Ho letto per la prima volta la poesia di Elicura quando, durante il mio Erasmus, seguii un corso di poesia ispanoamericana, impartito dalla poetessa María Ángeles Pérez López all’università di Salamanca, una cittadina della Spagna. Studiammo vari poeti, ma ricordo che nessuno mi aveva colpito tanto quanto Elicura, una figura umile e saggia che parla con gli occhi. E ricordo una delle tante poesie che mi fecero viaggiare in un universo di silenzio ed ascolto:

In questa terra abitano le stelle

In questa terra abitano le stelle
In questo cielo canta l’acqua
dell’immaginazione.
Aldilà delle nuvole che sorgono
da queste acque e queste terre
sognano di noi gli Antenati.
Il loro spirito – dicono
è la Luna Piena.
Il Silenzio: il loro cuore che batte.

(Elicura Chihuailaf Nahuelpán, Sogni di Luna Blu, rivista Poesia, numero 243, Crocetti editore, 2009. Traduzione di Arturo Zilli)

Elicura è uno scrittore e traduttore mapuche. I mapuche, ovvero “popolo della terra” secondo la loro lingua, il mapudungun, sono un popolo indigeno originario del Cile e del Sud dell’Argentina. Lottano da sempre con forza e ardore per difendere e mantenere il loro territorio, la loro forma di vita, i loro valori ancestrali ed Elicura stesso è coinvolto attivamente nella lotta politica e civile attraverso la parola, per riaffermare la cultura e l’identità mapuche.

Infatti “scrivere e pensare nella lingua della nostra terra” – dice Elicura – “è anche un modo di rivendicarla”.

In particolare, Elicura fa uso della parola poetica, l’unica in grado di toccare, decifrare la misteriosità – pur accettando le limitazioni del mistero – e l’insondabilità dello spirito. E lo spirito del popolo mapuche proviene dall’azzurro, in particolare dall’azzurro dell’Oriente, un elemento che forma parte dell’essenza della cultura mapuche, della cosmogonia del popolo mapuche.

In Oriente, l’azzurro esiste come esiste nello spirito di ognuno di noi.

E quando lo spirito abbandona il corpo, va proprio in un luogo nell’Oriente dove gli spiriti si ri-trovano, si r-impastano con gli antenati per ri-tornare: da qui, la circolarità propria della vita stessa. Ed è esattamente questa “la columna vertebral de lo que yo escribo” dice Elicura.

Il compito della poesia, della scrittura poetica, è quello di ricordare e affermare la parola come principio base dell’essere umano: una meraviglia, la parola, di cui solo noi umani siamo dotati. Nominare ciò che non ha nome o non è stato ancora nominato. Questa la potenza della parola e in particolare della parola poetica.

La parola poetica è sempre la costruzione delle cose innominate che proietta anche i resti di un corpo che tornerà a essere terra, fuoco, aria, acqua.

(Elicura Chihuailaf Nahuelpán, Sogni di Luna Blu, rivista Poesia, numero 243, Crocetti editore, 2009. Traduzione di Arturo Zilli)

Perché sono la forza delle cose innominate

[…]
Sono l’acqua che scorre.
Addormentato va il mare in me
e risveglia la montagna.
Perché sono la forza
delle cose innominate, dice
corona del sole: Il tuo canto.

(Elicura Chihuailaf Nahuelpán, Sogni di Luna Blu, rivista Poesia, numero 243, Crocetti editore, 2009. Traduzione di Arturo Zilli)

E la parola è un suono, creiamo poesia con le parole e con il suono gli diamo forma e ritmo. Creiamo arte, creiamo conversazione. Dall’oralità, e grazie alla parola e agli spazi di silenzio, nasce qualsiasi tipo di dialogo necessario per vivere e con-vivere con gli altri. Comunicare come una delle più importanti risorse umane, ma anche come una grande sfida.

Elicura, nella sua poesia, mescola parola e silenzio perché indispensabili l’un l’altro. La parola è alla base del suo discorso poetico. Le sue poesie nascono nella recitazione: grazie ai canti, ai racconti, ai rituali della sua comunità e agli insegnamenti degli antenati ricorda e quindi da vita ad un processo di creazione che comincia nella parola “parlata”, nella sua sonorità e che finisce nella parola “scritta”, nella carta.

Per questo, si definisce oralitor, perché vive nell’oralità e attraverso la memoria e l’ascolto, con occhi teneri ed amorosi, ricrea la natura, i suoni della natura. La memoria è anch’essa un elemento circolare di si fa uso per ricordare e non dimenticare.

La chiave che nessuno ha perso

[…]
E poesia è il canto dei miei.
Antenati
il giorno dell’inverno che arde
e spegne
questa malinconia tanto personale.

(Elicura Chihuailaf Nahuelpán, Sogni di Luna Blu, rivista Poesia, numero 243, Crocetti editore, 2009. Traduzione di Arturo Zilli)

Dall’altra parte, il silenzio aiuta nel processo di creazione, aiuta nella contemplazione, aiuta a pensare e quindi parlare. Permette momenti di calma, di riflessione, che è una riflessione interna ed esterna, verso quello che succede in noi stessi e al di fuori. Nella poesia di Elicura, c’è una continua contemplazione della cultura mapuche e della cultura occidentale imposta e che minaccia sempre la distruzione, l’umanità e lo spirito di interi popoli indigeni.

Il silenzio dei boschi:

[…]
Qualcuno può evitare l’autunno
dell’occidente? - mi dice
i fiumi stanno perdendo la loro
profondità
la portata della saggezza
e cominciano a sentire la mancanza
del silenzio dei loro boschi
[…]

(Elicura Chihuailaf Nahuelpán, Sogni di Luna Blu, rivista Poesia, numero 243, Crocetti editore, 2009. Traduzione di Arturo Zilli)

Proprio quest’anno, Elicura ha vinto il Premio Nacional de Literatura 2020, il primo poeta (e oralitor) mapuche a ottenere questo grande premio cileno. E non è solo un premio, è finalmente una vittoria di tutto il popolo mapuche, un simbolo per dimostrare che i mapuche esistono, hanno un’identità che rivendicheranno mille volte e più: ¡Marichiweu!

Infatti, non è l’unico poeta a sostenere la causa mapuche, anche Daniela Catrileo, con il suo libro Guerra Florida, e tanti altri continuano nella lotta attraverso la parola.

Che grande forza e consapevolezza possiede la poesia di Elicura, una forza che proviene dalla natura, dall’universo e ci attraversa fino ad arrivare al punto sacro, l’anima per ravvivarla con energia verbale, come direbbe la poetessa americana Sharon Olds.

1 Intervista ne El mercurio de Antofagasta, 7 novembre 1997.