Il concetto fondamentale che si discute in questo testo è riassumibile nel seguente modo: leggere è vivere. Non solo, ma leggere è un moltiplicare la vita. Se ti annoi e non sai cosa fare e decidi di girarti i pollici o contarti i pelucchi sul maglione allora, sì, questo non è vivere: è perdere il proprio tempo e buttarlo nell’immondizia. Ma se decidi, invece, di ammazzare il tempo leggendo: scoprirai che il tempo non lo stai ammazzando, ma anzi lo stai usando per vivere.

Leggere è vivere. La conoscenza indiretta, se tale conoscenza è buona e approfondita, e non superficiale (e i libri di solito sono fonte di conoscenza indiretta profonda, sede di analisi delle cose del mondo, di ingrandimenti di fatti microscopici o macrocosmici), si avvicina parecchio a quella diretta. A volte, può anche essere superiore. Infatti, per avere una conoscenza diretta buona dobbiamo essere buoni osservatori, saper usare i sensi, e anche saper gestire le nostre emozioni, e i sentimenti.

Prendiamo il concetto di “rimozione”. Viviamo un trauma, ma lo rimuoviamo dalla mente. Diventiamo del tutto incapaci di raccontare quell’accadimento. Conosciamo una persona che ci colpisce sotto vari aspetti. Ma non sappiamo descriverla per quel che realmente è. Poi, un giorno sentiamo una storia simile alla nostra e cominciamo ad accorgerci chi quella persona è davvero. Abbiamo conosciuto una persona direttamente, ma è come se non avessimo saputo chi fosse per tutto il tempo che l’abbiamo frequentata. In altre parole è come se non l’avessimo conosciuta. Dunque, l’esperienza diretta non solo è rischiosa, ma non è fonte sicura di sapere, di conoscenza. Almeno non lo è, perché noi spesso non siamo nelle condizioni di saper riconoscere (farci un’idea, giudicare come buono o dannoso) quello che accade.

Invece, la conoscenza indiretta sui libri serve a farci vivere delle esperienze e a conoscerle in quasi ogni aspetto. In più, il coinvolgimento emotivo non è totale. Non si è mai sentito, credo, di qualcuno che abbia subito da una storia raccontata in un libro un trauma tale da rimuoverlo dai suoi ricordi, anche se potrebbe essere un buon espediente da usare con i professori nel corso di qualche interrogazione: “I Malavoglia di Verga? Sono rimasto così traumatizzato da quello che accade a quella povera famiglia che ho dimenticato tutto. E mi prende uno strano tic nervoso all’occhio destro se ci penso. Quindi, prof, per cortesia, evitiamo. Pirandello? Quel pover’uomo che si accorge del n-naso storto e pendulo e… e… è di lui che stiamo p-pa-parlando? È una storia che sto cercando di dimenticare e mi fa venire l’orticaria anche solo sentirla. Orticaria nervosa. Macchie rosse che mi compaiono all’improvviso in tutto il corpo”.

Chiaro che la conoscenza indiretta proveniente dai libri è fredda, non è riscaldata da nervi, cuore, sensi tesi, in allarme. L’esempio più eclatante è il sesso. Puoi leggere scene di sesso spinto nelle pagine di un romanzo (se ne trovano di buone nei primi romanzi di Ken Follett… passaparola), ma non è certo lo stesso che farlo. Certo, leggere molte scene di sesso ti mette nelle condizioni di avere presente situazioni le più varie. Non parlo di meccanica. Del Kamasutra. Intendo, saper distinguere tra sesso e sesso. Sapere che c’è sesso con sentimento e sesso che è bisogno e sesso che è una cosa più strana, cerebrale che confina con una seduta dallo psicanalista.

Leggere è vivere. Ed è un errore molto comune dire che leggere è nascondersi dal mondo, evadere o addirittura non vivere. Non è così. Lo dimostrano gli scrittori. Ci sono scrittori che hanno scritto, in particolare, decine e decine di libri. Ora, un fatto pratico della vita da scrittore che bisogna accettare è che i libri non si scrivono da soli. Ci vuole del tempo materiale da dedicare alla scrittura dei libri. E questo tempo materiale è sottratto alla vita.

Ma… Scrivere e leggere non è spegnere l’interruttore della vita. Leggere e scrivere è vivere e anzi vivere più intensamente, addentrandosi nei fatti, descrivendoli, analizzandoli come mai faremmo nell’esperienza diretta. Se vado dal panettiere vado dal panettiere. Ma se scrivo di qualcuno che va dal panettiere, devo descrivere il negozio, il panettiere, la merce che vende… eh, ce n’è da descrivere, guardare, documentarsi, sapere, conoscere. Un’immersione al termine della quale quando andrò per davvero dal panettiere mi sembrerà di entrare in un mondo magico pieno di cose sensazionali e tutti mi guarderanno come se fossi scemo.

Pensiamo a Salgari o pensiamo a quegli scrittori che hanno all’attivo cinquanta, cento libri. Pensiamo a Patterson che si dice riesca a scrivere (a portare avanti) trenta romanzi a tempo. Dove lo trovano, questi scrittori, il tempo di avere esperienze dirette, di “vivere”. Eppure, le loro opere non sono meno vere dei racconti di qualsiasi sergente di polizia o corsaro nero che si abbia ventura di incontrare e intervistare (sempre che il sergente non ti voglia fare la multa per eccesso di velocità e corsaro nero non voglia fotterti il portafogli). Come mai? Non perché questi autori sono bravi nei loro lavori di finzione. Non perché questi scrittori sanno fingere e conoscono il mestiere. Ma perché leggere (e scrivere) è vivere, è conoscenza.

Ma che cos’è la conoscenza? Ecco una domanda molto difficile, sulla quale i filosofi si interrogano da… da molto tempo. Persino Einstein si è posto il problema, come fa notare Carlo Sini in apertura del suo saggio Gli idoli della conoscenza. Nessuno sa esattamente quando possiamo dire di conoscere, di sapere. In più, altro problema fondamentale (a mio parere; non a parere di Einstein) è che in tema di conoscenza si parte sempre da zero. Perché i neonati arrivano nel mondo e devono apprendere e decidere ciò che è meglio apprendere o cosa scartare, e devono farlo con una mole incredibile di input che li colpisce da ogni parte. Detta così, sembra una roba quasi impossibile. Forse in questo senso sì che si può parlare di selezione naturale. Ma direi più nel senso di colpo di fortuna che selezione all’ingresso per entrare in discoteca.

Alcuni capiscono cosa è veramente importante conoscere (riescono a catturare gli input fondamentali)… altri si perdono e ciao. I libri servono a questo. Sono barattoli pieni di conoscenza e di esperienza e tu puoi aprirli e cibartene. Usarli per orientarti nel mondo. Non parlo di conoscenza tecnica, del saper fare. Parlo di qualcosa di molto più sottile e inafferrabile. Parlo di sapersi destreggiare tra le insidie della vita. Saper riconoscere il buono dal dannoso. Sapere in che situazioni ci si trova. Se si può fare qualcosa oppure no. Sapere chi si ha davanti. Queste sono cose importanti. Le più importanti. Trovarsi in una situazione in cui si è del tutto impotenti e saperlo può aiutare. È non saperlo che può farci diventare matti. Che ci può spingere al delirio e poi a gesti più estremi. Quanti miliardari che possono avere chi vogliono si sono quasi tagliati le palle per colpa di una stronza? Quante ragazze ci hanno rimesso per dare retta a dei delinquenti senza scrupoli che le hanno manipolate come hanno voluto? Saper distinguere le sfumature, questo è il tipo di conoscenza che si trova nei libri. La saggezza che ne deriva.