C’era nel cielo della cupola una fenditura
E ne cadevano gocce ma non d’acqua:
gocce lucenti e pesanti che piombavano
sul pavimento di roccia… era tempo di
iniziare la Grande Opera, che, come il cielo,
anche la terra ha la sua rugiada.

(Primo Levi, Il Mercurio. Il sistema periodico)

Un racconto curioso e affascinante quello di Primo Levi contenuto nella raccolta Il sistema periodico e dedicato al Mercurio. Non poteva essere altrimenti in quanto Levi coglie magnificamente, come in tutti i racconti di questa sorprendente opera, l’anima e l’essenza sfuggente, ambigua, enigmatica di questo prezioso metallo instabile.

Un racconto che sembra un film, un romanzo in miniatura e che possiamo rileggere sia alla luce del primo Hermes, quello mitografico, che seguendo il secondo Hermes, quello dell’Ermetismo che dall’Ellenismo giunge quasi ai giorni nostri tramite la cultura e la tradizione alchemica.

La regia narrativa di Levi appare precisa, metodica, spiritualmente scientifica. L’Isola della Desolazione appare essa stessa quale luogo alchemico, articolato nella classica quadripartizione fra fuoco (la vetta vulcanica Snowdon), acqua (l’Isola delle foche), terra (la foresta che piange) e aria (l’Isola delle uova di gabbiano). Un’isola oceanica, ai confini del mondo, dal clima duplice: sei mesi secco e sei mesi piovoso. Questa duplicità la ritroviamo fra la parte secca dell’Isola, dove si trova il “pozzo santo” (Holywell) e la parte umida del bosco che stilla una sua rugiada, come fanno le tamerici, albero di Hermes, come ad Hermes erano sacri i gabbiani.

E che dire delle foche di cui nel mito era “pastore” Proteo, figura mutante come Hermes. Lo stesso uovo è segno sia dell’Hermes del mito, in quanto il Cillenio reca l’uovo di Nemesi a Leda, che dell’Hermes quale allegoria dell’alchimia. Nel racconto tutto sembra simbolico e allusivo, anche il sapore di pesce delle uova di gabbiano e dei maiali allevati dai protagonisti. Essi sono il caporale Daniel Abrahams, e il nome “Abramo” corrisponde all’autore dell’alchemico Libro d’Abramo che ispira Nicolas Flamel, e sua moglie Maggie, nome diminutivo di “Margherita” a sua volta significante in latino: “perla”, termine presente nella letteratura ermetica.

Ma continuiamo nella ri-lettura mitografica. Maggie viene subito descritta in una luce quasi sacrale, mitologica, enigmatica. Una donna che fila dentro una grotta da cui escono fumi di zolfo, una grotta fumosa e parlante di voci e suoni: sembra la Maia madre di Hermes dell’Inno omerico, la cui grotta oracolare e misteriosa a sua volta ricorda l’antro della Pizia di Delfi o l’Antro delle ninfe a Itaca secondo l’Odissea e la rilettura di Porfirio. Lo dice chiaramente Maggie quando sostiene che tale grotta-pozzo svolge proprio un ruolo epifanico e mantico. Lo stesso Daniel a sua volta assomiglia al porcaro Eumeo, l’amico di Odisseo. Figura a sua volta sacrale e iniziatica in quanto frequenta grotte e altari all’aperto dove è uso sacrificare alle Ninfe.

Eumeo viene da un luogo arcano chiamato Siria, è di origine nobile e sacrifica anche i maiali, animali sacrificali propri di Persefone e di Maia. I tempi appaiono anch’essi ermetici in quanto per due volte si evoca la Pasqua, tempo ideale per gli alchimisti per raggiungere il compimento della loro “Grande Opera”. Il passaggio pasquale si rivela sempre decisivo anche per questa progressione rivelativa di Maggie quale maga e donna incantante. Tutti la desiderano e lei sa anche guarire una “piaga argentea” sul volto di Willem. Il tema della “lebbra”, evocata terminologicamente come pure l’immagine della fronte “rugosa” di Hendrick richiama anche in questo caso una precisa terminologia simbolica del linguaggio alchemico in merito al travaglio purificatorio della materia prima metallica.

Sembra evocarsi tra le righe anche una sorta di numerologia isolana e a livello di personaggi. L’Isola simbolica della “desolazione” (che può corrispondere all’ermetica “putrefactio”) presenta una moltiplicazione di figure umane che giungono sulla sua terra come pure presenta il numero quattro anche nella sua composizione di una terra principale circondata da tre altri isolotti. Il numero quattro e la stessa tetractis pitagorica erano sacri ad Hermes, come ci ricorda Marziano Capella nelle sue Nozze di Filologia e Mercurio.

Primo Levi nel mezzo del racconto fa cadere il velo e ci mostra Maggie in intima e misteriosa complicità proprio con Heindrick nel loro parlare di “sette chiavi” e di Ermete Trismegisto. I dettagli si sprecano: l’uomo costruisce una solida capanna senza finestre, allusione chiara all’athanor o vaso alchemico, e con Maggie brucia delle pietre rosse chiamate “cinabri” prese nella grotta amata dalla donna. Grotta nella quale un’esplosione vulcanico genera lo scaturire di abbondante liquido mercuriale.

La compresenza intima di Heindrick e di Maggie, situazione che suscita la gelosia di Daniel, a sua volta appare chiara allusione all’androgino ermetico, alla dualità maschio/femmina propria sia del Mercurio che dell’Opera alchemica. Mercurio rosso e Mercurio bianco: Maggie. Lo stesso Daniel, roso dalla gelosia, dice: “Vedevo tutto rosso!”.

Maggie appare sia sfuggente che catalizzante e penetrante, come il Mercurio e la sua aura opera anche sull’italiano Andrea che la venera regalandole una statua di terracotta della Madonna. Non a caso i due italiani che naufragano sulla simbolica Isola, Gaetano e Andrea, vengono da terre la cui bandiera mostra la croce: Amalfi e Noli. La croce è segno “dell’aceto alchemico”, della purificazione nel crogiolo dei metalli. Anche questa associazione simbolica Maggie/Vergine esprime un’epifania linguistica tipica dell’alchimia dove il Mercurio alchemico viene anche chiamato Donna o Vergine. Maggie appare doppia: donna seduttiva ma pure simbolicamente verginale, materna ma indipendente. Una donna che sa usare medicalmente anche il crescione, pianta della terra umida, associato ad Hermes.

L’eruzione vulcanica divide in due l’Isola, fra la parte occidentale bruciata e la parte orientale che resta umida. Heindrick stesso, che si scopre essere un alchimista, viene assimilato ad un furetto, animale sfuggente e poco avvistabile, come il Mercurio. L’anima mercuriale, catalizzante e mutante, riemerge nel tema della purificazione del mercurio connesso con quello dell’esigenza di avere quattro moglie per i quattro maschi dell’Isola: Willem, Heindrick e i due naufraghi che si aggiungono: Andrea e Gaetano. Ancora la quaternità ermetica che ritorna alla ricerca di un’unità ulteriore.

La stessa associazione narrativa fra il Mercurio e l’elemento femminile appare coerente e precisa. La conclusione di questa favola-visione alchemica si rivela semplice e vittoriosa: vengono sbarcate sull’isola quattro donne e avviene uno scambio fra le polarità iniziali (Daniel, Maggie e Heindrick, cioè Zolfo, Mercurio e Sale) e la nuova giovane Rebecca. Maggie si lega a Heindrick e Daniel prende in sposa Rebecca, che viene descritta in termini ermetici e mercuriali quale fanciulla allegra, leggiadra e paragonata ad una farfalla, allusione all’anima, allo spirito mercuriale, sfuggente ma fissabile.

Le doppie nozze, incrociate, si squadernano quale ultima immagine tipica della tradizione alchemica. Coronamento illuminante di una visione enigmatica quanto attrattiva e incantante. Se Daniel si accende come zolfo e Maggie ha pelle bianca, Hendrick si mostra grigio come gli occhi grigi di Rebecca. Ogni nome è parlante. Eumeo è colui che ben ricerca, che ben raggiunge. Mentre Heindrick è il “signore nella sua terra”, il “ricco”. Tutto concorda: i fiori azzurri dell’Isola, le piante essudanti, le coppie, l’aspetto dioscurale di Hermes, il suo dominare i Gemelli come la Vergine (Daniel, Heindrick e Maggie), il leccio come albero augurale e infero. Un racconto prodigioso perché compendia in semplice grazia e con elegante credibilità ben tre livelli semantici: narrativo, mitografico ed alchemico.