbrica” appare da una parte rassicurante nella sua modernità, d’altra appare al contrario portare alla luce apertamente una metafora trasformativa senza timore di “perdere la maschera”. Che la “fabbrica” sia quindi immagine direttamente speculare al “lavoro alchemico” lo possiamo indurre da alcuni indici precisi.

La “fabbrica” viene descritta come un complicato labirinto sotterraneo, caldo e odoroso, come un corpo organico, vivo, dove “nessuno entra” e “nessuno esce”, articolando quindi come parallelamente ad un classico tema ermetico in riferimento sia al “vaso filosofico” o “athanor”, che viene descritto come sigillato appunto ermeticamente, sia in riferimento al tema alchemico centrale dell’unicità della “Res” e del carattere infantile del “lavoro” dell’alchimia. Non solo: l’invito da parte di Willy Wonka ha una data assai simbolica di partenza cioè il primo di febbraio, il mese della “febbre”, dell’“accensione”, della purgazione, oltre a mostrare una stranezza, cioè la stessa precisazione dell’invito a visitare la fabrica “com’è ora”, come fosse un organismo che internamente sia soggetto a continue evoluzioni.

Possibile allegoria dello stato metallico in fase di cottura: fuori ancora duro ma internamente in “crisi”. Un luogo/non luogo dove gli aromi e i gusti sono molteplici, universali, totali, quasi trasposizione in altri sensi dell’immagine della molteplicità arcobalenica dei colori, che ricorda l’immaginario dell’Eden e del Graal, talvolta incrociati con quello alchemico in quanto afferente ad una “sostanza” universalmente inclusiva e proiettiva.

Il protagonista della Fabbrica, Willy Wonka, manifesta anch’esso una simbolicità cromatico/materica peculiare e precisa: vetro, perla, oro, tutte immagini tipiche del Lapis e il nostro eroe continua a saltellare e a muoversi frettoloso come il “mercurio”, come il bianco coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il rispetto dei “tempi” sono infatti essenziali per il corretto lavoro alchemico. La gara fra i cinque bambini per il controllo della “fabbrica” infatti viene illustrata con 4 espulsioni/separazioni che vengono celebrate dal saggi canti degli Umpa-Lumpa in termini simili ad operazione di purificazione/assottigliamento di una medesima, incognita. Res. Augustus Gloop viene separato dal gruppo per essere cotto "a fuoco basso" in modo da scioglierne il grasso, Violetta viene allontanata per estrarne il succo mediante "centrifugazione", Verruca Salt viene gettata fuori come un rifiuto di lavorazione, mentre Mike Tivù è sottoposto ad un intensa riduzione. Charlie invece, magro come uno scheletro come il Nonno Joe, e mangiatore di cavoli come Willy Wonka, resta identico a se stesso, e in silenzio. Charlie sembra quindi una metafora di quella "res" ermetica rispetto alla quale il lavoro alchemico deve limitarsi a "togliere" le sovrastrutture affinché emerga ciò che già prima c’era ma non visibilmente, né efficacemente. Non a caso solo Charlie viene "nutrito" durante il viaggio in barca da Willy Wonka, come accade con la "materia prima" al fine di trasfigurarla in "Pietra filosofale".

Se scendiamo più nei dettagli ci accorgiamo come i cinque personaggi sembrano alludere ad altrettanti stati della materia o a fasi di lavorazione. Abbiamo Charlie che è così magro e debole che viene paragonato ad uno scheletro, immagine ermetica, Augustus che rappresenta uno stato adiposo e quindi semisolido, Verruca Salt, che nel nome allude al sale e alle escrescenze/inflorescenze, Violetta che ci reca un colore che indica trasformazione/marcescenza e che sta masticando la gomma da tre mesi, Mike che sembra allegoria dell’alchimista che sta in contemplazione del suo alambicco e del suo fuoco. Non a caso indossa la maschera del “cavaliere solitario”, chiaro emblema della solitudine dell’alchimista.

Ciascuno indica una fase transitoria del lavoro alchemico la quale è insostenibile se ci si ferma in essa decretando così il fallimento del lavoro. Augustus fallisce ermeticamente in quanto entra in contatto con la materia, contaminandola, identificandosi eccessivamente con essa, Violetta fallisce in quanto tratta con indifferenza la materia (“basta che sia gomma”) e quindi pecca di aggressività e deficit di sensibilità nella fase finale del lavoro, proprio quando i colori arcobaleno facevano pensare ad una “cauda pavonis”, e finendo così tinta del suo stesso colore senza aver prima estratto l’essenza dalla gomma, termine che viene usato nei testi alchemici quale indicazione della “materia prima”.

Allusione alla realizzazione di un regolo? Certo è che la notazione di Wonka non sembra arbitraria: "c’è sempre qualcosa che non funziona quando si arriva al dolce". Questa frase mi evoca la simmetrica complementarietà fra i due detti “dulcis in fundo” e “in cauda venenum”. Non a caso nella loro saggia canzoncina a lei riferita gli Umpa-Lumpa concludendo con l’allusione ad un'autoconsumazione degli elementi, ad una perdita di controllo delle operazioni e nel contempo ad un parallelismo terapeutico dell’accenno alla situazione e all’"esserci" di Verruca. Dopotutto lo stesso processo alchemico è stato sempre paragonato ad una terapia. Verruca invece fallisce in quanto non riesce per spirito di possesso ad imitare il sapiente lavoro di estrazione del gheriglio intero fatto dagli scoiattoli ma vorrebbe impossessarsi di loro.

Enigmatica ma altrimenti narrativa dovrebbe leggersi la descrizione della vendetta degli scoiattoli: si parla di “fulmine fulvo” e di una strana numerologia fatta di tre serie di 25 e di un ultimo 24. Il totale fa 99. Allusione ad uno scarto minimo ma decisivo rispetto ad una meta di perfezione? Mike viene ridotto attraverso una proiezione invertita e il tema della reductio ad essentiam è altro topos ermetico, come pure quello della “proiezione”, della “coagulatio” e dell’"inversione". Mike fallisce nell’Opera in quanto non riesce ad uscire dalla sola contemplazione. Appare troppo passivo. Un peccato opposto a quello di Verruca Salt e di Violetta.

Ma lo stesso Charlie, che apre così insipidamente inalterabile, come la materia vilis dell’Opera, coagula molti dettagli interessanti. Charlie è essere quasi volatile (lapis exilis), in quanto magro, ossuto e debole, tanto da nutrirsi del fumo che esce dalla “fabbrica”, la quale gli mostra all’inizio un aspetto infero con il suo ferro impenetrabile e il suo scuro fumo. La scena viene completata nella sua “metallicità” dall’accenno ad un cielo "color acciaio". Charlie trova per terra fra la neve un “bagliore d’argento”, cioè sembra trovare se stesso, in quanto compare un “esserci” quasi invisibile: grigio su grigio e bianco su bianco. Il rapporto fra Charlie e l’Opera viene alluso fin dall’inizio quanto l‘autore paragona all’"oro fino" la cura che il bambino aveva nel custodire il cioccolato che gli veniva regalato annualmente. Se la Fabbrica è quasi una fabbrica moltiplicata ("per 50 volte" dice il Nonno, analogo al numero dei bambini selezionati) anche il cioccolato di Charlie si moltiplica miracolosamente: prima quello preso con i risparmi dello scheletrico Nonno e poi le due tavolette ottenute dall’"argento" trovato nella neve. Quattro tavolette.

Che il “cioccolato” sia un allegoria della materia al cui interno trovare la “materia prima” può trovare conferme in altri aspetti come nel “bagliore d’oro” che Charlie scorge scartando la confezione e nel fatto che il cioccolato della ferrosa e fumosa “Fabbrica” venga spedito “ai quattro angoli” della terra e, quindi, rivesta archetipicamente un ruolo simbolico di “centro”. Oltre a ciò "l'oro" si potrebbe trovare in "qualsiasi" cioccolato, come la “materia prima” si può trovare ovunque secondo la maggior parte dei testi antichi. Che la visita nella Fabbrica sia un viaggio iniziatico e trasformativo lo dimostra anche il suo articolarsi in una serie di tappe processuali scandite da certi determinati materiali, nomi e colori.

La porta della “stanza della cioccolata”, che viene purificata tramite una “cascata” è di un “metallo lucente”, la barca sembra di cristallo ed è stata “scavata” da Willy Wonka come avesse lavorato una pietra, il tunnel è di color pece ma in realtà dentro le sue pareti sono di bianco immacolato. Il passaggio dal nero al bianco viene indicato anche nella successione delle 4 porte colorate dentro il misterioso tunnel: verde, nera, gialla e rossa. Non solo di tratta dei colori che scandiscono le fasi della trasformazione ermetica, ma fra il nero e i giallo si parla di “panna” introducendo ancora una volta il “bianco” che ritornerà, abbagliante, nella stanza del telecioccolato. Il verde può alludere al “vetriolo filosofico” e ricompare anche nella biglia inconsumabile prodotta dal “grande forno”.

L’autore sembra rinviare ad altri racconti anche attraverso l’invenzione di nuovi termini, a sua volta topos ermetico. Ne ricordiamo solo uno: “cetragola”, termine che mi evoca a livello di sonorità le curiose denominazioni dei poligoni platonici del De divina proportione di Luca Pacioli, a sua volta da lui accostati agli elementi cosmici. Non a caso vicinissimo all’introduzione di questo nuovo curioso termine il racconto accenna ad un “ghiaccio bollente”, celebre immagine ermetica. Un altro possibile accostamento di geometria simbolica si ha quando l’autore appena dopo parla dei “cubetti che si girano”, immagine che evoca la celebre “quadratura del cerchio”, a sua volta emblema di visualizzazione alchemica. Gli ultimi colori siano triadici: bianco luminosissimo, rosso vivissimo e azzurro chiaro. Cioè sale, zolfo e mercurio, riportati a purezza e unità.

C'è di più. Il racconto presenta numerosi punti di contatto, anche lessicali, con uno dei testi più affascinanti di alchimia: Le lettere di Ali Puli, testo tedesco/olandese di fine '600 che ebbe molta fortuna in Inghilterra. Compaiono in entrambi i testi in posizione decisiva i termini: “lampo”, “gomma”, e le funzioni digestive corporali, insieme all’arte della cucina, quali metafore alchemiche. Fantasia dell’interprete o eccesso sospetto di concordanze? La perenne questione!