I modelli teorici degli stili di apprendimento procedono dalla diffusa credenza secondo cui le persone differiscono tra loro nel modo in cui imparano. Tale assunto si è andato progressivamente affermando nella seconda metà del ‘900 e ha avuto un grande impatto sulla pedagogia e sulla didattica, nonostante sia stato oggetto anche di forti critiche avanzate da alcuni ricercatori del settore.

La controversia

Nel campo accademico è ampiamente riconosciuto che il modo in cui le persone decidono di utilizzare le loro risorse cognitive, il loro potenziale e le loro strategie di apprendimento producono un effetto significativo sulle loro prestazioni scolastiche e lavorative. Allo stesso tempo, i critici delle teorie degli stili di apprendimento affermano che le persone ottengono gli stessi risultati scolastici sia che seguano o meno i loro “personali stili”: “Gli studenti hanno preferenze su come apprendono. Molti studenti riferiranno di preferire di studiare visivamente e altri attraverso un canale uditivo. Tuttavia, quando queste tendenze sono messe alla prova in condizioni controllate, non fanno alcuna differenza: l'apprendimento è equivalente sia che gli studenti apprendano nella modalità preferita oppure no”1.

Allora, a chi dobbiamo credere?

Prima annotazione (contro i critici): "in condizioni controllate" le persone non studiano, prendono semplicemente parte a degli esperimenti. È tutta un'altra faccenda. Nel "caso complesso dello studio" le condizioni sperimentali sono solo un'imitazione vaga, superficiale, riduttiva, parziale, in parte anche falsa di ciò che accade nell'apprendimento reale. Seconda annotazione (contro i sostenitori): presumere che l'adattamento diretto della didattica e dei materiali di apprendimento allo stile personale dello studente al fine di migliorare le prestazioni, sia efficace di per sé, è solo un pio desiderio. Tutti i tentativi fatti in questa direzione sono falliti miseramente. Forse ciò è accaduto perché non è facile, come spesso si presume, conoscere precisamente lo stile cognitivo degli altri e nemmeno il nostro proprio stile.

In effetti, ciò per cui la teoria degli stili di apprendimento può essere razionalmente criticata riguarda principalmente la rigida classificazione e la rigorosa separazione di uno stile dagli altri, ma non il fatto che vi siano differenze cognitive individuali tra le persone. Di conseguenza, le critiche da ritenere più pertinenti e fondate, si sono concentrate principalmente nel negare la validità nell'uso dell'approccio agli stili di apprendimento direttamente all'educazione; secondariamente – e per contro – nell'evidenziare l’importanza delle caratteristiche cognitive che sono comuni a tutti.

Concordo con i teorici degli stili di apprendimento sull'esistenza di qualcosa di specifico, particolare in ogni persona inerente alle modalità cognitive con cui si impara. Allo stesso tempo, capisco le obiezioni relative al riduzionismo implicito nel tentativo di stabilire una classificazione chiara, rigida, eccessivamente definita – e talvolta persino definitiva – degli stili di apprendimento.

Studiare non è soltanto memorizzare

D'altra parte, i critici non hanno sempre mostrato prove sufficienti per negare l'esistenza di diversi stili di apprendimento, ma hanno soltanto fatto alcuni esperimenti per falsificare alcuni assunti di alcune teorie sugli stili di apprendimento (in particolare quello della modalità Visiva, Auditiva e Cinestesica). Non di rado questi esperimenti erano limitati alla memorizzazione e, quindi, hanno mostrato proprio qui il loro limite, poiché nelle procedure di apprendimento la categorizzazione, le strategie di problem solving, la costruzione del giudizio e molte altre attività mentali sono importanti. L'apprendimento non è solo una questione della “memorizzazione cose”. La memoria o, meglio, le varie tipologie di informazione e di archiviazione, sono certo fondamentali nel processo di apprendimento, ma l'obiettivo di questo processo è di raggiungere il pensiero riflessivo. Le varie forme di memoria forniscono quindi la disponibilità di alcuni oggetti mentali come immagini, concetti, idee, legami e associazioni tra immagini, concetti e idee. Ciò non di meno, il pensiero razionale si sviluppa su un livello diverso rispetto ai ricordi, almeno in parte.

Non tutto è facilmente quantificabile

Ognuno di noi ha un suo proprio modo di relazionarsi con il mondo esterno e, quindi, specifiche modalità di apprendimento, ma forse queste modalità non sono così facilmente identificabili "quantitativamente". Esistono varie modalità di apprendimento, ma le differenze non sono separate da limiti netti. Molto probabilmente le differenze svaniscono, sfocano da uno stile all'altro, da un individuo all'altro. Inoltre, nel processo di apprendimento molte dinamiche e attività si susseguono, molti fattori cognitivi interagiscono ed è impossibile isolarli e allinearli. Ne segue che la mia conclusione, analizzando gli argomenti dei sostenitori e degli oppositori agli stili di apprendimento, è che lo stile personale non può essere classificato in una gamma scientificamente rigorosa, non può essere teorizzato direttamente, ma solo abbozzato e progressivamente circoscritto di materia in materia, di soggetto in soggetto, persona per persona, situazione per situazione.

Stili di apprendimento e stili cognitivi

Gli stili di apprendimento riflettono, almeno in parte, gli stili cognitivi della persona: i primi sono come l'estensione dei secondi. Si ritiene pertanto che gli stili di apprendimento siano più facilmente modificabili che non quelli cognitivi. Dobbiamo anche distinguere tra abilità cognitiva e stile cognitivo. L’abilità è la modalità di risposta del soggetto agli stimoli ambientali, mentre lo stile cognitivo è principalmente il modo in cui i soggetti hanno applicato le loro abilità ai problemi per risolverli o alle cose da imparare. Quindi ciò che caratterizza ogni persona dipende non solo dalle abilità possedute, ma anche dai modi di usarle. Le persone possono avere abilità simili ma usare stili cognitivi diversi e, talvolta, anche molto diversi. Si ottengono così risultati diversi sia a scuola che sul posto di lavoro.

Secondo R.J. Sternberg e L. Spear-Swerling (1997) le persone intelligenti sono quelle che sanno ottimizzare i punti di forza e compensare le debolezze. Cambiando lo stile di apprendimento possiamo agire sul nostro stile cognitivo e quindi migliorare le nostre capacità. In questo lavoro di ottimizzazione e compensazione, il miglior risultato è sicuramente quello di riuscire a trovare un buon equilibrio tra abilità e stili.

Boscolo2 ha definito lo stile cognitivo come una modalità di elaborazione delle informazioni che il soggetto adotta in modalità prevalente, che dura nel tempo ed è generalizzata a compiti diversi. Pertanto, non indica una capacità maggiore o minore nel comprendere una materia da parte dell’individuo, ma solo il suo personale approccio particolare alla realtà, il modo in cui si riferisce alle circostanze e il modo in cui reagisce. Sono predisposizioni cognitive di base e quindi difficilmente possono essere modificate. Al contrario, lo stile di apprendimento è, indicativamente, più una questione di comprensione di contenuti complessi. Questo è un punto chiave da tenere a mente: conoscere gli stili cognitivi per cambiare quelli di apprendimento. La domanda da porsi allora è: in che misura le nostre analisi e le nostre classificazioni degli stili possono essere utilizzate se sappiamo che – al momento – i loro modelli sono inadeguati o, comunque, non esaustivi?

Nei processi educativi interagiscono molteplici cause che producono effetti diversi che cambiano da una situazione contingente all'altra. Quindi, sebbene la scienza forse un giorno non troppo lontano arriverà a isolare e definire chiaramente tutti i possibili stili cognitivi, il problema – comunque – persisterà. In effetti, nelle dinamiche dell'apprendimento interagiscono innumerevoli fattori sociali, motivazionali, genetici, culturali e personali. Non possono essere isolati, ma nemmeno aggiunti: la somma non fornisce un quadro reale della realtà.

Non voglio delineare qui una nuova classificazione di stili, ma cerco solo di usare il concetto di stili di apprendimento come fosse una stella polare per focalizzare e migliorare le strategie di apprendimento e memorizzazione. Può avere così senso utilizzare i modelli di stili di apprendimento, senza dare loro un preciso valore epistemologico, ma adattandoli di volta in volta in relazione alle materie e alle situazioni. Come per il navigante un'analisi approfondita della superficie della stella polare non è importante, ma la sua posizione nel cielo sì, così per noi non è tanto importante conoscere nel dettaglio i vari stili, ma utilizzarli come punti di riferimento nel nostro “cielo” educativo e didattico. Pertanto, per gli stili cognitivi non è a mio avviso necessaria una descrizione completa o una classificazione complessa, più auspicabile invece trovare una definizione atta a migliorare le prestazioni degli studenti.

In letteratura scientifica si trovano una grande varietà di modelli, qualcuno3 ha anche stilato una lista contando 71 differenti stili. È inutile e dispendioso analizzarli tutti qui. A titolo di esempio, descriverò brevemente solo quelli che sono rilevanti per un'introduzione a una didattica efficace descritta da un punto di vista cognitivo.

Il modello di David A. Kolb si basa sulla sua teoria del processo di apprendimento attraverso l'esperienza ed è più specificamente definito come “learning through reflection on doing”. Kolb delinea due approcci correlati all'apprendimento: "Esperienza concreta" e "Concettualizzazione astratta". Strettamente collegati ad essi vi sono altri due approcci, in particolare legati alla trasformazione dell'esperienza nella prospettiva di un arricchimento della conoscenza: "Osservazione riflessiva" e "Sperimentazione attiva". Il miglior processo di apprendimento coinvolge tutte e quattro le modalità in proporzioni che variano da situazione a situazione. Questi quattro elementi e la loro reciproca interazione costituiscono quel che chiama un ciclo di apprendimento: esperienza, osservazione, concettualizzazione, sperimentazione, nuova esperienza. Ciò che trovo rilevante in questo modello, è che fornisce un'opportunità per chiarire le dinamiche e la “mobilità” del pensiero da uno stato concreto verso uno astratto.

Un'altra teoria, quella di Anthony Gregorc, si basa principalmente sulla dicotomia «concreto-astratto». Per questo autore ci sono quattro elementi da considerare. I primi due sono qualità percettive, concreta e astratta: “Concrete: This quality enables you to register information directly through your five senses […] Abstract: This quality allows you to visualize, to conceive ideas, to understand or believe that which you cannot actually see. When you are using your abstract quality, you are using your intuition, your imagination, and you are looking beyond “what is” to the more subtle implications”. Gli altri due sono abilità “ordinatrici”, “sequenziale” e “casuale”: “Sequential: Allows your mind to organize information in a linear, step-by-step manner. When using your sequential ability, you are following a logical train of thought. […] Random: Lets your mind organize information in chunks, and in no particular order. When you are using your random ability, you may often be able to skip steps in a procedure and still produce the desired result”. Gregorc identifica quattro combinazioni di questi elementi che interagiscono nell'attività di apprendimento: sequenziale concreto, casuale astratto, sequenziale astratto e casuale concreto. Ogni singola persona adotta combinazioni diverse in modi diversi e questo caratterizza lo stile di apprendimento personale di ognuno.

Infine, vorrei menzionare brevemente un altro modello di stili di apprendimento – quello di Walter Burke Barbe e colleghi – basato su tre modalità di apprendimento: modalità di visualizzazione, uditiva, cinestesica. Questi elementi si presentano in combinazione (come accade la maggior parte delle volte e le modalità più frequenti sono visive o miste) o indipendentemente.

Su Internet, nelle biblioteche e nelle librerie ci sono molte risorse per studiare in profondità questi e altri modelli di stili di apprendimento. Non è qui importante approfondirne ulteriormente la classificazione. Mi è bastato delineare in termini generali le loro caratteristiche principali al fine di introdurre due strategie che mostrerò nei prossimi articoli.

1 Riener C., Willingham D., The Myth of Learning Styles, in Change, The Magazine of Higher Learning, September/October 2010.
2 P.Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico: gli aspetti cognitivi, Utet, Torino, 1986.
3Coffield F., Moseley D., Hall E., Ecclestone K., Learning styles and pedagogy in post-16 learning: a systematic and critical review, Learning and Skills Research Centre, London, 2004.