Alla milanese Valentina Rosselli e al suo creatore Guido Crepax sono state dedicati, negli anni, mostre, interviste, saggi, con particolare ambientazione nella Milano anni ‘60. La nostra eroina nasceva, infatti, in un signorile condominio della Cerchia dei Navigli, in via De Amicis - dove Crepax aveva lo studio e in cui sono nati e hanno preso forma i suoi incubi esistenziali e i suoi fantasmi erotici - a poche centinaia di metri dalla basilica di S. Ambrogio e dallo storico Liceo “Manzoni”. Vediamo questa seducente ragazza ventitreenne perdersi nei meandri della centralissima linea rossa della metropolitana nei suoi spostamenti di fotografa; perché la sua “milanesità” non prescindeva da una nuova immagine di donna, dinamicamente cittadina, colta, emancipata e attenta alla società e alla politica.

Considerato uno dei più originali interpreti e innovatori del fumetto, Crepax aborriva questo termine, sostituendogli il più consono “letteratura disegnata” e, in effetti, c’è stato e in parte c’è ancora nella nostra cultura un pregiudizio tranciante nei confronti di un’espressione considerata prevalentemente di consumo popolare o infantile, o, come scrisse un quotato critico a proposito di un’esposizione di “strip” di Valentina: “una mostra frequentatissima da liceali in fregola”.

Invece Valentina, lontano dall’essere lo stereotipato e mummificato personaggio adatto ad ogni stagione e ad ogni contesto, ha una data di nascita, il 25-XII-1942 un cognome, “Rosselli”, e una storia che si dipana in tutte le tappe della sua vita e che tocca l’infanzia, l’adolescenza fino a farcela conoscere donna matura: “Quando ero ragazzino- ha detto lo stesso Crepax – mi infastidivano questi uomini mascherati e questi Mandrake che non invecchiavano mai… Se un fumetto è vivo, se rispecchia in qualche modo il suo tempo, non può avere un protagonista per sempre giovane, mentre il mondo intorno a lui cambia. Certo mi sono messo in un pasticcio, ormai Valentina ha un’età umana, non posso più fermarla, e mi chiedo se sia accettabile nel fumetto una cinquantenne che insegue avventure ed è inseguita da innamorati. Si vedrà.”

D’altra parte, questa icona della donna “nuova” nasce nella fantasia dell’autore, negli anni ‘60, da una contaminazione familiare e culturale: è la fusione tra la moglie Luisa e Louise Brooks, l’attrice “maledetta”, immortalata in Lulu da Pabst. Nel Diario di Valentina, scopriamo che, nel 1956, a 14 anni, è accompagnata dalla madre ad una cineteca a vedere, appunto, il film del grande regista espressionista e da qui scocca il colpo di fulmine che, a poco a poco, trasformerà l’adolescente nella sensuale silhouette di ragazza che si presenta per la prima volta nel racconto “La curva di Lesmo” nella rivista Linus del 1965. Il suo successo la fa ben presto diventare l’assoluta protagonista dell’universo crepaxiano - che pure ha creato altre fascinosamente emblematiche figure femminili come Anita e Bianca - vero simbolo dei progetti, i sogni, le pulsioni e le contraddizioni di una donna che doveva fare i conti con la Milano del miracolo economico, che voleva dire vivere in una società nuova, con cambiamenti di valori e costumi di portata antropologica. Però, una, se non la principale chiave di espressione della signorina Rosselli è l’erotismo, nonostante il suo creatore si sia schermito: “Ho fatto molte cose senza donne! Voglio essere considerato come un disegnatore in generale: maledetto l’erotismo!”, ma, come ha sentenziato Havelock Ellis: “Gli adulti hanno bisogno di testi erotici come i bambini delle fiabe”.

Un erotismo che alcuni hanno interpretato come la proiezione delle fantasie sessuali maschili, o, invece, come ha scritto Patrizia Carrano, che ha dato fiato ai più segreti e repressi desideri femminili, un erotismo comunque, ben lontano dallo scontato e invasivo consumismo “prêt-à-porter” del 2000. Tuttavia, al di là di queste complesse e irrisolte esegesi, nelle immagini della nostra eroina c’è anche l'esibizione della moda e dell'abbigliamento femminili, a cavallo degli anni ’60-’90. Valentina è sempre vestita o svestita secondo i canoni di una linea raffinatamente sensuale, che ora attinge al modello francese, ora a quello italiano e che sdogana l'uso della minigonna.

Ma è soprattutto “nell’intimo” che crea uno stile indiscusso, rivalutando il “feticismo” del reggicalze e del corsetto, anticipando l’esplosione del perizoma e riuscendo a sensualizzare quella guaina “braghettona” che sono i collant. E questo trionfo della “lingerie”, secondo Massimo Fini, uno dei più acuti interpreti dell’universo crepaxiano, esprime una tendenza istintiva tutta maschile, a riunire nell’oggetto del suo desiderio, “donna” e “femmina”: “Una donna è veramente nuda, in quanto donna, solo quando è semivestita… è quindi necessario che sul suo corpo nudo di lei resti qualche elemento che ricordi la donna… Possono essere gli orecchini, la collana, i braccialetti… il reggiseno, la camicetta, le scarpe” così non è più “completamente donna ma non ancora interamente femmina: Per cui l’uomo può godere, contemporaneamente, di entrambe…”.

Bisogna comunque dare atto a Crepax, a differenza di suoi colleghi ed epigoni, che hanno indirizzato la loro opera grafica alla dimensione del fumetto come puro genere, di aver mantenuto sempre alta la tensione del suo segno. In particolare, col passare del tempo, l’impostazione un po’ frammentaria della sua sintassi iniziale, si è distesa in una figurazione più ampia e riflessiva, come è avvenuto nelle sofisticate riletture dei classici della letteratura erotica Histoire d’O, Emmanuelle, Justine, o Valentina, storia di una storia, reinterpretazione della Storia dell’occhio di Georges Bataille, dove l’evocazione del testo si concretizza nella visualizzazione dei sogni e dei deliri sessuali dei protagonisti e dove la tecnica cinematografica usata negli anni ’60 lascia il posto ad un disegno che trova in se stesso il significato della sua poetica.

Un docufilm di Giancarlo Soldi, recentemente presentato a Milano, Cercando Valentina unisce una serie di documenti, interviste, testimonianze su Guido Crepax, a una finzione, dove il partner virtuale di Valentina, Philip Rembrandt, si perde tra le strade della Milano d'oggi alla ricerca della sua compagna e pone proprio la domanda di che cosa è rimasto di questa icona femminile:

Bella come Louise Brooks, consapevole come una lirica di Bob Dylan, disturbante come un taglio di Fontana, libera come il ritmo di Charlie Parker.

Cos’è rimasto del sogno di Valentina? Cosa ha significato e significa, al di là della sensualità elegantissima del disegno di Crepax? Valentina era la figlia della borghesia “progressista” e radical-chic, che poi orecchiò anche il ‘68, fiancheggiatrice di tutte le rivoluzioni che non si potevano o volevano fare. È emblema di un’emancipazione femminile che mescolava politica, società e “liberazione” sessuale in un mix dove le troppe velleità, al di là delle immagini affascinanti, si scontravano con una realtà in cui era sempre in agguato una manipolazione e un consumo dell’immaginario femminile ad uso dell’industria culturale o di facili utopie studentesche. Fin troppo scontato è rilevare che, se da una parte si allentava la “repressione”, dall’altra il “permissivismo” portava a quella coazione al piacere a tutti i costi che andava a cozzare inevitabilmente coi limiti della società e dell’umano, diventando fonte della frustrazione di un’onnipotenza, potenziale, che diventava impotenza, reale. Merito di Crepax e delle sue protagoniste è stato quello - oltre al riconoscimento dell'effetto liberatorio di un erotismo connotato da un raffinato senso estetico – di aver contribuito, consapevolmente o inconsapevolmente, alla rappresentazione di tanti lati della nostra sessualità, nella sua dialettica di femminile e maschile, che spesso non sappiamo o vogliamo scoprire e riconoscere.