Perché dovrebbe per noi essere molesto ascoltare
la descrizione dell’antro di Atalanta che ricorda
quello di Calipso cantato da Omero?

(Eliano, Storie Varie)

C’è un centro sopra la terra e uno sotto la terra.

(Porfirio, L’antro delle ninfe)

Celebri i racconti su Atlantide di Platone nel suo Timeo e nel Crizia. Ma non sono gli unici. Eliano nelle sue Storie Varie ci fornisce un altro racconto, prezioso, unico, con molti punti di contatto con i racconti platonici ma pure veicolante nuovi e inediti dettagli. Eliano attribuisce il racconto a Sileno, il saggio satiro principale compagno di Dioniso e individua il frigio re Mida quale primo destinatario della sua narrazione. Già questi primi due elementi alludono ad un aspetto misterico-iniziatico della tradizione riportata. Mida infatti è devoto di Apollo, da lui portato presso gli Iperborei secondo gli Epinici di Bacchilide. Non solo: le orecchie da asino di Mida e il suo giardino di rose sono altri elementi che alludono a Mida quale iniziato. Lo stesso Eliano parla di formiche che entrarono nella sua bocca da infante, quale presagio profetico.

Altre fonti parlano dei sacrifici di asini che si celebravano tra gli Iperborei. Il racconto dell'asino il cui raglio salva Cibele dal desiderio di Priapo e l'episodio di Marsia e Apollo confermano questo ciclo semantico che vede al centro il mistero apollineo degli Iperborei. Il racconto di Sileno, e Socrate, devoto delle Ninfe, era paragonato a Sileno, inizia con un'indicazione geografica che ritroviamo in Platone e in Plutarco (Il volto della Luna): esiste una terra immensa, più grande di Europa, Asia e Africa messe insieme. Rispetto a questa terra i nostri “continenti” sono come isole e Oceano, che li circonda, è un fiume che viene da tale terra. Più grande quindi anche dell'America, con cui non può essere identificata anche per il disastro che porta alla sommersione Atlantide. Tale terra, atlantidea, risulta appartenente a quella parte di mondo in cui risiede anche Iperborea.

Già negli omerici Feaci compaiono tratti sia atlantidei che iperborei: la grandezza fisica, la sacralità isolata del territorio, il possesso di conoscenze e tecniche superiori. Tipica di questa terra in particolare è la sovradimensione di tutte i suoi esseri, animali, vegetali e uomini. Questo racconto lo ritroviamo nelle narrazioni medioevali sulle Isole Fortunate o Beate come la Navigazione di San Bradano. Il racconto di Sileno articola questa terra in due popolazioni-città archetipali che ricordano l'Atlantide e l'Atene del racconto platonico: Battagliera (simili all'Atlandide e all'Atene prediluviane) e Religiosa, che ricorda il popolo edenico degli Iperborei in quanto da loro si raccoglie senza lavorare per l'abbondanza straordinaria della natura, si vive a lungo, senza malattie, e abbonda l'oro.

Battagliera si mise in marcia per invadere il resto del mondo ma giunti al paese degli Iperborei tornarono indietro. Platone racconta l'invasione del popolo di Poseidone contro il popolo di Atena, ripreso nel Mito dalla contesa dei due dei per il dominio dell'Attica, mentre Eliano parla degli Iperborei quali difensori dei nostri continenti contro la parte più bellicosa degli Atlantidei. Interessante anche l'ultimo dettaglio attribuito al racconto di Sileno, cioè l'esistenza di una terra strana, agli estremi confini del mondo, in cui si apre una grande voragine circondata da una foschia rossastra.

Sembra un varco verso l'Ade, un'apertura verso una Terra sotterranea, ctonia, cava, verso una nuova dimensione, sia fisica che spirituale, come un “retromondo” accessibile a pochi. L'esistenza in questo luogo di due Fonti: una dell'oblìo e una del piacere ricorda le due fonti di Atlantide ma pure le due fonti dei Misteri Orfici e della loro geografia sacrale-rituale, esposta nelle Lamine d'oro, dove le due fonti sono una quella della Memoria e l'altra quella della Dimenticanza. Un bivio fisico-spirituale alla cui scelta i Misteri preparano l'iniziato e da cui dipende la sorte immortale dell'esistenza post-terrena. La fonte del piacere viene descritta anche quale fonte di una rigenerazione, come una sorgente della giovinezza, simile a quella raccontata da Erodoto presso gli Etiopi.

Eliano cosparge le sue Storie Varie di riferimenti e allusioni agli Iperborei e ai Misteri: l'indicazione di Pitagora quale discepolo di Apollo Iperboreo, il racconto di Pitagora quale Mida redivivo, un Pitagora mostrante la sua misteriosa “coscia d'oro” durante i Giochi Olimpici (fondati da Heracle con l'ulivo iperboreo da loro donatogli), il paragone fra la processione apollinea dei doni iperborei e quella delfica dell'alloro di Tempe.

La stessa descrizione che Eliano fa della ninfa Atalanta, stranamente il racconto più lungo della sua raccolta, esprime aspetti iperborei: l'alta statura di Atalanta, i suoi capelli biondi, la pelle chiara, il suo aspetto che induce timore reverenziale. Lo stesso paragone intessuto tra Atalanta e Calipso, la “nascosta”, figlia di Atlante e della pleiade Pleione, vivente al centro di Oceano, sorella di Circe, la “mescolatrice”, rinvia alla natura iperborea di Artemide e delle sue compagne Oceanine, figlie dell'Orsa astrale. Dopotutto Atalanta discende dalle Driadi dell'Arcadia, la terra più antica dell'Ellade e non a caso a Dodona si vaticinava con il suono delle foglie delle querce.

Dodona, santuario di Gea, era la prima terra ellenica dove giungeva la carovana annuale delle segrete offerte degli Iperborei. E Mida era adepto di Cibele, espressione della medesima dea Nemesi-Ananke, da cui viene l'Uovo che schiude l'iperborea Elena di Sparta, dalla pelle di cigno. Gli amabili resti del popolo del Paradiso terrestre, nordico e centrale, raccontato dagli Elleni, non appaiono conclusi. Tanto più che troviamo echi cosmogonici iperborei anche nel delizioso testo del neoplatonico Porfirio, L’antro delle Ninfe, in cui si commenta il celebre passo del tredicesimo libro dell’Odissea. Porfirio valorizza l’asse Nord-Sud secondo il quale è connotata questa misterica e simbolica grotta oceanica, vera e proprio imago et umbelicus mundi e sottolinea con forza il valore di Borea quale vento fecondatore e vivificante, accennando ai popoli del Nord quali popoli più robusti e forti come i Celti, gli Sciti, i Traci.

I brevi ma intensi tratteggi di Porfirio ci permettono di scorgere il rinvio al Timeo di Platone e alla geografia aristotelica e plutarchea. Si tratta di una visione geocentrica e simbolica di alto valore spirituale e di vigorosa coerenza la quale vede al centro di Oceano un’isola-antro di Crono, associato al miele e ai misteri più antichi. Una geografia oceanica e titanica il cui asse Nord-Sud ripercorre la posizione del tropico del Cancro, caldo e umido e indicante l’estremo Nord (Iperborea quale terra iper-boreale, calda, edenica) e il tropico del Capricorno, umido e freddo, indicante l’estremo australe del mondo (oggi diremmo, usando comunque ancora una parola greca: l’Antartide). Al Nord una dimensione lunare (l’Artemide iperborea, le Gorgoni e le Graie) e a Sud una dimensione solare (l’Etiopia omerica).

Porfirio esalta il Nord quale centro da cui vengono le stirpi umane, se letto non solo allegoricamente in senso spirituale ma allegoricamente anche in senso geo-storico, secondo la sua stessa ermeneutica (specie su Omero), secondo la quale il senso allegorico non deve annullare o far dimenticare un sensato e previo senso letterale dei testi. Un antro dove domina l’elemento acqueo, cioè ninfico, e campeggia l’ulivo, segno iperboreo, colto nel suo aspetto igneo, solare, cosmico. Un ulivo di dimensioni speciali, come tutto è più grande nell’Eden artico.

Questa grotta diventa così, tramite la rilettura neoplatonica di Omero, il polo dialettico speculare al misterioso e titanico regno dei Feaci, descritto omericamente in modo assai simile ad una sorta di Atlantide-Iperborea, il lato esoterico di un mondo essoterico precluso ai più e i cui accessi sono riservati solo ai più audaci, a pochi grandi eroi. Gli alti telai di pietra delle ninfe Naiadi simbolizzano i pilastri che reggono la volta e le Naiadi stesse, colte nel loro fatale tessere come Kore, come Elena e Penelope, come Ananke dalla corona di cervi, alludono alla duplicità delle acque superiori, celesti, e delle acque infere, che sostengono il disco della terra.

Se la porta boreale dell’antro indica l’origine artica dell’umanità quella meridiana indica la via catabatica, infera, etiopica, verso la luce del Nord, cioè quel “cammino degli immortali” già percorso da Heracle e così chiamato perché, come spiega Platone nel Timeo, esistono sentieri che conducono fisicamente ai cieli e all’etere fiammante dell’iperuranio. La duplicità della grotta la ritroviamo nella duplicità orfica del bivio infero o nella doppia fonte di Atlantide: una via conduce in alto, verso i Campi Elisi, verso la vera Terra dei viventi, e un’altra via conduce in quel vicolo cieco che è l’Ade greco. I Misteri servono a preparare gli adepti a saper riconoscere la via e la fonte giusta. Non a caso Omero era considerato un iniziato. I labirinti quali segni e quali danze questo indicano in modo criptato, cioè la via sacra degli eletti nel ritorno all’Origine, al Centro superiore, alle Terre alte, di cui l’attuale mondo è la parte mediana e incavata.

Questa visione cosmica continuò fino alla Montagna del Paradiso terrestre nel Purgatorio di Dante, fino alle mappe di Mercatore con il suo eden artico e fin quando le carte del mondo seguirono il modello azimutale, poi cristianizzato secondo il typos del manto della Vergine.