Laura Boella è professore ordinario di Filosofia Morale e di Etica dell’Ambiente presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano. Ha dedicato numerosi studi al pensiero femminile del ‘900, in particolare a Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano e Edith Stein. Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale (Cortina 2012) e Le imperdonabili. Milena Jesenská, Etty Hillesum, Marina Cvetaeva, Ingeborg Bachmann, Cristina Campo (Mimesis 2013) elaborano il contributo delle pensatrici e di alcune scrittrici all’etica contemporanea.

Ha quindi sviluppato il tema delle relazioni intersoggettive, dell’empatia e della simpatia proponendo un confronto critico tra l’attuale ricerca scientifica e la prospettiva fenomenologica. Ha curato la nuova edizione italiana di M. Scheler, Essenza e forme della simpatia (Franco Angeli 2010) e pubblicato Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Cortina 2006, Neuroetica. La morale prima della morale (Cortina 2008) e Empatie. L’esperienza empatica nella società del conflitto, Cortina 2018.

Il basso continuo della mia vita è lo studio e la scrittura. I filosofi e le filosofe su cui ho lavorato sono stati anche i miei maestri di letture letterarie e di ascolti musicali. Ho sempre avuto una grande passione per la montagna: mi piace camminare a lungo, ovunque, e andare in bicicletta. Ho un inesauribile bisogno di aria e di cielo.

Quali sono stati gli incontri, le esperienze, le letture, che l’hanno spinta a dedicarsi alla filosofia?

Nel ’68, primo anno di università a Pisa, ho incontrato un pensiero che era impegno nel mondo e nella storia, ossia il giovane Lukács e i suoi primi lettori, Walter Benjamin, Theodor W. Adorno. Marxismo critico, filosofia della speranza. Sono stata fortunata: la filosofia per me non è mai stata una questione accademica, ma si è sempre legata alla realtà storica e politica e all’esperienza individuale.

Donne e filosofia, un rapporto complesso, che lei, assieme ad altre, aveva già affrontato in passato nel gruppo Diotima: cos’è cambiato da allora?

Il pensiero femminile e le grandi pensatrici del Novecento non sono state che la conferma di questo approccio. Devo ad alcune esponenti di Diotima la valorizzazione del mio impegno didattico consistente nel fare i primi corsi (fine anni Ottanta e anni Novanta) universitari su Arendt, Weil, Zambrano, Stein. Oggi la tradizione del pensiero femminile è ampiamente riconosciuta e il movimento delle donne si è frammentato in una galassia di posizioni letterarie, culturali, mediatiche, spesso individualistiche e politicamente generiche. Ho molti dubbi sulla tesi che le donne “salveranno il mondo”. Per ora le campionesse dell’eccellenza femminile corrono da sole.

Pensiero in atto femminile e pensiero professionale maschile…

Nel mio libro Le imperdonabili (Mimesis 2013) ho parlato di una “non contemporaneità” di scrittrici e filosofe. Non contemporaneità vuol dire che esse non si sono collocate sull’asse del loro tempo, ma ne hanno anticipato alcune tendenze, hanno visto cose invisibili ai più.

Compassione, empatia, simpatia…

Da molti anni sto lavorando sull’empatia. Ho approfondito sia le neuroscienze che hanno prodotto una grande quantità di dati sperimentali sul tema, sia le riflessioni filosofiche in ambito anglo-americano. La mia posizione è fenomenologica. L’empatia non è uguale a simpatia e compassione, ma corrisponde a un’esperienza di base del nostro stare al mondo: renderci conto che viviamo in un mondo abitato da altri esseri umani che, come noi, hanno percezioni, emozioni, intenzioni e pensieri da una prospettiva differente, ma altrettanto sensata della nostra.

Quali sono le principali barriere che, oggi, impediscono di riconoscere l’altro?

Viviamo in un mondo in cui siamo sempre connessi con altri (social, dispositivi digitali), siamo in relazione con altri nella vita quotidiana (professioni, relazioni affettive, contratti ecc.), ma facciamo fatica a gestire le relazioni. Abbiamo paura dell’altro, paura persino di innamorarci… In un mondo complesso come quello contemporaneo, riconoscere l’altro è un impegno, una scelta. Ogni giorno dobbiamo “scoprire l’altro”.

È una studiosa di neuroetica: che orizzonti può aprire?

Il mio interesse per la neuroetica è nato dalla convinzione che i problemi etici (che sono per me innanzitutto problemi di relazione) non possono essere affrontati senza una seria informazione scientifica. Non è un caso che le neuroscienze si interessino in modo così vivo dei meccanismi cerebrali associati all’empatia, simpatia e compassione: si tratta di fenomeni decisivi per la convivenza in tempi di crisi come quelli attuali. Detto questo, il mio lavoro sulla neuroetica è stato dominato dall’intento di favorire un dialogo tra neuroscienze e filosofia: è affascinante mettere in contatto metodi e linguaggi diversi.

Cambia anche il concetto di “mens rea”?

Le questioni legali e processuali mi interessano per il loro rapporto con la vita reale. Da questo punto di vista, le acquisizioni della ricerca sperimentale sul cervello e in particolare sul free will hanno gettato un nuovo sguardo sulla psicologia morale e legale, ossia su tutto ciò che precede l’adempimento o trasgressione di una norma, sulle motivazioni e condizionamenti dell’agire.

È una studiosa di Ernest Bloch, pensa che il suo concetto di utopia e il suo principio “Speranza” possa essere ancora praticabile?

La filosofia della speranza di Ernst Bloch, oggi dimenticata, dovrebbe essere riletta alla luce dell’idea di “utopia concreta”, opposta ai castelli in aria, nonché di una speranza mai garantita, di un cammino verso il meglio sempre da iniziare.

Siamo entrati nell’era dell’Antropocene…

La proposta di nominazione di una nuova era geologica, l’Antropocene, da più di un decennio non ha solo movimentato le acque notoriamente placide della geologia, ma ha scatenato l’immaginazione artistica, politica, antropologica, storica e filosofica. Il riscaldamento globale sfida l’immaginazione perché mette alla prova la percezione sensibile con la sua distribuzione su scale micro e macro nel tempo e nello spazio, presentandosi come effetto di accumulo e insieme geograficamente sparpagliato. Grandi sono i limiti del linguaggio quotidiano, nonostante gli sforzi letterari e poetici per esprimere l’esperienza inedita di una natura diventata innaturale, di un mondo che ha ruotato sul suo asse. In questione, prima ancora del linguaggio, è la percezione sensibile. In una cultura dei dati e del visuale, i modelli, i diagrammi, le immagini satellitari, le statistiche, i “numeri” che inondano i media, ci fanno “vedere” e “sentire” qualcosa? Le arti visive e le numerose mostre dedicate negli ultimi anni all’Antropocene sono diventate un’importante fonte di esperienza e conoscenza dei fenomeni della crisi climatica perché sono riusciti a toccare questo nodo di fondo con intenti di vario tipo: rendere visibile l’invisibile, provocare choc intensificando la sensibilità, favorire una conoscenza per esperienza, emotivo-sensibile, di una realtà sfuggente. La fotografia di Edward Burtynsky, viene discussa come esempio spiazzante di rappresentazione dell’Antropocene.

Milano è una città empatica?

Milano è una città aperta, viva e animata, che io amo, pur essendo una provinciale di origine, non solo per la sua bellezza ed efficienza, ma per il fatto che viverci tiene dentro le contraddizioni, il bene e il male del nostro tempo. Questa è peraltro la mia idea di empatia, che non è la capacità di chi è buono, altruista e solidale, ma di chi ha il coraggio di guardare a viso aperto le contraddizioni della nostra società, cercando di comprenderle e, se possibile, di mettersi di mezzo, di interrompere le devastanti derive dell’indifferenza e dell’impotenza.