È una regione industriosa e produttiva, la Brianza, ma è anche terra di fiumi e colline verdissime, perlustrate palmo a palmo da Leonardo da Vinci, che forse tra le rapide dell’Adda trovò ispirazione per lo sfondo della Vergine delle rocce, e amate profondamente da Foscolo, Manzoni, Stendhal… Qui, giusto a metà strada tra Lecco e Milano, si trova Osnago, dove per tutto il Novecento prosperò un’officina tipografica, la Morell, oggi chiusa ma un tempo così importante da stampare per Adelphi e contribuire significativamente al benessere del paese, dove non a caso, in segno di riconoscenza, ci sono una via dedicata alla famiglia Morell e una piazza che rende omaggio, risalendo alle origini, direttamente a Johann Gutenberg.

Nelle vicinanze di questa piazza vive, in una casa-laboratorio a due piani, Alberto Casiraghy, artista poliedrico che ha nel suo passato proprio un lavoro da tipografo, ma anche da liutaio e scenografo, e ha un presente da illustratore, aforista e editore. Diversi lavori, tutti molto creativi, scelti seguendo l’estro e la passione, come fa chi ha a cuore la ricchezza culturale molto più che quella materiale. Al miracolo economico che ha vissuto la sua zona negli anni del secondo dopoguerra, ha sempre preferito di gran lunga i miracoli della poesia. Nel 1982, a trent’anni, fondò un’originale, raffinata e prolifica casa editrice, Pulcinoelefante, che oggi ha all’attivo oltre 10.500 titoli.

Vanni Scheiwiller, che Casiraghy considera il suo maestro, disse di lui: “Un bel matto di editore il Pulcinoelefante. Da invidiare con simpatia perché in fondo, sono parole sue, è il panettiere degli editori, l’unico che stampi in giornata.

Pulcinoelefante, infatti, forse per coerenza con l’ossimoro contenuto nel nome, è una piccola, piccolissima realtà con una forza insospettabile. La forza di editare un titolo al giorno, e per giunta artigianalmente, alla vecchia maniera. Molti titoli sono di grandi firme della letteratura, della poesia, dell’arte. Tutti amici di Alberto Casiraghy, come Alda Merini, che qui era veramente di casa, Allen Ginsberg, Gillo Dorfles, Guido Ceronetti, Maria Lai, Fernanda Pivano, Bruno Munari, Fausto Melotti, Sebastiano Vassalli, Franco Loi… La lista dei nomi di chi è passato a prendere un tè e a stampare a casa sua è veramente interminabile. Il risultato è un numero incredibile di libri d’arte in formato tascabile, piccole plaquettes costituite da un testo in caratteri Bodoni, che può essere una breve poesia, un aforisma o un paradosso, accompagnato da incisioni, acquerelli o disegni originali. La macchina tipografica utilizzata è antidiluviana, una gloriosa quanto obsoleta Nebiolo a caratteri mobili per stampa a mano, e i fogli, bianchi o avorio, sono della pregiata carta-cotone tedesca Hahnemühle, piegati e cuciti a mano. La tiratura non può essere, quindi, che limitatissima, al massimo una trentina di copie. Così in un mondo che marcia trionfante verso la smaterializzazione e la connessione velocissima e costante ma tristemente virtuale, il Pulcinoelefante viaggia, poetico e folle, in direzione ostinata e contraria.

Quando è nata la passione per l’arte tipografica e per la poesia?

Da ragazzino. Ho avuto dei genitori speciali. Mia madre lavorava in casa, faceva la sarta. Mio padre invece faceva l’idraulico ma era un idraulico molto particolare. Realizzava, per fare un esempio, dei modellini di aerei utilizzando il piombo fuso. Era una famiglia molto creativa. Sono nato in un contesto molto favorevole, pieno d’amore. C’è una foto dei miei genitori da giovani, appena sposati, hanno gli occhi che brillano, si capisce da quello quanto erano innamorati. E non è un caso. C’è una genesi in tutte le cose. Arriva tutto da lì, dall’essere stato amato e lasciato libero di sperimentare. E dal momento che desideravo imparare a suonare il violino, me ne costruii uno da solo. Così iniziai anche con il mestiere di liutaio, andando a bottega da un grande maestro, e la creatività che ho sviluppato suonando e costruendo i liuti, le vielle, i violini, successivamente l’ho riversata tutta nei libri. E, infatti, se si guarda bene, io penso che le edizioni Pulcinoelefante siano piene di musicalità. E di libertà… Una volta mi sono autodefinito, forse in modo un po’ presuntuoso, un professionista della libertà ma in effetti è vero: alla mia età mi piace ancora giocare con la libertà della vita. La passione per la poesia, e in particolare per gli aforismi, poi, mi ha fatto capire tante cose. Inizialmente scrivevo e pubblicavo con altri. La scrittura era una sorta di psicanalisi. Poi ho iniziato a mia volta a pubblicare le poesie degli altri. E quella che sto vivendo da oramai quasi quarant’anni la considero un’esperienza antropologica, più che editoriale, perché gli incontri sono più importanti dei libri. Io instauro rapporti umani con gli autori, creo una rete di relazioni. Anche con gli animali. Tempo fa avevo due capre, se ne sono andate che avevano diciassette e vent’anni. Dormivano sul mio divano. Gli animali sembrano selvatici ma quando c’è un imprinting diventa un po’ come per le anatre di Lawrence, pensano sia tu la loro mamma. Eravamo diventati amici, io poi non mangio animali da anni. E poi c’è un gatto, Igor, che è una bella presenza. Ascoltandoli si capiscono molte cose, anche se apparentemente non parlano. Ho avuto anche un cane, Claudia, che è stato con me per vent’anni. La consideravo mia sorella.

È una conversazione fatta di voli pindarici, quella con Alberto Casiraghy. E Pindaro, non a caso, è tra le sue letture preferite insieme ad Aristotele, Eraclito, Oscar Wilde, Nietzsche, Emil Cioran, Elias Canetti, mentre i suoi riferimenti per quanto riguarda la musica sono Gustave Mahler e Bach… e, sicuramente si può aggiungere, lo sferragliare della grande macchina tipografica insieme ai suoni del bosco e dell’Adda, tanto presenti anche nel film-documentario che, nel 2016, il regista Silvio Soldini ha dedicato a lui e a Josef Weiss, grafico e restauratore di libri. Il titolo è Il fiume ha sempre ragione, che è proprio un aforisma di Casiraghy che attesta, nel bene e nel male, la potenza della natura.

È difficile immaginare un’intervista tradizionale con lui ma parlargli trasmette tranquillità. Forse per questo Alda Merini gli telefonava decine di volte al giorno. Al punto che, in un angolo della casa, tra gli archivi dei libretti finora stampati, nel caos armonico delle pareti fitte di quadri, quadretti, specchi, appunti, maschere e idoli africani in legno, spartiti musicali e fotografie, trova posto, anche se a stento, un’annotazione, con tanto di cornice: “Qui il 3 settembre 1997 non ha telefonato Alda Merini”.

Eravamo molto uniti. Mi telefonava anche per dettarmi aforismi, poesie. Lei sapeva che non stampavo tutto ma si fidava delle mie scelte. C’era proprio la gioia di lasciarmi decidere. Era un bel segno di amicizia, di rispetto. Prima di conoscerla stampavo un libricino a settimana, quando è arrivata lei ho iniziato a lavorare intensamente. Lei era veramente grande, era come Picasso, come Mozart. Ha avuto anche molti detrattori, molti la detestano ma secondo me non l’hanno letta attentamente. E non è stata scoperta adeguatamente come autrice di aforismi. Ma ne ha scritti di meravigliosi. *La pistola che ho puntato alla tempia si chiama poesia è bellissimo…*

Forse la detestavano i benpensanti? E, del resto, lo ha scritto proprio la Merini che “le ombre del perbenismo sono sempre sinistre”.

Forse è vero, i benpensanti. Andava in giro trasandata, buttava a terra i mozziconi di sigaretta in casa… Ma aveva vissuto l’esperienza del manicomio per quindici anni. Cosa le importava dei mozziconi in terra? Sono discorsi un po’ da brave ragazze… ma lei se le mangiava tutte le brave ragazze!

Bisogna saperla vedere, quindi, la poesia…

Ho avuto la fortuna di conoscere Scheiwiller, una persona straordinaria, molto modesta ma di grande spessore umano e di incredibile esperienza, come anche Roberto Cerati, che fu presidente dell’Einaudi. Da lui, da Scheiwiller, ho imparato a capire il valore delle cose e della poesia, a cercarla anche tra coloro che non rincorrono la fama a tutti i costi. Non a caso, a proposito di un autore, che è Piero Marelli, mi diceva sempre queste parole: “è il mio più grande poeta sconosciuto”. Poeti veri che vivono e lanciano nell’universo i loro versi e questi tornano indietro, da qualche parte. Ci possono anche essere poesie brutte, ci possono essere poeti coltissimi che magari hanno la tecnica ma non hanno dentro nessuna poesia. Invece ci sono persone che conosco che non sono colte o hanno una cultura media ma hanno un grande senso poetico. Non vorrei fare giochi di parole o camaleontici, che oscurano invece di illuminare, ma io amo la poesia delle poesie.