Ci sono momenti nella nostra vita nei quali un numero eccessivo di parole, di voci sembra tirarci da una parte e dall’altra, e allora bisogna avere il coraggio di scegliere quelle che possono aiutarci a dire la nostra verità, a svelare i nostri desideri.

Non sempre le parole descrivono il reale, bensì il reale si affaccia dietro di loro che cercano di condurci oltre la facile associazione tra la cosa e il vocabolo che la esprime.

(Françoise Héritier, In poche parole la felicità, Rizzoli, Milano, 2014)

Ci si ritrova a dare significati personali alle parole per costruire un linguaggio nel quale trovare rifugio.

A volte vorrei dimenticare le parole che tornano a ricordarmi il passato, ma non so rinunciare alla loro dolcezza, alla delicatezza del loro porsi di fronte a me, al loro comparire tra le pieghe dei pensieri, alla grazia con la quale si muovono attorno agli oggetti nei quali sta depositata quella parte del mio sentire che alimenta il trascorrere del tempo.

Difficile scegliere se non fosse per quella voce esile, fragile che mi suggerisce di dare spazio al mio cuore prendendomi cura della tenerezza.
La tenerezza è il mio pensiero felice che cerco di ritrovare nel vortice confuso di sentimenti che vanno perdendo identità.

Quando si sente scelta la parola mette in gioco tutte le sue sfumature per riuscire a far emergere in noi quella ricchezza di sensazioni che ci aiuta a navigare nel mare sconfinato dei significati: la parola è zattera, la tenerezza è il mio approdo.

La tenerezza è limpida, innocente, chiara, ingenua, generosa, tranquilla, serena, ha il timbro dell’arpa, ha il suono di una viola, ha l’andatura ondulante di un pianoforte, ha il gusto del gelato alla crema, la dolce morbidezza della torta vaniglia, ha la rotondità della cannella, è tranquilla, premurosa, timida, aperta, deliziosa, sa essere allegra, è equilibrata, talora radiosa, è limpida, un’onda lieve che sfiora senza toccare, è liscia, trasparente e azzurra come il mantello della principessa delle fiabe.

È attraverso la tenerezza che lo sguardo oltrepassa la porta angusta del dolore così che il rimpianto possa farsi consolazione.

C’è tenerezza nell’osservare l’avvicendarsi dei tramonti. Quel piccolo lutto che è la caduta del sole raccoglie la speranza del ritorno alla vita nella prima luce dell’alba e allora il cuore tace, si placa e resta in attesa mentre lo sguardo accarezza i contorni che sfuocano. C’è tenerezza nella parola che aiuta ad evocare ciò che non c’è più.
Come fa il poeta: sostituisce al tempo reale che ci insegue, il tempo sospeso che ci avvolge.

La tenerezza è una luce che si deposita nella memoria del corpo, ed è là, in qualche angolo a lungo dimenticato, che la possiamo ritrovare per farne di nuovo dono e farmaco.

La tenerezza è fruscio di abbraccio, è contatto che sfiora le corde del cuore e le fa vibrare di dolcezza e soavità.

La tenerezza è ascolto, ascolto di una lingua senza parole; è risposta alla distrazione che rende sordi al suono della solitudine e dell’abbandono.

La tenerezza è un tappeto morbido di emozioni che sono altrettanti fili intrecciati sull’ordito della benevolenza.

La tenerezza è vuoto di sofferenza, vuoto di vecchiaia e di paura, vuoto di inganno; è voce del respiro ininterrotto che risuona intorno a noi che siamo parte del grande universo.

La tenerezza fa emergere il bene oscuro che ci viene dall’ accettazione del dolore come antidoto alla nostra tracotante sicurezza, tiene a freno l’urgenza del dire facendo risuonare il silenzio dell’anima.

La tenerezza è percezione immediata: non passa necessariamente dal gesto, dalla parola.
È un modo di accogliere e sentirsi accolti, è un atteggiamento dell’essere che si lascia condurre senza resistere.

La tenerezza ce la si sente addosso, la si respira come un dolce aroma di mughetto, è un morbido cuscino di seta sul quale una mano si unisce all’altra in segno d’amore.

La tenerezza sfugge al controllo della mente che non riesce ad imporsi, a ricondurla nel suo limitato raggio d’azione.
Si esprime con una inesauribile creatività: è una carezza o un lieve sospiro, è uno sguardo o un gesto senza voce, è un racconto condiviso, il piacere di ricevere un chicco d’uva da che siede di fronte a te.

La tenerezza è un modo di stare in contatto con le cose, di essere nelle cose, è un’esperienza d’amore per tutto quanto ci viene donato dalla vita, non si esprime in forme eclatanti, parla un linguaggio universale.

È spesso la fulminea espressione di un sentimento che è cresciuto e si è alimentato nel profondo dell’interiorità, è un battito di ciglia di occhi che hanno veduto bellezza, se ne sono nutriti e ne fanno dono.

La tenerezza si muove in un tempo senza confini, nel “tempo infinito del cuore”.
Il suo spazio è quello in cui la sofferenza si fa più leggera per diventare abbraccio di compassione.

Ogni istante, ogni gesto può essere fecondo di tenerezza.

La tenerezza è delicata e generosa, non si mette in mostra, è lieve come un volo di farfalla.

La tenerezza comprende anziché separare, si prende cura ed è accogliente, aiuta a ritrovare i frammenti delle nostre esistenze sconquassate dall’accadere del tempo.
Attraverso la tenerezza quei frammenti tornano a ricomporsi e terranno memoria del loro essere stati oggetti d’amore.

C’è tenerezza nell’autunno quando notte e giorno sono più vicini e si abbracciano in una penombra dolce e costellata di attimi che imparano a durare un’eternità.

La tenerezza placa la paura, ne è antidoto, come quando, bambini, si riceve la carezza e la parola dolce che tiene lontani i brutti sogni.

Tenerezza è la conchiglia raccolta sulla fredda spiaggia d’inverno, è tenersi per mano camminando tra le foglie cadute a ricordare altre stagioni, altri pensieri e attese.

Aiuta a ricomporre dubbi e incertezze che abitano il nostro paesaggio interiore inquieto e dolorante.
La sua voce risuona come un canto che tocca il cuore e lo quieta, un magico flauto che ammansisce e rassicura.

La tenerezza accoglie la fragilità, si dischiude come una bianca ninfea.
La tenerezza è per chi ha bisogno di ritrovarsi, di volersi bene e di volerne.

È tenerezza quella che risuona nel respiro di un bimbo che si addormenta cullato dalla voce della mamma.

La tenerezza nutre il sentimento della cura, diventa un’abitudine del cuore che aiuta a comprendere ogni aspetto della nostra vita con gentilezza, a dirigere lo sguardo verso persone e cose che abbiamo trascurato per abitudine, per indifferenza, per distrazione.

È tenerezza quando una persona che ami ti chiede:
“Come stai anima mia?” e porta la mano alle labbra per mandarti un bacio.

La tenerezza ritrova ciò che pareva di poco conto e lo riveste con l’abito della festa, ci riporta a ciò che abbiamo dimenticato per la paura di soffrire, a chi abbiamo tradito per mancanza di consapevolezza e di attenzione.

Ci vuole pazienza per praticare la tenerezza, bisogna aver fiducia che anche la più piccola briciola di bene ha una sua ragion d’essere al fine di diradare l’ombra che avvolge i nostri pensieri.

La tenerezza contiene i semi del perdono, che è perdonare ed essere perdonati.
La tenerezza è fatta di piccoli indizi lasciati sul terreno della vita; la tenerezza è tale nel dolore come nella felicità perché il filo di cui è intessuta la coperta con la quale avvolge tutte le creature è filo d’amore.

La tenerezza è l’energia avvolgente del sapere femminile che ascolta e sente, che sa ritrovare il gesto bambino come è quello di mandare in alto un’altalena.

Tenerezza è la commozione che ci invade quando una musica dischiude le stanze della memoria e ci ritroviamo nel profumo di un luogo caro alla nostra giovinezza.
È un fiore raccolto per non dimenticare chi ci è caro e ci ha lasciato.

La tenerezza appartiene al magico mondo dell’infinitamente piccolo, è il particolare che non si nota.
È un sentimento del quale prendersi cura, da esercitare come una pratica salvifica che ci ricorda il nostro essere in relazione di bene; è una preghiera semplice che invoca la grazia di sentirsi amati.

A cura di Save the Words®