È molto istruttivo considerare la struttura del conflitto etico perché non soltanto ai pesci, ma a tutti noi capita di incapparvi. Il conflitto etico, o comportamentale, può essere ricondotto più in generale al paradigma della crisi1: crisi come l’essere letteralmente divisi di fronte a due ingiunzioni (stimoli, impulsi, obblighi, istinti, doveri sociali, ecc.) di forte intensità ma in contrasto tra loro, che, rendendoci tormentosa la decisione, ci riducono a uno stato di inquieta immobilità. È questo specifico concetto di crisi a ingenerare la maggior parte delle angosce e delle nevrosi: l’essere continuamente sottoposti a stimoli che inducono a pensieri, sentimenti e prestazioni profondamente incompatibili tra loro. Per esempio, uno dei più efferati doppi vincoli contemporanei (anzi tripli) è costituito dalla circostanza che alle donne e agli uomini si richieda di essere coniugi fedeli, genitori responsabili e amanti appassionati nell’ambito di uno stesso contesto, quello familiare-genitoriale. Questo complesso di ingiunzioni, cui dedicherò in seguito una più accurata analisi, si risolve a essere una richiesta perlopiù impraticabile, quasi utopica se protratta a lungo termine, dal momento che chiama in causa pulsioni come l’affettività, l’erotismo, la sessualità, il senso di accudimento domestico non soltanto diverse tra loro, ma persino incompatibili, ingenerando mortificazioni, inquietudini e la più completa gamma di sado-masochismi.

La compresenza di diverse ingiunzioni – soprattutto di quelle che si creano sotto la pressione di culture, morali e religioni differenti - può provocare conflitti etici che, se non vengono risolti o perlomeno riconosciuti, lasciano i nervi di chi ne è sottoposto in uno stato di patetico attrito, fino a metterne a repentaglio la salute. La società contemporanea è prodiga di situazioni che costringono gli esseri umani a sottostare a questo genere di doppi vincoli. Chi non è in grado di rendersi conto del contrasto di stimoli cui è assoggettato, difficilmente riuscirà a scavalcare il contesto che lo ingenera, per concepire un comportamento alternativo che trascenda il contrasto, risolvendolo (come ha fatto il pesce).

La società attuale è un campo minato di doppi vincoli, si è spesso costretti a fare uno slalom non indifferente tra stimoli e contro-stimoli: per esempio, alcuni contesti ci stimolano a restare in forma, proponendo modelli i cui corpi snelli e tonici, devoti al culto dello sport e del benessere, sono garanzia di successo e ammirazione; contemporaneamente, altri contesti ci propongono gli stessi modelli umani dediti però a ogni genere di eccesso. Ma questi, tutto sommato, sono ancora livelli comunicativi piuttosto espliciti e smascherabili – la subliminarietà dei messaggi pubblicitari e delle riviste patinate è ormai un vecchio spauracchio nell’era post-post-postmoderna in cui siamo abituati a vivere.

Si pensi invece a un altro doppio vincolo che mai come oggi sta dilaniando un’intera società. Anche una società può andare in crisi, anche una cultura può essere lacerata da ingiunzioni contrastanti, precisamente come avviene per gli individui umani e animali. La nostra cultura è in crisi perché è chiamata a gestire e a far convivere istinti in opposizione tra loro o, in ogni caso, in contrapposizione con la morale dominante.

Si pensi, infatti, al contrasto tra gli stimoli provenienti da una cultura dominante da un paio di millenni, perlomeno nei Paesi occidentali: il culto pitagorico, che poi è diventato filosofia platonica, che poi è diventata morale cattolica, che poi è diventata cultura illuminista e quindi democratica, ma che - la si chiami come si vuole - fa sempre capo alle direttive del suo stampo idealizzante, che istiga l’uomo come individuo e come cittadino a essere buono, tollerante, rispettoso delle differenze e dei difetti altrui, categoricamente devoto al principio di razionalità, perfettibilità, di progresso, ecc.

Si pensi a quanto le direttive di questa cultura di matrice idealizzante vadano a cozzare contro gli stimoli provenienti dalla realtà effettiva delle cose, che da che mondo è mondo s’è infine sempre imposta quale fondamentale e vivido punto di riferimento da cui trarre ispirazione per i propri comportamenti. Realtà sempre più incline a convalidare attitudini esistenziali e comportamenti disparati, facenti capo a morali diverse e settoriali, quasi una specie di micro-morali sorte e nate all’occorrenza, pronte a svanire insieme al “setting” in cui s’è svolta l’azione. Micro-morali “usa&getta”. Mi vengono in mente le trucide morali aziendali, la spietatezza concorrenziale perpetrata in ogni ambito del mercato, le affannose spinte all’autoperfezionamento, il continuo superamento dei propri limiti, o più elementarmente quell’ancestrale propensione al sospetto e all’odio reciproci, appena appena mitigata dalle ingiunzioni provenienti appunto dalle morali contrastanti, dai vecchi leitmotiv dell’ama il prossimo tuo come te stesso, del non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso, ecc., di cui anche il grillo parlante degli atei, dopo secoli di cattolicesimo, è ormai intriso fino al midollo - e ora, dalle più recenti “polveri sottili” di quell’etica sbucata fuori sullo strascico dei nuovi spiritualismi contemporanei, dalla new age alla comunicazione non-violenta, dal culto per (il frainteso) Oriente al politically correct.

L’istinto prevaricatore ed espansionista, la pulsione accentratrice e la propensione al dominio (inerenti alla natura umana tout court, ma particolarmente congeniali alla cultura occidentale) non sono stati per nulla sublimati da millenni di platonismi e cattolicesimo, anzi sono vivi e vegeti. Sebbene si espleti ora in forme più subdole e raffinate rispetto alla vecchia, bruta sottomissione di altre razze, come avveniva soltanto un centinaio di anni fa o giù di lì, questo complesso pulsionale non è stato minimamente intaccato dalla “cultura della compassione”. A essere in azione è sempre la cara e vecchia “volontà di potenza”, di volta in volta attuata in soluzioni più o meno esplicite di predominio (dominio della superficie terrestre da parte dell’uomo europeo in seguito alla scoperta di Colombo, la sua passione per i trasporti veloci, il dominio dell’aria, le colonizzazioni, l’opera di evangelizzazione dei gesuiti, le spedizioni ai poli, la scalata di ogni vetta inaccessibile, sia in senso fisico che metafisico). In questo senso la cultura occidentale contemporanea è nelle morse di un abissale doppio vincolo, perché continua a predicare un’etica della pietà, della tolleranza e dell’uguaglianza che non ha mai potuto veramente attuarsi.

Si è scambiato il buon auspicio per la natura effettiva delle cose: a furia di tendere verso la razionalità, l’etica si è dimenticata che la natura umana non è (solo) razionale; nello sfiancante anelito alla nobiltà d’animo, s’è persa di vista la circostanza non secondaria che l’uomo non ha un animo nobile (forse non ha nemmeno un’anima, così come la si intende pitagoricamente e cartesianamente emancipata dal corpo). È dai protocolli illuministici che si pretende l’uomo in qualità di creatura civile e sociale, sorvolando sul fatto che non lo è assolutamente e incondizionatamente; le grandi religioni monoteiste costringono alla monogamia e alla fedeltà, trascurando che le interazioni umane di fatto possono anche e soprattutto essere poligame e proteiformi.

Un’etica antica nata per prescrivere, ovvero per indicarci quale sarebbe stata la via per migliorare, e che fondava la sua buona coscienza proprio nell’ammettere che l’uomo è perfettibile in quanto imperfetto, è stata via via interpretata e spacciata come descrittiva: “Siccome l’uomo è buono, onesto e razionale, devi comportarti di conseguenza”. Terribile! Come un vecchio, cocciuto padre che ha sbagliato metodo educativo. È questa l’infausta deriva di una cultura millenaria di stampo idealizzante che va demolita.

1 Crisi: dal greco krisis, krino, ovvero separo e quindi sono costretto a scegliere (e, conseguentemente, a escludere). Ci possono essere conflitti etici, emotivi, politici, sentimentali, decisionali, tutti riconducibili al modello paradigmatico della crisi.