Là dove sei felice, sei a casa.

(Proverbio tibetano)

Siamo tutti chiusi in casa, infreddoliti, smarriti, spauriti e intimoriti come un animale perso e ferito, come chi non ha più certezze se non quelle del proprio focolare. Siamo tutti insofferenti e dubbiosi sul futuro, ogni passo è faticoso. Siamo tutti alla ricerca del bello e del buono, nel tentativo di capire come ne usciremo. Siamo tutti qui. In vigilante attesa e speranza. Spesso guardando indietro.

Ecco allora ritornare alla mente i tempi passati, gli amici dei giochi di infanzia e delle avventure del liceo, le serate abbracciati, i momenti di tepore passati nelle campagne invernali di Paesi ormai lontani e che speri presto di nuovo raggiungibili.

Con questo freddo e vento siberiano non mi può che tornare alla mente la mia amata Russia, il freddo pungente che sveglia ogni pensiero, la neve che accarezza strade, monti, pianure e colline, le case di campagne con i tetti innevati, quelle che sanno di fiaba.

Tutti, ora, vorremo avere una casetta innevata isolata dal mondo e dalla paura, un luogo segreto e sicuro dove rifugiarsi e dialogare sommessamente solo con la natura che accoglie. Un luogo di pace e serenità. Dove leggere e magari disegnare.

“Casa dolce casa” nella campagna russa, circondati dal calore di una stufa, se fa freddo, e comunque da tavole imbandite, da cani, gatti, bambini, caramelle e libri. Da alberi di Natale che torneranno nelle loro foreste, da pacchetti colorati che attendono l’ultimo ospite che ancora non è potuto arrivare. Da una televisione che non c’è.

La neve cade, la neve cade, come se non cadessero i fiocchi, ma in un mantello rattoppato scendesse a terra la volta celeste.

(Boris Pasternak)

In questa casetta nel bosco siamo arrivati con una familiare rossa piena di vivande, torte e biscotti preparati dalle nonne. Qualcuno l’ha raggiunta con gli autobus o i treni suburbani, gli ėlektrička. Se la destinazione del desiderio è, invece, più lontana, si caricano i bagagli pesanti su aerei bianchi pieni di viaggiatori che cercano solo un po’ di quiete da routine e smog quotidiani. Dove ancora si può.

Stessa direzione per tutti, le dacie di campagna, dove ogni famiglia russa che si rispetti (oggi non più solo russa) scappa nel fine settimana per cercare riposo, calore invernale, refrigerio estivo. Oasi di pace che fanno pensare solo alla bellezza della vita e alla sua preziosità.

Come dicevo, molte di esse assomigliano a casette delle favole, con le tendine ricamate alle finestre, con un camino che fuma e cornicioni delicatamente e finemente orlati.

Una mansarda dalla piccola finestra circolare permette di sbirciare silenziosamente la dolce e profumata luna addormentata. D’estate noti gli alberi verdi, d’inverno lo sguardo si perde nelle infinite distese innevate. Lontano vedi quello che vuoi. Lontano sogni quello che preferisci e quello che davvero vorresti essere.

Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia.

(John Ruskin)

La dacia è parte della stessa cultura russa, un angolo di paradiso che ai tempi del regno di Pietro il Grande era riservato ai ceti più elevati (ai vassalli leali allo zar), ma che, durante il periodo sovietico, divenne un rifugio semplice, di legno, assegnato dallo Stato per particolari meriti, dove poter liberamente coltivare orto e alberi da frutto, preparare dolci marmellate e conserve e passare serene giornate di riposo con famiglia e amici. In russo arcaico, la parola dača significa “qualcosa di dato” e ricorda il latino “data”. Da qui la sua origine storica.

Il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale conobbe una crescita delle dacie e, in mancanza di una legge che ne vietasse la costruzione, molti lotti di terreni furono occupati da cittadini che cercavano uno sfogo in campagna. Nel 1955, fu introdotta la cosiddetta “Società di giardinieri” che riceveva il diritto all’uso permanente della terra per fini agricoli, oltre al permesso di allacciarsi a rete elettrica e idrica. Si trattava di una sorta di fattorie collettive. Nel 1958, fu creata una nuova forma di cooperativa per la costruzione di dacie che riconosceva il diritto del singolo a costruire una piccola casa sulla terra locata dal governo. Il crollo dell’Unione Sovietica vide il ritorno alla proprietà privata e molte dacie furono privatizzate, pure nei villaggi di medie e grandi dimensioni.

Ancora oggi se ne trovano di bellissime, anche appena fuori porta, con la loro tipica architettura e le finestre lavorate, edificate solitamente a gruppi di tre, come la Trinità. È una vera moda, una tendenza tale per cui molti parlano scherzosamente di “daciamania”.

Ci sono poi le gosdacie, le dacie di Stato assegnate a membri del governo, accademici, ufficiali superiori dell’esercito e altre personalità di rilievo. Nella Russia moderna, l’amministrazione presidenziale continua a possedere numerose dacie che vengono affittate a funzionari governativi. Le gosdacie a Komarovo, vicino a San Pietroburgo, e a Peredelkino, a 25 km da Mosca, sono abitate da intellettuali e artisti sovietici.

Peredelkino è un luogo ancora magico, battezzato, a suo tempo, il “villaggio degli scrittori”, perché creato da Stalin per premiare gli scrittori, gli artisti e i grandi intellettuali dell’epoca. Qui ricevevano una dacia i cantori del regime ma anche romanzieri, accademici, maestri di scacchi, uomini dal grande valore artistico e intellettuale. Anche Evgenij Evtushenko, poeta a lungo dissidente, ha posseduto una casa a Peredelkino. Il luogo dei libri, oserei. Perché, e i miei amici lo sanno, la casa è per i libri. La casa non può non ospitarli.

Una casa senza libri è come una stanza senza finestre.

(Marco Tullio Cicerone)

Peredelkino era una comunità colta e vivace dove ci si conosceva, dove si respiravano letteratura e arte; un luogo incantevole circondato da neve che si scioglieva a maggio e da un grandissimo bosco. Qui si trova ancora la dacia-museo di Boris Pasternak che qui ha vissuto ed è sepolto, con la famiglia, nel cimitero accanto alla chiesa del paese, fra alberi di betulle, faggi e pini. La dacia-museo è aperta al pubblico ed espone gli effetti personali del poeta, tra cui i dipinti del padre Leonid Pasternak, la sua collezione di ceramiche in stile georgiano e la sua grande biblioteca.

Dacia o non dacia, Italia, Russia o altrove, molte persone (io per prima…) sono contagiate sempre di più dal desiderio di possedere un terreno da coltivare e vivere in una casetta calda e confortevole, se pur piccolina, sotto una volta celeste stellata e silenziosa, dove basta chiudere il cancello per dimenticarsi di tutti e di tutto, e sentire solo il profumo delle fragole e delle rose che sbocciano. Dove il libro è il migliore amico, la scrittura rinasce e l’albero veglia sulle tue pazienti giornate.

Mi chiedo se la neve ama gli alberi e campi, che li bacia così dolcemente. E li copre come con una morbida trapunta bianca; e forse dice “Andate a dormire, cari, finché non arriva l’estate di nuovo.

(Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie)

L’estate tornerà. E tutto rifiorirà.