Emilio Salgari è stato uno degli scrittori dell’Ottocento italiano più popolari e sottovalutati: i suoi romanzi furono letti e apprezzati addirittura da Che Guevara, che vi trovò ispirazione nella sua “lotta all’imperialismo”, ma l’accademia italiana li ha sempre considerati sciatti e mal scritti.

Solo recentemente Salgari sta conoscendo la giusta rivalutazione: Ernesto Ferrero, direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino, ha curato l’opera omnia di Salgari nel 2011, anno del centenario della morte dello scrittore veronese, mentre lo scrittore ispano-messicano Paco Ignacio Taibo II ripropose la lettura guevariana del ciclo indo-malese nel suo El retorno de los tigres de la Malasia.

Ma l’influenza di Salgari sulla letteratura popolare, sul cinema e sul fumetto del Bel Paese sono stati immensi e non ancora approfonditi: si può dire che senza Salgari non avremmo avuto il cinema di genere italiano e il fumetto popolare della Bonelli.

La particolarità che salta all’occhio leggendo Salgari, caratteristica che si ripeterà nella cultura popolare italiana, è la “non italianità” degli eroi, e l’amore per l’esotismo: la letteratura popolare italiana è forse la più “esotista” del mondo, come se fosse impossibile pensare a eroi italiani.

Il personaggio più popolare di Salgari, Sandokan, è un pirata malese: la sua figura è ispirata a quella di due autentici pirati asiatici: Sandokong e Syarif Osman, che aveva come vessillo proprio la mitica bandiera rossa con testa di tigre. Yanez è ispirato ad un avventuriero novarese, Paolo Solaroli, ma Salgari lo fa portoghese. Solo il Corsaro Nero, Emilio di Ventimiglia, si può definire italiano: tuttavia anch’egli si muove nell’esotico contesto delle Antille.

Le letterature popolari di tutti i Paesi hanno eroi popolari “locali”: Sherlock Holmes e James Bond sono inglesi, D’Artagnan, Arsenio Lupin e Asterix sono francesi, i supereroi sono americani (Superman è un “alieno” naturalizzato statunitense). Gli italiani paiono non concepire sé stessi come eroi.

Eppure Salgari aveva una figura di eroe italiano vivente, popolarissimo in tutto il mondo, cui ispirarsi: Giuseppe Garibaldi. Che in parte, infatti, ispirò il nostro (la storia di Sandokan e Marianna ricalca quella fra Garibaldi e Anita). Ma, se ci pensiamo, Garibaldi era un eroe “esotico” e molto poco italiano: quando organizzò la spedizione dei Mille era noto soprattutto come eroe sudamericano, e non smise mai il “poncho”. Nino Bixio morì in Malesia, teatro delle gesta di Sandokan. L’ex garibaldino Romolo Gessi divenne un uomo di Gordon di Khartum. Forse lo stesso esotismo di Garibaldi e dei suoi influì non poco sulle scelte di Salgari.

Ma resta il fatto che Salgari arriva a cancellare persino l’italianità stessa dei protagonisti. E questo tornerà nella letteratura popolare del Novecento.

Nel 1948 nasce, per opera di Gianluigi Bonelli e Aurelio “Galep” Galeppini, il più popolare eroe dei fumetti italiani, paragonabile per longevità e popolarità a Superman e Batman: Tex Willer.

Che infatti non è “italiano”: è americano. Un ranger del Texas e capo navajo per matrimonio. Il “salgarismo” novecentesco si sposta da Est a Ovest, dai mari cinesi e malesi al Selvaggio Ovest degli Stati Uniti. Uno fra i generi cinematografici italiani più rappresentativi è il cosiddetto “Spaghetti Western” di cui Sergio Leone fu il maestro indiscusso. L’Uomo senza nome che si muove nelle assolate città del West porta il poncho e fuma il sigaro come Garibaldi, ma ha il volto americanissimo di Clint Eastwood. E anche i vari eroi minori del western italiano, dai nomi pittoreschi come Django, Ringo, Sabata o Trinità, non sono certo italiani.

Ritornando al fumetto gli altri eroi più rappresentativi si muovono in contesti non italiani: il Dylan Dog di Tiziano Sclavi vive a Londra, mentre il Corto Maltese di Hugo Pratt, il più schiettamente salgariano fra gli eroi a fumetti italiani, è di padre inglese e madre zingara. Nel genere “noir” abbiamo il Diabolik delle sorelle Giussani, che vive nell’immaginario Stato francofono di Clerville.

Pare che la letteratura popolare italiana soffra un complesso di inferiorità. I personaggi “italiani” della nostra letteratura popolare non sono mai eroi: di certo non si può definire “eroe” il Pinocchio di Collodi, né il don Camillo di Guareschi. Soprattutto non si può definire “eroe” il Fantozzi dei racconti di Paolo Villaggio, che da molti critici viene considerato l’archetipo “dell’italiano medio”.

Nonostante Garibaldi, nonostante i partigiani o gli antichi condottieri di ventura o i Romani, noi italiani pare che inconsciamente riusciamo a percepire noi stessi solo nei difetti. Mai nelle virtù, come gli altri popoli: il malese Sandokan o l’americano Tex sono forse il frutto di un’atavica, inconscia “autodenigrazione” dovuta forse ad un provincialismo mai del tutto sconfitto.