Si tratta di corporificare lo Spirito e di spiritualizzare il Corpo in un solo e medesimo atto. L'Argento, l'ermetica Rosa bianca, corrisponde al corpo astrale e radiante...

(Julius Evola, La Tradizione Ermetica, 1931)

Ecco, la cosa è unica, unica la radice, una l'essenza alla quale nulla d'estraneo viene aggiunto.

(Nicola Melchiorre, Processo dell'Opera sotto forma della Messa, 1659)

Il trattato di Evola sull'arte alchemica (La tradizione ermetica, Edizioni Mediterranee) rappresenta da un lato un capolavoro narrativo e speculativo rarissimo per erudizione, completezza e sistematicità, dall'altro la migliore riformulazione dell'arte di Hermes mai realizzata negli ultimi tre secoli, dopo le opere mito-alchemiche di Don Perteny. Ma di quale alchimia si tratta?

La questione, iper-paradossale, consiste infatti nel tentare di svelare e spiegare un'arte-scienza enigmatica e misteriosa. Enigmatica nel linguaggio e misteriosa nella sostanza della sua materia e delle sue tecniche. Mentre il linguaggio mistico appartiene al mistero, quello ermetico condivide la difficoltà esistenziale del Mistero con la difficoltà tecnica dell'Enigma. Ancora ad oggi non siamo in grado di comprendere veramente per via testuale quale sia la materia su cui opere l'alchimia né quali siano le sue tecniche di azione. Comprendiamo la musica ma non le sue note. Non siamo in grado di tradurre, di trascrivere.

Evola cerca di spiegare un mistero con un altro mistero: quello dei rapporti fra anima, spirito, coscienza e corpo e così si avvicina più di molti altri ad indagarne il cuore e lo fa in un modo speciale, da una parte tradizionale e dall'altra innovativo, come è nel suo carisma. In primo luogo Evola scrive di alchimia con un bellissimo suo proprio stile, inconfondibile: asciutto, lucido, disinvolto, secco, preciso nelle etimologie greche e ricchissimo di citazioni di testi rari e poco accessibili. Il suo scrivere, dettagliato e nel contempo allusivo, conferisce a chi legge l'impressione di una profonda e concreta conoscenza del suo autore della materia di cui disserta. Evola era alchimista? E in che senso? Ha mai condotto esperimenti sui metalli? Qui giungiamo al secondo livello di paradosso ermeneutico e nel cuore del modo evoliano di raccontare e approcciare l'antica Arte Regia.

Il nostro pensatore da una parte ricostruisce fedelmente il clima spirituale greco da cui sorge l'alchimia, quale “realismo metafisico”, pensiero magico proto-rinascimentale, “scienza dell'etere” potremmo dire, o, comunque, “metafisica operativa”, dall'altra riformula a suo modo e a sua immagine l'alchimia quale “scienza autarchica dell'Io”, tecnica spirituale di autodominio e ascesi sia corporea che interiore verso stati superiori dell'Essere e della coscienza.

Evola riconduce l'Alchimia nel solco di quello che tratterà in altri suoi libri come, ad esempio, Teoria dell'Individuo assoluto, o lo Yoga della potenza, la Dottrina del risveglio e la Metafisica del sesso. Evola è uno di quegli autori che scrive un solo Libro in tutti i libri che scrive in quanto irradia una medesima sapienza in forme e maschere molteplici. Per Evola l'oggetto e la dimensione su cui opera l'arte alchemica è uno solo: il corpo umano e i suoi rapporti con le altre due dimensioni umane dello spirito e dell'anima.

In questo senso la sua visione dell'alchimia è una visione iniziatica, mitica ed eroica, sulla scia di Dom Perteny e Jakob Boheme, secondo la quale, tramite tecniche, appena alluse, di manipolazione del respiro, dell'immaginazione, del rapporto sonno-veglia e del calore del sangue, si opera una sorta di “morte in vita” che spiritualizza il corpo e condensa la coscienza e la dimensione animica, restaurando l'Uomo quale unità superiore e perfetta di spirito-anima-corpo.

Non a caso Evola predilige la “via secca” del Mercurio-Zolfo, o Cinabro, sulla pur degna anch'essa “umida” dei due Mercuri, quale percorso di ascesi tipico degli eroi come Heracle, Giasone, Odisseo. L'“ardore marziale” diventa così uno dei componenti psicofisici dell'alchimia quale “autotrasmutazione integrale” della natura umana. Simile operazione la compie con la Dottrina del risveglio rispetto alla tradizione buddistica, riportata nella sua narrata essenza originaria di disciplina aristocratica e guerresca. L'Alchimia quale Yoga eroico e quale racconto-esperienza reale, concreta, della stessa natura dei piccoli e grandi Misteri iniziatici dell'antica Grecia: Eleusi, Samotracia, Andania.

Questo il filo rosso che permette all'autore di vincere nella difficile sfida di riportare ad unità simbolico-narrativa (e cromatica) l'immenso e variegatissimo lessico di più di mille anni di letteratura ermetica. Basterebbe questo a considerare la sua Tradizione ermetica un'opera rarissima, preziosa e da riprendere nella lettura, nello studio e nella conoscenza, data la sua storica importanza.

Ma quali sono le fonti storiche che Evola predilige nella sua riscrittura di questa antica tradizione e come viene configurata più nel dettaglio? In primo luogo l'autore non compie il diffusissimo e recente errore di ritenere l'alchimia una dimensione solo spirituale e individualistica, ma ne riafferma la sua concretezza di esperienza operativa che può anche condurre ad una reale trasformazione dei metalli. In questo Evola non cade nell'errore oggi dominante di allegorizzare la dimensione ermetica ma ne riconosce l'autonomia di tradizione non solo occidentale ma pure universale, esistendo testi e tracce alchemiche taoiste, indiane, arabe, bizantine, ebraiche. A proposito dei numerosi riferimenti di Evola alla Kabbala, allo Zohar, al Mondo magico degli eroi di Cesare della Riviera (influenzato dal Giudaismo) basti questo per fugare l'odioso pregiudizio di antisemitismo che ancora danneggia lo studio di questo importante autore il cui pensiero è di rilievo mondiale e ancora oggi culturalmente attualissimo nella sua polimorficità.

Nel tentativo di riportate ad unità tutta la vastissima e camaleontica letteratura ermetica Evola valorizza la radice greco-antica dell'alchimia, anche nei suoi aspetti neoplatonici con Plotino e visionari con Zosimo e il Corpum Hermeticum, per poi connetterli con la versione gnostica più moderna che trova i suoi maggiori esponenti nelle in Jakob Boheme, nelle Nozze chimiche di Christian Rosenkreuz quanto nei manifesti Rosacroce. Riguardo a questi ultimi testi Evola cade in un errore oggi smascherato: l'origine cioè britannica e baconiana di tali testi i quali, se confrontati con quelli tradizionali, appaiono spuri, ibridi e non alchemicamente autentici. Tali testi furono influenzati dal pensiero e dalla politica culturale di Francesco Bacone e John Dee, filosofi-maghi e consiglieri di Elisabetta I.

In questo Evola si conferma, al pari di Bacone, un aristotelico-protoilluminista integrale, spirituale. Come Bacone Evola si pone quale nuovo Aristotele di un telos immanente, dove l'Individuo può sovrapersonalmente attingere all'origine viva delle forme e delle essenze. Sotto questo punto di vista sia la vita che l'alchimia, e l'ascesi stessa, si pongono quale processo di autorealizzazione, quale metodo di “scienza spirituale” guidata da meccanismi deterministici. Nei testi rosacruciani però l'alchimia inizia ad essere strumentalizzata, allegorizzata e “modernizzata” per servire ad un'utopia neoimperiale luterana.

In questa ampia e difficile operazione di riconfigurazione dell'intera alchimia Evola compie l'errore ideologico di svalutare l'apporto cattolico all'alchimia e di ritenere al contrario che il Cattolicesimo abbia depresso e nascosto l'alchimia. Questo rappresenta un grave errore oggettivamente dimostrabile. Basti pensare che la più grande fioritura letteraria e culturale mondiale dei testi ermetici avviene dal 1200 al 1700 all'interno di un Europa Cattolica che faceva precedere agli scritti di alchimia frequenti invocazioni a Dio e alla Trinità e che considerava il “segreto” alchemico un dono da ricevere dal Cielo. Questo limite di Evola corrisponde al suo desiderio di “laicizzare” l'alchimia e di autonomizzarla dal Cristianesimo per farne una scienza eroica e aristocrativa di tipo neopagano, collegando, ad esempio, le sette fasi del processo alchemico ai sette gradi del Mitraismo, sebbene appunto sia nell'Europa cattolica medioevale, rinascimentale e barocca (si veda il Marchese Borri e la “Porta Magica” di Roma) che traboccano più di ogni altra epoca e luogo e civiltà le opere sull'Arte di Hermes.

Non a caso lo stesso Evola non può che citare autori importanti come gli alchimisti cattolici Raimondo Lullo e Alberto Magno, pur omettendo di rinviare ad altri testi alchimistici di storica importanza come l'Aurora consurgens attribuita a San Tommaso d'Aquino. Il fatto che l'alchimia sia da inquadrare in una teurgia-mistagogìa sperimentale dell'uomo quale microcosmo e sia da ricostruire quale processo mimetico di cosmogenesi è perfettamente concepibile anche all'interno della Dottrina Cattolica, come è sempre stato per molti secoli.

Basti pensare all'idea biblica della missione creaturale di Adamo quale Uomo destinato a governare tutto il creato, partecipando alla creatività di Dio. E basti pensare al grande successo che ebbe l'arte di Hermes presso i Francescani e i Domenicani, tanto che dovette essere proibita con vari decretali e disciplinari, non perché eretica (mai fu scomunicata, ma anzi veniva discussa nelle cattolicissime Università italiane medioevali e rinascimentali) ma perché distoglieva eccessivamente i frati dalla preghiera e dalle occupazioni pratiche quotidiane.

L'alchimia quale branchia specifica di una generale, tradizionale e cattolica filosofia della natura conserva questa sua identità da Nicola Flamel fino al Settecento, quando si perpetua l'indicazione del suo “segreto” quale “donum Dei”, come conferma un testo del 1713 che addirittura connette l'alchimia alla teologia mariana: Sacra universale filosofa dell'Immacolata Concezione di G.B. Diana Paleologo. Qui sta la scelta pregiudiziale e ideologica di Evola: il voler rileggere l'intera alchimia quale scienza aconfessionale, areligiosa e incardinata su una concezione impersonale e precristiana dell'Assoluto, cadendo nell'errore nicciano di ridurre la religione a morale e di svalutare la profondità e vastità metafisica del Cattolicesimo.

Se è vero che le radici dell'alchimia sono egizie e romano-greche è anche vero che i primi testi papiracei, nonché le visioni di Zosimo, appartengono ad un Egitto ellenistico già influenzato dal primo Cattolicesimo. Evola riconduce l'alchimia alla sua Teoria dell'Individuo Assoluto, identificando lo “Zolfo incombustibile” al principio immortale dell'Io la cui autoaffermazione totale è il nucleo della sua visione di vita. L'operazione riesce perché il linguaggio coloratissimo e assai simbolico dei testi ermetici si adatta camaleonticamente sia al linguaggio mistico cristiano, con cui presente numerose contaminazioni e incroci, che con gli archetipi e le immagini dei processi psicofisici e animici.

Possono il nostro corpo e la nostra coscienza uscire dalle polarità dialettiche del “solve” e del “coagula”? C'è forse qualche immagine o simbolo alchemiche che non sia contenuto già nel Vangelo e nelle Scritture, come il seme, la roccia, l'albero, il fuoco, le acque, la croce, il sale, il drago, il cuore, la bilancia, la spada, la rosa, l'uovo, la rugiada, il sepolcro, il campo, la Madre, la Vergine e molti altri? Non è la morte e la resurrezione di una medesima sostanza il cuore sia dell'alchimia che della Dottrina Cattolica? Non sono i testi cristiano-cattolici i più numerosi e dettagliati testi ermetici al mondo?

Lo stesso Evola non può che riconoscere che temi biblici come l'Esodo, l'ascesa di Mosè e di Elia sui monti santi, l'emersione della terra in Genesi sono pure valide e riconosciute immagini del processo ermetico, come pure il ritiro di Gesù nel deserto, la crocefissione, la Pasqua e persino le due vesti del Cristo della Passione: quella di porpora data dai soldati romani e quella bianca imposta da Erode, possono esprimere sensi alchemici nascosti. Se è vero quindi che l'antropologia-gnosi evoliana, di tipo aristotelico-plotiniano e mitico-eroico-iniziatico, è compatibile con l'antropologia che sta alla base dell'arte di Hermes, pure si può dire lo stesso dell'antropologia-gnosi cattolica, specie quella paolina-tomistica. Dopotutto una delle immagini strutturali principali dell'Alchimia è quella dello scambio e dove vi è maggiore scambio se non nella cristiana Incarnazione di Dio e Resurrezione della carne?