I primi secoli dell’era cristiana sono stati una fervida fucina di nuove mitologie. La necessità di operare una revisione narrativa delle tradizioni pagane portò a integrare riferimenti e simboli profondamente radicati nel sentire popolare; e proprio nella capacità di rivitalizzare le antiche reti simboliche, il cristianesimo ha giocato una delle sue carte vincenti. Molte delle biografie delle martiri del primo cristianesimo, nonostante i tratti fantasiosi e avventurosi, o forse proprio in virtù di essi, recano testimonianze preziosissime sul nascente modello di femminile cristiano. Si tratta di narrazioni che propongono uno schema letterario fortemente debitore del romanzo greco di epoca ellenistica, di cui riproducono caratteristiche e stereotipi; in alcuni casi è possibile seguire la suggestione di stratificazioni precristiane anche antichissime.

Il culto di sant’Agata, giovane martire vissuta nel III secolo e oggi patrona della città di Catania, conserva tratti mitologici particolarmente persistenti ed è fra quelli che più fortemente hanno subito l’influenza di questa trasmigrazione culturale, evidente nelle risonanze che evocano l’immaginario legato alla dea Iside. Agata, nobile fanciulla catanese, aveva fatto voto di verginità, senonché di lei si era invaghito il proconsole della città: un uomo potente, che non accettò di buon grado lo sdegnoso rifiuto della giovane. Approfittando della propria autorità, ordinò di affidarla a una certa Afrodisia, donna di dubbia moralità proprietaria di un postribolo, credendo che questa potesse convincerla ad abbandonare le rigide posizioni religiose e a cedere alle attenzioni del magistrato. Tuttavia, dopo un mese di inutili tentativi, la donna dovette arrendersi alla forza di volontà di Agata, la quale venne denunciata e imprigionata per vilipendio della religione pagana. Nonostante fosse nobile e di condizione libera, la fanciulla si presentò in tribunale in abiti da schiava e alla richiesta di dare conto di quella provocazione rispose che la vera nobiltà consiste nel farsi servitori di Cristo. Un atteggiamento che si inserisce felicemente nel modello di tante giovanissime martiri protagoniste dei secoli delle persecuzioni cristiane, paladine dai tratti sorprendentemente moderni, che dimostrano grande caparbietà nel difendere la propria fede e la volontà di emanciparsi dal ruolo coniugale.

Al primo interrogatorio ne segue un secondo, nel quale Agata viene sottoposta a inauditi supplizi che sopporta eroicamente, fino a quando, al culmine della sofferenza fisica e morale, i suoi aguzzini arrivano a strapparle entrambi i seni con delle tenaglie. Nei giorni successivi persevera con fermezza nel rifiuto di abiurare, e viene costretta a rotolare nuda su un letto di carboni e cocci ardenti: ma ecco che, mentre il suo corpo si consuma fra le braci, una forte scossa di terremoto scuote Catania. Sarà il primo dei numerosi prodigi che, dopo la sua morte, si manifesteranno intorno al suo sepolcro. L’anno seguente, proprio nella data in cui ricorreva la sua nascita, un’eruzione dell’Etna minacciò la città: in quel frangente, i fedeli accorsero al sepolcro, prelevarono il velo rosso che ricopriva il corpo della santa e lo opposero alla lava, e il flusso miracolosamente si arrestò.

La reliquia del velo è con ogni probabilità un’eredità della religione isiaca, e uno dei requisiti che collega il culto di Agata a quello di questa dea egizia, che in epoca imperiale si era radicato a Catania. Anche il riferimento ai seni straziati nel martirio riconduce questa santa alla dimensione della maternità e dell’allattamento presente nelle iconografie della dea, facendo di Agata la protettrice delle patologie del seno. A Catania, durante i festeggiamenti pagani dedicati a Iside, si usava allestire il navigium Isidis, una processione in onore della dea, nel corso della quale un sacerdote recava un vaso a forma di mammella da cui versava latte. Tali analogie sono emblematiche della trasfigurazione cristiana di un sentire popolare radicato nel sentimento religioso, qui inserito in un quadro di distruzione e ricostruzione simbolica. Nell’ottica di un’esplorazione accurata della simbologia del seno in relazione alla percezione cristiana del corpo, alcuni studi hanno interpretato la menomazione di Agata come una emblematica mascolinizzazione, tema ricorrente nel mitologema di molte eroine del primo cristianesimo. Agata, che nel tempo trascorso nel postribolo di Afrodisia si è mostrata inflessibile nel rifiuto di considerare un’alternativa alla castità, dopo il martirio assume l’aspetto di un’amazzone guerriera. Il corpo femminile diventa un compendio paradigmatico di significati, e in quei seni straziati dalla crudeltà maschile ma anche esibiti in un piatto come un trofeo, secondo l’iconografia diffusa, si condensa quel riscatto che è il premio di ogni martire: il corpo dilaniato si sublima offrendosi come auspicio di salute e fecondità per tutte le donne.

Anche l’elemento del fuoco è ricco di significati. Il martirio sui carboni ardenti, l’eruzione del vulcano e la lava minacciosa che la santa riesce a fermare, riconducono alle simbologie dei roghi rituali e purificatori legati alle tradizioni invernali pagane e al ritorno della luce dopo il solstizio. Agata, ierofania solare, è infatti una santa invernale, che si celebra il 5 febbraio in prossimità della tradizione della Candelora, a sua volta un residuo delle festività romane dei Lupercalia. Nella tradizione popolare, in quel giorno torce e candele invadono anche la processione, circondando e annunciando il passaggio della santa, dea portatrice di luce.